il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2022
Intervista al giurista Geminello Preterossi
“Esiste il partito che diffida degli italiani (PdI, in sigla), che è già maggioranza in Parlamento e farà di tutto per rimanere tale anche dopo il voto. Conosce le regole del pugilato? Prima ti pesi e poi combatti. Questi qua hanno sfiducia nella capacità dei loro concittadini di votare perché pensano (e in effetti non sbagliano) che loro non sarebbero mai premiati. Quindi devono cercarsi il sostituto funzionale dell’urna”.
Il giurista Geminello Preterossi ritiene che teorizzare l’emergenza, come elemento tipico del paesaggio politico, dia la possibilità di fare un po’ quel cavolo che si vuole.
La premessa della rielezione di Sergio Mattarella quale è stata? Il conflitto perenne, lo stallo, l’incapacità di dare al Paese quel che il Paese attende ansioso. Il Parlamento non riusciva a trovare un nome decente come capo dello Stato? Magnifico! Ecco la soluzione! E l’anno scorso l’emergenza – sanitaria e sociale – costituì la premessa per l’edificazione del governo tecnocratico. Mica potevamo permetterci di far votare gli italiani? Chissà quale altra sciagura avrebbero combinato. E già siamo in attesa di conoscere la prossima emergenza per ridurre nel prossimo Parlamento l’effetto delle urne.
Quale sarà, professore?
L’emergenza istituzionale. Si dirà che è assolutamente necessario rimodulare la legge elettorale per rendere governabile l’Italia. E questa sarà il traino per il coagulo delle forze che non vogliono misurare il potere con il consenso ma ambiscono a misurare il potere attraverso il potere. Sono i trombi nel sistema venoso della democrazia. Ha visto quante sigle ai nastri di partenza? Coraggio Italia, Italia Viva, Alternativa Italia…. Azione, poi Europa, più Europa, poi quell’altra che non ricordo…
C’è anche Casini, persino Mastella, Tabacci eccetera.
Questa nebulosa centrista che sta venendo all’orizzonte fa già parte integrante del partito sistema, così chiamo io il Partito democratico, che è al potere malgrado il voto, nonostante il voto, anzi contro il voto popolare. Poi l’elezione di Mattarella produce altri effetti enormemente critici.
Perché il suo discorso torna sempre su Mattarella?
Rieleggerlo significa aprire la strada all’elezione diretta. Perché è chiaro che d’ora in avanti la non rielezione significherà sfiducia per chi occuperà quello scranno. Quattordici anni poi, e si è detto, è il tempo di un monarca. Ma sa qual è la questione più acuta?
Il rapporto gravemente squilibrato tra Quirinale e Parlamento, oggi a favore del primo.
L’aumento del peso del potere quirinalizio, che già finora si è spinto fino a sindacare gli indirizzi politici governativi (ricordate il rifiuto di nominare ministro il professor Savona nel Conte 1?) e poi a rifiutare le urne per dare invece corso al governo Draghi, ora acquisisce altro potere mentre il Parlamento pare un consesso di figuranti, di corpi plaudenti ma inabili ad esercitare la sovranità nazionale. Un ornamento, diciamo.
Il prossimo Parlamento sarà più piccino nei suoi numeri e quindi più debole nella sua capacità di rappresentanza.
I bischeri dei Cinque Stelle hanno fatto un pastrocchio. Loro, teorici della centralità parlamentare, hanno cavalcato la tigre stupida della riduzione dei suoi membri per ridurne i costi provocando però l’effetto opposto rispetto ai loro propositi, quello di un downgrade costituzionale.
E quindi?
Quindi ci potremo trovare, nel prossimo futuro, nel convincimento diffuso che solo un Palazzo conti davvero: il Quirinale. L’elezione diretta del presidente formalizzerà il fuggi fuggi verso il Colle. È lì che si comanda, lì che si decide, lì che si garantisce l’unità nazionale. Il Parlamento è solo tappezzeria.
Invece tappezzeria non sarà.
Perciò i gruppetti centristi, quelli che urlano tanto ma non hanno mezzo voto, sono felicissimi della svolta proporzionale e affatto rabbuiati se l’astensione avanzerà ancora di più. Un modo per continuare a contare malgrado gli italiani.