il Giornale, 7 febbraio 2022
I 90 anni di Ernesto Colnago, mago delle bici
È il Benvenuto Cellini della bicicletta (copyright Gianni Brera), per tutti è molto semplicemente il Maestro, anche se mercoledì prossimo Ernesto Colnago sarà professore, fors’anche per un sol giorno Magnifico Rettore della Bocconi, che l’ha invitato in pompa magna per festeggiare i suoi primi novant’anni. Oltre al rettore, quello vero, Gianmario Verona e al professor Tito Boeri, ci saranno in presenza e in remoto Beppe Saronni iridato ’82, il ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao, oltre al professor Romano Prodi e all’ex presidente della Ferrari, Luca di Montezemolo. Saranno in tanti a festeggiare il simbolo della bicicletta nel mondo, volto sempre a guardare avanti a sé, nonostante alle spalle abbia una storia difficile da condensare in poche righe di intervista. Ed è questa la cosa più difficile. La più facile e scontata è chiedergli subito come ci si sente dopo novant’anni di storia.
«Mi sento sorpreso, perché mi sembra quasi impossibile essere arrivato ad un traguardo simile. Me ne sento almeno venti di meno».
Sorpreso della Bocconi che la vuole onorare?
«Orgoglioso e intimorito: sarò all’altezza? Beppe Saronni, un campione che io da sempre considero come un figlio, ha sempre detto che la mia storia andrebbe raccontata nelle scuole: il suo desiderio sta per realizzarsi».
Prima l’Onu che l’ha appena premiato come ambasciatore della bici, adesso la Bocconi
«Pensi, un piccolo artigiano che ha cominciato la sua storia in un bugigattolo di cinque metri per cinque».
Un nome: Giorgio Albani, per Gianni Brera, il primo abatino della storia.
«Nel 1955 Giorgio, professionista di buon livello, mi invitò a pedalare con Fiorenzo Magni. Ad un certo punto ci fermammo a una fontana, Fiorenzo si lamentava per un fastidioso dolore alla gamba e io, molto timidamente e dandogli del lei, gli feci notare che aveva una pedivella storta. Albani esortò Fiorenzo: «Andiamo nella sua bottega per sistemarle». Fiorenzo in verità si rifiutò di entrare: «Non porto la mia bici in quel bugigattolo», disse. Poi si convinse, riparai la pedivella e ripartì. Fece un intero allenamento senza fastidi. Il giorno dopo mi mandò a chiamare da Isaia Steffano, il suo massaggiatore: il signor Magni ti vuole al Giro. Da lì cambiò la mia vita».
Tante le vittorie: quasi 60 titoli mondiali, 18 olimpici, oltre 800 successi. Molti di questi firmati Merckx.
«Eddy non è stato solo un grandissimo campione, ma è stato tra i pochissimi campioni a stimolarmi nella ricerca».
Prima Fiorenzo Magni ed Eddy Merckx, poi Enzo Ferrari: un altro che le ha cambiato la vita.
«Mi ero messo in testa di fare un telaio in carbonio. Chiamo Mauro Forghieri, all’epoca direttore tecnico della Ferrari, e ci incontriamo appena fuori Modena, alla trattoria La Rustica. Spiego a Forghieri che vorrei incontrare il Drake per parlargli della mia idea. Il giorno dopo ci ricevono. Io ero con mio genero Vanni e Beppe Saronni. Con il Drake c’erano suo figlio Piero e Forghieri. Gli esposi la mia idea, e la cosa che mi colpì è che mi rispose parlandomi in brianzolo, visto che ai tempi della Alfa Romeo aveva vissuto a Milano. Nacque lì una collaborazione durata trent’anni grazie a Ferrari Engineering e al mio amico Luca di Montezemolo».
Cosa ricorda di quell’incontro risolutivo?
«Gli rivelai imbarazzato di aver già superato i 50 anni, quindi di non essere più un ragazzino. Lui mi rimproverò: «Vergognati! mi disse deciso -. È l’età in cui ho cominciato a fare le cose migliori». Poi quando fummo a tavola, al Cavallino, fu lui a esortarmi a fare la forcella anteriore dritta. La disegnò su un tovagliolo al ristorante, mangiando mortadella: tornai a casa, ci pensai bene. E il mattino seguente la realizzai».
La vittoria che porta dentro?
«La Sanremo del ’71 di Michele Dancelli, il record dell’ora di Merckx, i due Tour di Tadej Pogacar e la Parigi-Roubaix del ’94, dopo una vigilia parecchio tribolata. I corridori non si fidavano a correre sul pavé con le bici in carbonio e soprattutto con la forcella dritta. Dopo un confronto franco con l’amico Giorgio Squinzi, il giorno dopo corremmo con bici in carbonio e forcella dritta e Franco Ballerini firmò un successo storico».
Cos’è per lei la bici?
«Come diceva Enzo Ferrari, il mezzo più perfetto che sia mai stato costruito. Le bici fatte bene e con cura, sono uniche».
Tanti gli uomini che ha incontrato lungo la sua strada, chi ha più a cuore?
«L’uomo che mi ha cambiato la vita è una donna: Vincenzina, mia moglie. Con lei ho fatto tutto. Da cinque anni si è solo allontanata, ma c’è. Siamo stati proprio un bel tandem».