La Stampa, 7 febbraio 2022
Intervista a Giuseppe Conte
«Nel Movimento nessuno deve sentirsi indispensabile, nemmeno io». Giuseppe Conte dice di aver preso in mano i 5 stelle «per costruire, non per favorire scissioni». Ma anche che «le correnti non possono esistere, si decide la linea insieme, poi la si rispetta».
Presidente, il caso Belloni è diventato una sorta di giallo. Davvero pensava, quando ha chiamato Beppe Grillo, che su di lei ci fosse un accordo pronto e già avallato dalle altre forze politiche? E non, come ha detto il Pd, un’intesa di massima su una rosa che andava ancora vagliata?
«Ho già chiarito che su quel nominativo non si è arrivati all’ultimo. Quando l’abbiamo proposto a Salvini con Letta eravamo consapevoli che era un nome solido e super partes, lo stavamo vagliando da giorni, fermi restando i passaggi finali interni che ciascun partito si riservava di fare. Il sì di Salvini è stata una svolta importante, insieme a quello della Meloni, eravamo a un passo. Poi è intervenuto il partito trasversale che non vuole il cambiamento nel Paese».
Si è molto arrabbiato per la dichiarazione arrivata dal ministro degli Esteri a trattativa in corso. È stata però proprio Belloni a definire Di Maio sempre leale. Questo smentisce i vostri sospetti?
«Tanto Elisabetta Belloni quanto Paola Severino rispondevano all’identikit che ci eravamo dati: personalità di alto profilo, super partes. In aggiunta, entrambe offrivano l’occasione storica di introdurre un elemento di forte innovazione nel sistema politico italiano eleggendo al Colle una donna per la prima volta».
Ma Di Maio già il giorno prima del fatidico venerdì aveva detto: «Elisabetta è mia sorella, si stia attenti a non usare il suo nome per spaccare la maggioranza». Lei sapeva che quel nome avrebbe creato problemi.
«Quelle dichiarazioni mi hanno sorpreso, visto che Di Maio stesso ha sempre sostenuto che i nomi non vanno bruciati. Infatti io in pubblico ho sempre evitato di farli. E non mi sono mai arrivate, all’interno del Movimento e della cabina di regia, obiezioni di sorta. Anzi».
Non teme che quest’insistenza sulla necessità che al Colle andasse una donna sia irrispettosa nei confronti di Sergio Mattarella?
«Il nostro gruppo parlamentare ha sempre apprezzato Mattarella ma all’inizio non c’era la disponibilità del capo dello Stato e non c’era una sufficiente maggioranza numerica. Siamo un movimento che osa, prova a cambiare le cose. Abbiamo tentato la strada di una donna autorevole al Colle, ce l’hanno sbarrata. Non è mai stata una linea irriguardosa nei confronti del presidente, un’opzione di garanzia che come Movimento abbiamo fatto crescere costantemente nelle votazioni».
Non è stato Di Maio?
«Non so cosa abbia fatto concretamente Di Maio. So solo che con i capigruppo abbiamo sempre vigilato perché quest’opzione crescesse giorno dopo giorno e rimanesse valida sino alla fine. E aggiungo che la mia più forte premura è che ci fosse un’ampia maggioranza numerica. Condizione che si è realizzata solo la mattina del voto finale, con l’apertura della Lega».
Quando ha preso in mano il Movimento ha promesso meno verticismo rispetto al passato. Ma il conflitto nato sembra dimostrare il contrario. Non è che il padre padrone lo sta facendo lei?
«Mi dicono che nella storia del Movimento non ci siano mai stati tanti incontri e cabine di regia come in questi mesi. Questo sforzo serve a mettere a punto in maniera collegiale una linea politica che spetta a me riassumere e portare avanti. Seguire un diverso indirizzo, andare in direzioni opposte, non significa tanto indebolire una leadership quanto creare confusione e danneggiare il Movimento».
Quindi non può esserci un’idea di minoranza?
«Quando una linea passa in assemblea congiunta e viene costantemente aggiornata in cabina di regia va rispettata. Non possono esserci agende personali, doppie o triple».
È consapevole che dire no alle correnti possa significare anche vietare il pluralismo delle idee?
«La forza del Movimento è sempre stata quella di non cedere al correntismo della vecchia politica. I nostri iscritti si possono esprimere online sui passaggi più salienti. La possibilità di discutere progetti e idee e di elaborare proposte anche nella varietà di opinioni è per noi fondamentale. Preannuncio anzi che con la nuova piattaforma della Scuola di formazione, che inaugureremo tra breve, moltiplicheremo i luoghi di discussione. Ma certo non potrò permettere che mentre prima si andava in piazza a fare battaglie civili e politiche, oggi si vada in piazza a palesare correnti. Quella mossa ha creato dolore e malumori nella nostra comunità. Anche per questo ho valutato come doverose le dimissioni di Di Maio dal comitato di garanzia».
Vincenzo Spadafora ha chiesto un congresso, non un processo pubblico. Che cosa ha in mente?
«Ci saranno dei momenti di confronto dove potremo analizzare quanto successo anche al fine di evitare che questi errori si ripetano. Né possiamo tollerare per il futuro guerre di logoramento interno: la nostra comunità è sana e si opporrà in modo compatto a queste degenerazioni della “mala politica” da chiunque provengano».
Preferirebbe che Di Maio uscisse dal M5S?
«Io sono qui per costruire e rilanciare il Movimento, non ho mai lavorato per distruggere o provocare divisioni».
Dovrebbe dimettersi anche da ministro degli Esteri? Possono esserci conseguenze sul governo?
«Ho chiarito anche al presidente Draghi che il Movimento vuole contribuire a realizzare un patto per i cittadini per rafforzare l’azione di governo: nel nostro orizzonte non ci sono rimpasti o discussioni sulle caselle di governo».
L’ex capo politico M5S l’ha chiamata nella sua squadra. Ha rinunciato a fare il premier per non accettare un accordo con Berlusconi e ha proposto lei al suo posto. Non è che la vera battaglia riguarda le liste delle prossime politiche e la necessità di superare il vincolo del doppio mandato?
«Lavorerò perché tutti nel Movimento possano sentirsi parte di una medesima comunità, possano condividere principi e valori, siano generosi e non si lascino distrarre dai propri destini personali. Tutti devono sentirsi importanti ma nessuno, a partire da me, deve mai sentirsi indispensabile».
Non ha ancora preso una decisione sul terzo mandato?
«Non è ancora all’ordine del giorno, ma comunque nella decisione saranno coinvolti gli iscritti».
L’incontro con Mario Draghi è servito ad assicurare che non volete far cadere il governo? O uscirne per mettervi all’opposizione?
«L’incontro è stato molto positivo perché ha offerto l’occasione di rappresentare la forte determinazione del Movimento di contribuire a rafforzare l’azione di governo e di intervenire per le molteplici urgenze che sta vivendo il Paese. Se Draghi fosse stato eletto presidente della Repubblica, considerate le divisioni emerse nei giorni scorsi all’interno della maggioranza, è facile pensare che adesso, anziché ai provvedimenti che servono per i cittadini, staremmo a discutere di accordi politici e scambi di poltrone».
Quali sono le urgenze?
«Il caro bollette, che rischia di compromettere la ripresa economica perché i costi sono talmente alti che il sistema produttivo – che già soffre della scarsità di approvvigionamento delle materie prime e dell’inflazione – potrebbe ritrovarsi completamente in ginocchio. E poi il milione di interventi e operazioni slittate nei nostri ospedali per il contrasto al Covid, che ora devono essere recuperati».
Il presidente del Consiglio pensa che per un nuovo scostamento di bilancio non ci siano i margini. Come si fa?
«Noi lo chiediamo da settimane perché riteniamo che occorrano risposte coraggiose per assicurare una stabile ripartenza e assecondare una robusta ripresa».
La pensa come Salvini, che preme per nuove misure. Dopo il gelo seguito alla caduta del suo primo governo, avete trovato una nuova intesa nella trattativa sul Quirinale?
«Si è molto fantasticato su questo dialogo che ho intrattenuto con il centrodestra e Salvini in particolare anche a nome del Pd e di Leu. Ma dialogo non significa sotterfugi né accordi inconfessabili. Le trattative si sono svolte con costante coinvolgimento di Enrico Letta e Roberto Speranza e nella consapevolezza che non essendoci numeri sufficienti, come abbiamo sempre detto, sarebbe stato necessario puntare a personalità super partes e cercare un’ampia condivisione a garanzia di tutti».
Di Battista, che si è riavvicinato a lei, dice che perché rientri deve togliere l’appoggio a Draghi. Che non si fida di Letta e che l’alleanza con il Pd è la morte nera. Che farà?
«Rispetto le opinioni di Alessandro Di Battista, ma il Movimento è entrato in questo governo consapevole di assumersi una responsabilità che va portata avanti sino a quando non verranno raggiunti gli obiettivi che ci siamo prefissati. Quanto al Pd il dialogo andrà coltivato nel rispetto reciproco».
Alle prossime politiche sarete insieme al Pd in un sistema maggioritario, o con il proporzionale ognuno farà la sua corsa?
«Ancor più con la riduzione del numero dei parlamentari, occorre intervenire per offrire un’adeguata rappresentanza politica delle varie forze in campo e garantirne una reale rappresentatività».
Quindi proporzionale?
«Credo che una legge proporzionale sia lo strumento più efficace per interpretare la fase politica che stiamo vivendo: consentirà alle forze politiche di dialogare tra loro o differenziarsi presentando un’offerta politica più chiara e lineare ai propri elettori».
L’inchiesta sul traffico di influenze che ha coinvolto Grillo dimostra che il Movimento è permeabile a interessi privati?
«Sono fiducioso che le verifiche in corso dimostreranno la piena correttezza dell’operato di Beppe Grillo».
Come va riformato il Csm?
«Ci deve essere una chiara differenziazione di ruoli tra politica e magistratura e dobbiamo assolutamente evitare le porte comunicanti, per rafforzare la credibilità dei magistrati e per offrire la massima chiarezza».
Un magistrato che entra in politica non può tornare a fare il giudice?
«Un giudice deve non solo essere ma anche apparire imparziale; quando scendi nell’agone politico perdi quest’aurea di terzietà».
Quando ha proposto Andrea Riccardi alla presidenza della Repubblica, non ha pensato che il centrodestra potesse ritenerlo una provocazione? E che fosse una figura distante dallo stesso 5 stelle, per le posizioni sullo ius soli?
«Non l’ho intesa come una proposta provocatoria, ma anzi come la possibilità di far compiere anche alle forze più conservatrici del Paese un salto di qualità sul tema della politica migratoria in linea con quella che è la sensibilità della comunità di Sant’Egidio: puntare sui corridoi umanitari, che consentono di offrire a persone realmente in difficoltà, in pericolo, una prospettiva di vita migliore, gestendo e regolando i flussi migratori e concentrando l’attenzione sulle politiche di integrazione. Quelle che realmente servono al nostro Paese». —