La Stampa, 8 febbraio 2022
Intervista a Roberto Cingolani. Dice che il caro bollette rischia di avere un costo superiore all’intero Pnrr
GENOVA. Nella nuvola di parole che viene proiettata alle sue spalle, a inizio conferenza, Roberto Cingolani cerca “energia”. Gliela indicano dalla platea, tra le molte altre: crescita, sviluppo, resilienza, ripresa. «Mi sarei aspettato di vederla in mezzo alla nuvola, molto più grande». Nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale di Genova, di fronte a trecento tra politici locali, dirigenti d’industria, rappresentanti delle categorie, studenti e cittadini curiosi, il ministro della Transizione ecologica riflette sulla grande chance del Recovery Plan.
Centonovantuno miliardi di euro sono una mole mai vista e fanno del nostro Paese il maggior beneficiario del Next Generation EU. Siamo pronti a sfruttare l’occasione?
«Non è tanto la mole finanziaria che deve metterci sull’attenti. È il fatto che il Pnrr è un piano integrato, che mette insieme diversi pilastri: digitalizzazione, infrastrutture, transizione ecologica, ricerca, inclusione. È molto più di un grande piano industriale, ed è finanziato in parte a fondo perduto e in parte tramite prestiti. Con un debito attorno al 160% del Pil, l’Italia non può sbagliare».
È preoccupato?
«Se non fossi ottimista non sarei seduto su questa poltrona. Ma mi preoccupa il costo dell’energia. Il suo aumento, nell’arco del prossimo anno, rischia di avere un costo superiore all’intero Pnrr. Questo ci dice che il cosiddetto piano Marshall non è la soluzione a tutti i nostri mali. Dipende da come sapremo sfruttarlo».
Lei ha più volte messo in guardia contro i rischi di “macelleria sociale” della transizione ecologica, per le sue ricadute sui posti di lavoro nell’automotive e non solo.
«Lo ripeto: una transizione giusta deve essere sostenibile sul piano ambientale come su quello sociale. Va affrontata senza ideologismi. Entro il 2030 dobbiamo raddoppiare le nostre fonti rinnovabili, vale a dire che, da quest’anno, dobbiamo decuplicare il numero di nuovi impianti eolici e fotovoltaici installati annualmente».
Nel Paese dei veti incrociati, dove troverete il posto per pannelli e pale?
«Abbiamo avviato un dialogo con le Regioni e i Comuni. Con il ministro Maria Stella Gelmini e l’Associazione nazionale dei comuni italiani, l’Anci, ci siamo già riuniti più volte. Lo scopo è identificare le aree idonee. Dobbiamo sfruttare soluzioni innovative, come le piattaforme galleggianti fotovoltaiche ed eoliche, a diverse miglia dalla costa. Solo a quel punto potremo parlare di transizione, e solo così avrà senso comprarsi un’auto elettrica».
Oggi è ancora presto?
«Se avessi 100 mila euro da investire, e non li ho, non li investirei in una Tesla. Ai costi attuali dell’energia, e con la capacità attuale delle batterie, non conviene. Non conviene nemmeno sul piano dell’impatto ambientale, perché il grosso dell’energia arriva dal gas, e quindi produce anidride carbonica».
Quando converrà?
«Il 2030 è il nostro traguardo, ed è soltanto l’inizio. Se non riusciremo a contenere il riscaldamento globale, nel 2050 avremo città costiere sotto il mare».
Quali sono gli ostacoli da superare subito?
«Alcuni sono di tipo tecnologico, altri ideologici. Il passaggio alle rinnovabili richiede la capacità di gestire i flussi, con una rete elettrica intelligente, perché la produzione di energia dal sole e dal vento è intermittente. Un altro aspetto tecnologico riguarda l’accumulo di energia che, proprio perché intermittente, dev’essere accumulata d’estate e nei giorni di vento, per poter essere consumata quando serve. Servono dei sistemi di accumulo. Ad oggi non sono maturi, dobbiamo svilupparli».
L’ostacolo ideologico?
«Le migliori menti sono al lavoro, in Italia, in Europa e nel mondo, per pianificare la transizione ecologica. Il loro peggiore nemico sono le ideologie. Devono avere l’umiltà di cambiare se, nel loro cammino, incontreranno nuove tecnologie migliori di quelle da cui sono partiti».
Sta parlando del nucleare?
«Non sono un nuclearista. L’Italia ha già detto no con due referendum e non torniamo indietro. Non possiamo guardare al nucleare di terza generazione, quello presente in Francia, che produce troppe scorie. Ma non possiamo neppure ignorare che esiste un nucleare di quarta generazione, fatto di piccoli reattori modulari, che generano pochissime scorie. General Electric lo sta sperimentando, Bill Gates anche. Tra dieci anni potrebbe dimostrarsi sostenibile. Non vedo perché l’Italia non debba fare ricerca e sviluppo in questo settore».
Tanto più che l’Unione europea ha incluso il nucleare nella tassonomia delle energie verdi.
«In Italia è stata data molta enfasi a questa notizia. La tassonomia è un documento finanziario, una classificazione delle attività considerate sostenibili perché non producono anidride carbonica. Il nucleare produce scorie, ma non anidride carbonica. Su questo non c’è dubbio. Semmai potrebbe far discutere la scelta di includere nella tassonomia il gas, che produce anidride carbonica, anche se molto meno del carbone, ed è perciò ritenuto una soluzione, in via transitoria, migliore». —