Corriere della Sera, 8 febbraio 2022
Il caso Viktor Medvedchuk e la legge che ha fatto infuriare Mosca
«Vostro onore, condannate pure il mio assistito: io lo so che è colpevole». Giovane difensore d’ufficio ai tempi dell’Urss, raccontano che i perseguitati politici facessero gli scongiuri pur di non vedersi assegnato Viktor Medvedchuk. Il poeta dissidente Vasyl Stus finì a processo e provò a salvarsi, ma di fianco aveva quella specie d’avvocato che nemmeno si rimetteva alla clemenza della corte: no, Medvedchuk s’alzò e chiese una pena esemplare. Anni dopo – il poeta morto di stenti nel gulag Perm 36, il comunismo ormai finito —, l’avvocato spiegò così la sua strategia difensiva: «Stus era un agitatore. La legge sovietica era quella. E andava applicata».
Russi che più russi non si può. Ricchi che più ricchi, nemmeno. Se la spina nel fianco del presidente ucraino Volodymyr Zelensky sono i 130 mila soldati schierati dal Cremlino al confine, quella nel cuore sono gli eterni oligarchi amici di Putin. Uno come il re del gas Dmitry Firtash, 56 anni, qualche amicizia mafiosa, uomo forte ai tempi di Yanukovich e del regime filorusso rovesciato dalla rivolta di Maidan. Un altro come il filantropo Len Blavatnik, 64 anni, proprietario di Warner Music e della Serie A su Dazn, l’amico d’Obama, di Trump e soprattutto di Putin. O uno come l’ex avvocaticchio Medvedchuk, 67 anni, la vera bestia nera, che non ha mai rinnegato le origini siberiane e la sua visione Mosca-centrica, fino a far battezzare la figliola Daria con Putin a far da padrino. «Da vent’anni facciamo le vacanze insieme – ha raccontato —, Vladimir una volta s’è presentato nella mia villa in Crimea con un orsacchiotto e un mazzo di fiori per Daria. Il nostro rapporto, io non lo sfrutto. Ma fa parte del mio arsenale politico».
Ne ha fatta di strada, Viktor: dai tribunali sovietici, è entrato nel salotto buonissimo dei 40 più ricchi del mondo, e solo dirottando petrolio russo in Europa. Poi ha fondato il primo partito filorusso d’Ucraina, Piattaforma dell’Opposizione, e nell’emergenza Covid è stato pure il primo testimonial del vaccino russo Sputnik. L’anno scorso, quando Zelensky ha promulgato una legge che proibisse a 13 oligarchi di far politica possedendo i media, era all’impero tv di Medvedchuk che pensava. L’amico di Putin è finito in galera, accusato d’alto tradimento, le antenne sono state oscurate, i beni congelati. «È una legge anti-russa», è stata la reazione furiosa del Cremlino: tempo un mese, guarda il caso, sono cominciati i movimenti di truppe al confine.
«Chiamano oligarchi quelli che noi chiameremmo semplicemente poteri forti», commenta un diplomatico a Kiev. Zelensky fu eletto per colpirli, ma oggi solo il 14% degli ucraini pensa di salvarsi dal disastro liberandosi dei Paperoni putiniani. Anche perché la legge non è uguale per tutti e per un Medvedchuk al gabbio, c’è un signore dell’acciaio (Rinat Ahmetov, padrone pallonaro dello Shaktar) che in questi venti di guerra riesce ancora a non ossidarsi, pur accusato di complottare contro Zelensky. Per non dire del filoccidentale re del cioccolato Petro Poroshenko, oppositore finito a processo, ma mai realmente toccato nei suoi affari. O d’Ihor Kolomoysky, che finanziava le milizie antirusse nel Donbass: ha perso la sua banca, eppure continua ad avere un’enorme influenza. «Non c’è Paese in Europa in cui gli oligarchi siano così potenti – dice l’economista Timothy Ash —. Non fanno parte del sistema: sono il sistema». E per espellerli, altro che una purga.