Corriere della Sera, 8 febbraio 2022
Allarme spread
Non per la prima volta da quando è presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde fa marcia indietro o almeno dà un brusco colpo di freno dopo una fuga in avanti. Le era successo all’inizio della pandemia, due anni fa: aveva dichiarato che la Bce «non è qui per chiudere gli spread» e la tempesta di mercato innescata dalle sue parole l’aveva indotta a varare pochi giorni dopo acquisti di titoli per 750 miliardi di euro, seguiti da altri due pacchetti da 600 e da 500 miliardi, proprio per chiudere gli spread.
Ieri al parlamento europeo la presidente della Bce ha operato un simile cambio di rotta, prendendo tempo su qualsiasi ipotesi di una stretta monetaria anticipata. Ma non è questo il segnale che Lagarde aveva dato solo pochi giorni prima. Giovedì la francese aveva accuratamente evitato di escludere un aumento dei tassi d’interesse già quest’anno, dando l’impressione di prepararsi a interrompere gli acquisti e a alzare il costo del denaro prima del previsto. Lagarde aveva anche detto che il consiglio direttivo della Bce, a Francoforte, era «unanimemente preoccupato» dopo che l’inflazione in area euro a gennaio ha raggiunto a sorpresa il 5,1%.
Ieri è arrivato la frenata. Prevedibile, vista la reazione ancora una volta disordinata del mercato alle parole della presidente della Bce. Da giovedì i rendimenti di tutti i titoli di Stato europei hanno strappato violentemente al rialzo. Su quelli dei Paesi più fragili in particolare si è consumato un vero e proprio «tantrum», le «bizze» di investitori disabituati da oltre un decennio alle strette monetarie. Lo spread fra Bund tedeschi e titoli italiani a dieci anni si è impennato da 139 punti giovedì a quasi 170 ieri, prima che Lagarde parlasse all’europarlamento. In misura minore anche gli spread di Spagna e Francia hanno allargato sulla Germania, mentre il Ftse Mib di Milano ha risentito delle tensioni perdendo terreno mentre le altre piazze europee salivano. Del resto è inevitabile che la Borsa di Milano scenda quando sale lo spread, perché le condizioni di credito delle imprese italiane peggiorano rispetto a quelle delle concorrenti europee.
Titoli di Stato
La mini tempesta sul mercato dei titoli di Stato ai primi cenni di una stretta monetaria
Poi nel pomeriggio di ieri, Lagarde è tornata sui propri passi. Ha ricordato che più di metà dell’attuale inflazione è indotta dal rincaro dell’energia, che può ridurre consumi e investimenti facendo rallentare in futuro la dinamica dei prezzi: l’Europa è lontanissima da un surriscaldamento della domanda come negli Stati Uniti o da una spirale di aumenti dei salari per rincorrere i prezzi. La presidente della Bce ha sottolineato anche che le aspettative fra investitori e operatori «puntano a un ritorno dell’inflazione al 2% nel 2023» o sotto (ieri gli indicatori di mercato sono addirittura scesi, verso 1,7%). Ha soprattutto evitato di darsi scadenze, in attesa di capire dove andranno l’economia e i prezzi. «Abbiamo salvaguardie contro un aumento prematuro dei tassi, ogni correzione della nostra politica monetaria sarà graduale», ha insistito.
I mercati hanno ascoltato, ritracciando un po’ dopo gli strappi degli ultimi giorni. Ma scacciare il fantasma di un aumento dei tassi ravvicinato, dopo averlo evocato, sarà agevole come rimettere il dentifricio nel tubetto. Difficile che i mercati tornino alla calma di prima. Del resto i banchieri centrali del Nord Europa stanno mettendo la francese sotto pressione perché vari una stretta. E prima o poi questa dovrà arrivare, perché la ripresa resta forte. Ma vararla senza aprire una crisi sul debito di Roma resta un esercizio da equilibristi senza rete. Aiuterebbe, se l’Italia si facesse trovare pronta alla svolta quando arriverà. Ma a Roma non più di un pugno di persone sembra essersi accorto di quel che accade a Francoforte.