Anteprima, 21 gennaio 2022
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Biografia di Sergio Lepri
Sergio Lepri (1919-2022). Giornalista. Direttore dell’Ansa dal 1961 al 1990. «Brevilineo, asciutto, sportivo – ha sciato fino a 96 anni, giocato a tennis fino a 97, salito le scale di casa sino alla fine - e nello stesso tempo dolce, pacificato, sorridente. Si era laureato in un giorno fatidico: 10 giugno 1940, la dichiarazione di guerra. Siccome gli mancavano due millimetri per essere ammesso al corso ufficiali (l’altezza minima era un metro e 60, lui era un metro e 59 e 8 millimetri), fece tutta la gavetta: caporale, caporalmaggiore, sergente. Dopo l’8 settembre, evitò di essere preso dai tedeschi e di andare a Salò. Iscritto al partito d’Azione, fece la Resistenza da giornalista, anzi da direttore, guidando un foglio clandestino. Dopo la Liberazione entrò al Mattino di Firenze, direttore Ettore Bernabei. “Fu il primo giornale moderno: grandi foto, titoli secchi, inserto della domenica, pagina dei ragazzi, e pure il cruciverba. L’editore non era la Dc, ma Montini, il futuro Papa: era stato lui a trovare i soldi. Io ero il caporedattore, mi affidavano anche lunghe inchieste. Nel 1952 passai tre mesi negli Stati Uniti, evitando con cura New York e la California. Mandai 26 articoli, tutti dall’America sconosciuta: il Kentucky, l’Illinois…”. Da fiorentino, lavorò per due settimane al quotidiano di Florence, Alabama; ma quando scrisse un articolo sulle ragazze del college, tutte belle, tutte uguali, tutte bianche – i neri erano nel ghetto -, l’aria divenne irrespirabile. Giorgio La Pira gli fece avere il visto per l’Unione Sovietica, dove mise in pratica la regola fondamentale del cronista: per capire un Paese, bisogna andare al mercato, in chiesa, e al cimitero. “Nei cimiteri c’era moltissima gente. Le tombe erano interrate, e attorno c’erano sedie su cui vedove e orfani passavano intere giornate, a far compagnia al defunto; siccome non si trovavano fiori, portavano quelli di carta. Non parlavo il russo; ma tanto loro non dicevano nulla. Restavano lì”. Fu portavoce di Fanfani, pur non essendo democristiano (votava Pri); e quando il presidente del Consiglio gli chiese di licenziare il capo dell’Agi – aveva dato per morto il Papa che era ancora vivo –, rifiutò. Stanco della politica, nel 1961 divenne direttore dell’Ansa, e lo restò per trent’anni, portandola a diventare la quarta agenzia al mondo, davanti alla Dpa tedesca e all’Efe spagnola, con corrispondenti da tutte le capitali» [Cazzullo, CdS]. È stato docente di Linguaggio dell’informazione presso la Scuola di giornalismo dell’Università Luiss dal 1988 al 2004. Morto a Firenze. Lascia tre figli, Stefano, Paolo e Maria, tutti giornalisti, avuti dalla moglie Laura, morta dieci anni fa.