Corriere della Sera, 8 febbraio 2022
Intervista a Carla Signoris. Parla di quando passeggiò in un bsco con un ricercato, di Crozza, dei figli e dei film
È vero che, metà anni Settanta, ha girato l’America in autostop quando aveva solo 18 anni?
«Verissimo! – risponde Carla Signoris —. Avevo da poco preso la maturità e, con una compagna di scuola, il cui fidanzato aveva un parente a New York, ero riuscita ad ottenere il consenso dei miei genitori a fare questo viaggio: in due mesi ci siamo girate in tondo tutti gli Stati Uniti. Un viaggio iperformativo, ma mi ricordo ancora quella notte a Boulder in Colorado e, ripensando a quell’episodio, io il consenso ai miei figli non lo darei mai...».
Perché? Che è successo quella notte?
«Eravamo andate a cena con altri ragazzi, non rammento dove, forse una trattoria, una pizzeria... e poi decidemmo di fare una passeggiata in un parco enorme. Notte fonda, buio fitto e io chiacchieravo tranquilla con uno di quelli che avevo conosciuto a cena. A un certo punto arriva una pattuglia di poliziotti, acchiappano il ragazzo, lo sbattono dentro la macchina e se ne vanno. Io resto là come una tonta... non capivo come e perché lo avessero arrestato e comincio a vagare nel parco, finché uno dei poliziotti si deve essere chiesto: chissà dov’è finita quella scema che abbiamo lasciato da sola... e torna indietro. Mi carica in auto e mi porta a fare colazione. Io, nel mio pessimo inglese, quello che parlo ancora adesso, gli chiedo il motivo dell’arresto e l’agente mi spiega che era uno ricercato da tempo in diversi Stati! Forse era un rapinatore, un assassino, uno stupratore... chissà cosa aveva combinato e io non sapevo niente e passeggiavo di notte in un parco con lui!».
Ecco perché non darebbe il consenso ai suoi figli. Ma i suoi genitori, invece, glielo diedero tranquillamente?
«Erano tranquilli perché sapevano che con la mia amica dovevamo andare da quel parente, si fidarono e non li ringrazierò mai abbastanza per la loro incoscienza. Di tutte le avventure vissute in quel viaggio, ho omesso tante cose. Per esempio, la mattina dopo quella nottata nel parco col ricercato, telefonai a casa. Mi rispose papà che mi chiese: “Carla tutto bene?”. E io: «Sì, tutto bene. E invece... se avesse saputo la verità...».
Quindi lei, come madre, e suo marito Maurizio Crozza come padre, siete più prudenti?
«Forse perché Giovanni e Pietro li abbiamo avuti tardi, tra i 39 e i 41 anni. E meno male che li ho messi al mondo tardi, perché mi ero talmente entusiasmata che ora, di figli, ne avrei otto. Quando con Mauri siamo rimasti “incinti” ci siamo guardati, chiedendoci: sarà mica troppo presto? Incredibile, ma lì per lì non ci sentivamo pronti...».
E pensare che con Crozza vi siete conosciuti al liceo.
«Avevamo 14 anni, anzi lui 13 perché è più piccolo di me. Prima ancora che in classe, ci incontravamo alla fermata dell’autobus 41, in via Orsini a Genova. Lui, quando mi ha visto deve aver pensato: madonna quanto mi sta antipatica questa col kilt... eh sì, perché all’epoca, io indossavo rigorosamente questo indumento, poi sono passata al gonnellone e zoccoli in stile femminista hippie».
Vi siete subito innamorati?
«Macché! All’inizio forse una storiella... qualche bacio... poi ognuno ha fatto le proprie esperienze e infatti, quando ci siamo sposati nel 1992, al nostro matrimonio c’erano più ex fidanzati ed ex fidanzate che parenti. E uno dei miei ex è poi diventato addirittura il pediatra dei miei figli».
Però entrambi avete frequentato non solo lo stesso liceo, ma anche la scuola dello Stabile di Genova. La sua passione per il palcoscenico come è nata?
«Casualmente. In realtà, io non volevo fare l’attrice, ma la scenografa e alla scuola di Genova mi ero presentata pensando di poter fare un corso di scenografia, che invece non era previsto. Un giorno vado a vedere i provini di recitazione degli altri. Alla fine della mattinata, la commissione chiede: c’è ancora qualcuno che deve fare il provino? Io alzo la mano così, tanto per fare... Mi danno un testo da leggere, mi fanno fare qualche altro movimento in scena e sono stata presa. Ma la vera passione la devo a Carmelo Bene».
È stato un suo maestro?
«Assolutamente no. Una sera vado a vedere il suo Giulietta e Romeo. Stavo seduta in seconda fila e Carmelo, che mentre recitava osservava spesso il pubblico, incrocia il mio sguardo attento... Era come se mi dicesse vieni... vieni a recitare con me e in quel momento è partita la rumba del mio delirio. Una frenesia da invasata che, sulle prime, a mio padre non piacque molto e commentò la mia scelta dicendo: mio dio, la polvere del palcoscenico in casa no! Lui aveva una ditta di disinfestazione e di polvere se ne intendeva. Nonostante ciò, i miei genitori non mi ostacolarono, pensavano che non avrei continuato... tanto adesso smette... Tuttavia, al mio debutto erano presenti e sono sempre stati miei grandi sostenitori».
Un esordio avvenuto accanto a un’altra genovese, la grande Lina Volonghi.
«Mi ha insegnato elementi fondamentali del nostro mestiere. Prima di tutto i tempi teatrali, lei era un metronomo e sapeva come dirigere l’andamento di una battuta, se doveva provocare una risata oppure un’emozione. Inoltre posso affermare di essere cresciuta nel suo camerino, dove però potevo entrare solo dopo che aveva finito di giocare a carte con il suggeritore».
Dalla polvere di palcoscenico alla televisione con la compagnia dei Broncoviz, insieme al futuro marito...
«Con Mauri, Ugo Dighero, Marcello Cesena, Mauro Piovano e io l’unica donna: che fatica... Ma ci siamo divertiti da pazzi. Fu Bruno Voglino a volerci per partecipare ad Avanzi, dove i nostri video delle parodie sulle finte pubblicità, Grigiopirla, Caffè Rinko, Soffricini Pintus, eccetera... li giravamo nel giardino di casa».
Il suo primo film nel 1993 insieme a suo marito, però, era su un personaggio molto importante: «Ci sarà un giorno (Il giovane Pertini)», con la regia di Franco Rossi.
«Mauri impersonava il giovane Pertini e io la sua prima fidanzata Matilde Ferrari. La cosa incredibile è che questo film, realizzato per Rai2, non andò mai in onda in orari decenti, ma solo un paio di volte, credo, alle 4 del mattino. Pare che Carla Voltolina non avesse apprezzato molto il progetto proprio perché c’era di mezzo il ricordo di Matilde e per questo il film era stato trasmesso in sordina. Ma bisogna considerare che era il periodo di Tangentopoli, e vedere un attore comico nei panni di Pertini che diceva frasi tipo “noi socialisti salveremo l’Italia”, quando stava andando tutto a rotoli...».
Non solo teatro, televisione, cinema, lei ha anche scritto tre libri divertenti e di successo: «Ho sposato un deficiente», «Meglio vedove che male accompagnate», «E Penelope si arrabbiò».
«Sono nati per una esigenza precisa. Avevo i figli ancora piccoli e lavoravo poco per dedicarmi a loro, però avevo bisogno di sfogare la mia creatività e, negli intervalli in cui Giovanni e Pietro stavano a scuola, scrivevo».
A giudicare dai titoli, sembrano anche uno sfogo contro il matrimonio...
«No! Non sono libri autobiografici. Quando andavo a prendere i miei figli a scuola, mi capitava di chiacchierare con le altre mamme e dai loro discorsi, le loro lamentele, ho capito che un po’ tutte abbiamo sposato un deficiente, che tutto sommato stiamo meglio da vedove e che tutte, più o meno, siamo state tradite come l’eroina dell’“Odissea”. Insomma, tre libri un po’ trasgressivi rispetto all’idea canonica del matrimonio».
Voleva essere trasgressiva anche quando accettò la proposta della cantautrice Giua di andare al Festival di Sanremo con il brano «Feng Shui»?
«Non conoscevo Giua, un giorno mi chiama, mi intorta e mi propone di cantare insieme questa sua canzone... era un’idea divertente, ma purtroppo quelli del festival non ci hanno preso sul serio. Peccato, perché sono un’incosciente e sul palco dell’Ariston ci sarei andata davvero. Comunque abbiamo realizzato un video, riuscito bene».
Sono incoscienti anche i vostri figli? Hanno seguito le orme di mamma e papà?
«Beh, nei nostri confronti sono criticissimi, snobissimi, con un po’ di puzza sotto il naso rispetto a quello che facciamo il padre ed io, atteggiamento che ostentavamo anche Mauri ed io da ragazzi. Giovanni ha frequentato recitazione al Centro Sperimentale, ma il patto con lui era che prima si laureasse in Filosofia. Pietro ha studiato Fisica, ma gli piacciono i film di Christopher Nolan e il suo sogno è fare il regista... vedremo».
Presto lei sarà di nuovo in tv nella serie di Ferzan Ozpetek «Le fate ignoranti».
«Interpreto il personaggio di Veronica, la mamma della protagonista, interpretata da Cristiana Capotondi. Lavorare con Ferzan è sempre un grande piacere, perché pur essendo un regista che comanda e si fa rispettare, riesce a creare sul set un clima familiare, di leggerezza».
Ma a un altro film con il marito non ci pensa?
«Abbiamo lavorato tanto insieme e... mai dire mai. Tuttavia, facendo lo stesso mestiere certamente ci si capisce di più, ma a volte è pure meglio evitarsi...».