3 gennaio 2022
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Biografia di Roberto Speranza
Roberto Speranza, nato a Potenza il 4 gennaio 1979 (43 anni). Politico (Articolo uno; già Partito democratico, Democratici di sinistra, Partito democratico della sinistra). Ministro della Salute (dal 5 settembre 2019). Deputato (dal 15 marzo 2013). Ex capogruppo del Partito democratico alla Camera (2013-2015). Segretario (dal 7 aprile 2019) già coordinatore nazionale (2017-2019), nonché cofondatore, di Articolo uno (inizialmente denominato «Articolo uno – Movimento democratico e progressista»). «Giovane di lungo corso» (Pier Luigi Bersani, nel 2012). «Penserete che io sia novecentesco, ma rifuggo la comunicazione esagerata e resto parsimonioso nell’utilizzo dei social. […] Non amo la politica che alimenta rumore di fondo. L’idea che un leader per essere tale debba piazzare una frase a pranzo e a cena in ogni tiggì mi resta estranea» (a Gad Lerner) • «Nel cognome una virtù teologale, nei nomi di battesimo un destino tutto politico: oltre a Roberto, ci sono anche Sandro e Raul. Racconta: “Mio padre, socialista lombardiano, mi ha spiegato che quando sono nato pensò: se ci dovesse essere una rivoluzione in Italia, mio figlio si deve chiamare come uno dei Castro. Mia mamma, invece, era innamorata di Sandro Pertini. Sono nato pochi mesi dopo la sua elezione alla presidenza della Repubblica. Oltre al nome, mi ha trasmesso la fissazione: ho conservato un tema di terza media in cui scrivo che il mio mito è proprio Pertini”» (Vittorio Zincone). «Mia madre è inglese: lì è nato mio fratello Peter, mio zio è un imprenditore nel settore alberghiero, mio cugino Nick è stato collaboratore del premier laburista Gordon Brown». «Lei quando ha cominciato a fare politica? “Da ragazzo, a scuola. Ero rappresentante d’istituto nel mio liceo, a Potenza”. Università? “Mi sono trasferito nella capitale anche per assecondare la fede calcistica giallorossa. La Luiss a Roma. Scienze politiche, laurea su Carlo Rosselli. […] Una volta laureato, la Luiss cominciò a mandare in giro il mio curriculum. Venni preso alla Barilla. Settore risorse umane. Ma, dopo qualche mese a Parma… mi dimisi”. Perché? “Un gruppo di amici mi convinse a tornare a Potenza per fare il segretario regionale della Sinistra giovanile. Senza indennità. Può immaginare come la presero i miei genitori”. Il suo primo comizio? “Risale proprio a quel periodo. Mi assegnarono l’apertura della campagna per le Europee, in una piazza strapiena di Potenza. Mi tremavano le gambe. Quello stesso anno venni eletto consigliere comunale”» (Zincone). «Ha cominciato la carriera politica da consigliere comunale a Potenza, sotto la guida di Alfredo Reichlin: “È stato il mio maestro”. Nel 2007 è presidente nazionale della Sinistra giovanile, poi assessore sempre nella sua città» (Monica Guerzoni). «Nel 2009, mentre Renzi diventava sindaco di Firenze… “… io venivo eletto segretario regionale del Pd. Il candidato forte dei bersaniani era un altro. Mi chiamò Filippo Penati, che era capo della segreteria politica di Bersani, e mi disse che avrei dovuto rinunciare alla candidatura. Mi rifiutai, e riuscii a ribaltare anche il voto degli iscritti, che avevano scelto il candidato di Dario Franceschini”» (Zincone). «Nominato al vertice dei Giovani democratici da Walter Veltroni, si è fortemente legato a Bersani. Nel 2012 l’allora segretario aveva scelto il “giovane” Speranza come coordinatore della sua campagna in risposta a Boschi, Bonafè e Biagiotti, le tre quasi coetanee volute nello stesso ruolo da Renzi alle primarie per il candidato premier del centrosinistra, poi vinte proprio da Bersani» (Michele Bocci). «È entrato per la prima volta in Parlamento nel 2013, e in quella legislatura è diventato il presidente del gruppo Pd alla Camera, il più numeroso della storia repubblicana. Racconta: “Dopo dieci giorni dalla mia elezione ci fu la stroncatura della candidatura al Quirinale di Romano Prodi. È una ferita che sentiamo ancora sulla pelle. Io in modo particolare. Non credo che si rimarginerà facilmente”» (Zincone). «Lascia l’incarico il 15 aprile 2015 in aperta polemica con la segreteria renziana sulla legge elettorale Italicum. Il 20 febbraio 2017 Speranza lascia il Pd e segue Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema nel nuovo partito, da loro costituito, Articolo 1-Mdp, di cui sarà segretario. Eletto nel 2018 come deputato tra le file della lista “Liberi e uguali con Pietro Grasso”, a settembre 2019 Speranza diventa il ministro della salute nel governo Conte II, unico esponente di Leu a entrare nella compagine dell’esecutivo. […] Speranza è stato riconfermato, il 13 febbraio 2021, da Mario Draghi alla guida del dicastero» (Giulia Marrazzo). «Appena arrivato, ho abolito i superticket». «L’attività di Speranza […] va distinta in due momenti: pre- e post-Covid. Una data fa da spartiacque: è il 14 dicembre 2019, quando alla conferenza stampa di fine anno al ministero Speranza presenta, con una ventina di slide, i primi cento giorni per la Salute. La sua azione è già indirizzata verso tre obiettivi: più assunzioni, più risorse e maggiore vicinanza dei medici di base alle strutture pubbliche. Riesce a frenare l’annosa emorragia di tagli alla sanità ottenendo in legge di bilancio quattro miliardi e mezzo, di cui due da destinare al fondo sanitario nazionale e altri due e mezzo per l’edilizia sanitaria. Ma soprattutto Speranza intuisce […] che il Ssn si trova ad operare in una società profondamente cambiata, dove la piramide demografica si è invertita: masse di anziani, spesso afflitti da patologie croniche, si riversano negli ospedali anche solo per effettuare semplici controlli perché non hanno altri punti di riferimento. Perciò mette a disposizione 240 milioni per i medici di famiglia per l’acquisto di strumentazioni nuove, dagli spirometri alle macchine per l’elettrocardiogramma. Lo scopo è liberare i pronto soccorso, consentendo alla medicina di base di fare screening a una parte della popolazione che altrimenti intaserebbero le strutture pubbliche. Poi arriva il Covid, ed è come un ciclone che travolge tutto» (Monica Rubino). «C’è stato un momento preciso in cui si è reso conto della catastrofe in arrivo? “Direi che i momenti sono almeno tre. Quando ho visto arrivare dalla Cina le immagini della chiusura di Wuhan, subito ho riunito la task force del ministero. […] Fu un brutto colpo la telefonata di Peppe Ippolito, direttore dello Spallanzani, che mi avvertiva dei due cinesi trovati positivi. Era il 30 gennaio. Ho chiamato l’assessore regionale del Lazio, Alessio D’Amato, e poi subito il presidente Conte. L’indomani, 31 gennaio, il governo ha decretato lo stato d’emergenza. Le date sono importanti: lo abbiamo fatto in contemporanea con l’emergenza globale dichiarata da Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore dell’Oms”. E il terzo momento? “È l’inizio della fase nera. La sera tardi del 20 febbraio, ero da poco rientrato a casa, mi telefona da Milano l’assessore Gallera: si registrano dei positivi a Codogno. La mattina dopo vado in Protezione civile; poi, insieme a Silvio Brusaferro, dell’Istituto superiore di sanità, e ad Angelo Borrelli voliamo in Lombardia”. Bloccare i voli diretti con la Cina non è stato un errore? “Dovevamo arrestare un flusso di arrivi dalla Cina di 60 mila persone a settimana. Non gestibile. Negli altri Paesi hanno provveduto le compagnie di bandiera, noi lo abbiamo fatto come governo. E in ogni caso ora sappiamo che il virus già circolava in Italia”» (Lerner). «Si è trovato davanti una sfida enorme e inedita, che ha affrontato professando in tutti i contesti massima cautela. Speranza è sempre stato per la linea dura, quando si è trattato di decidere su lockdown, chiusure, riduzioni di attività. Ha sempre parlato chiaro riguardo ai rischi legati al virus e alla necessità di rinunciare ad alcune libertà per ridurre i contagi e proteggere la popolazione più fragile, evitando anche di far travolgere il sistema sanitario. Ha cercato di lasciare lo spazio ai consulenti suoi e del governo, in primis il Cts, quando si è trattato di prendere decisioni tecniche, e ha quasi sempre retto di fronte alle proteste di chi chiedeva una maggiore elasticità e più aperture, sia da dentro il governo che dalle Regioni» (Bocci). «Come si sente Speranza? “Come Totò”. Si sente infatti “preso in mezzo tra due che mi danno schiaffi per darsele tra loro; e ‘Io non so’ Pasquale’, diceva Totò mentre le prendeva al posto di Pasquale”. Ecco: “Irresponsabile” dice Salvini, “inadeguato” risponde Meloni, accusando lei il colpo che sotto la cintura si becca… Speranza. E, quando lei rilancia con “incompetente”, lui sgancia un “mascalzone”. E, se Fratelli d’Italia presenta in Parlamento la mozione di sfiducia, la Lega risponde con una commissione d’inchiesta. […] Ma, più lo insultano e lo colpiscono, più lo rafforzano; e, più lo vogliono allontanare da Draghi, più lo avvicinano. “E non c’è dubbio – ammette Speranza – che in questo governo la mia cultura sia quella più a sinistra”. Dunque quel “grazie al ministro Speranza” […] in conferenza stampa è galateo, ma non solo di simpatia e di confidenza: “Lo stimo e l’ho voluto io” è contaminazione politica. È forse è la prima volta che Draghi come Don Chisciotte, caricato di crisma e carisma, ascende al rango della Cavalleria, cioè della Politica, per riparare i torti che la sinistra del suo governo sta subendo dalla destra del suo governo e restituirle l’onore: “È un governo di unità nazionale e non bisogna farsi dispetti”» (Francesco Merlo). «Dal centrodestra l’hanno accusata di essere il leader dei “chiusuristi”, che uccidono l’economia… “Ciascuno risponde alla propria coscienza: io ho giurato sulla Costituzione di garantire il diritto alla salute delle persone. Ma trovo inaccettabile la contrapposizione tra ripartenza economica e battaglia sanitaria: vincere quest’ultima è la premessa per la ripresa”. Dica la verità, si è sentito sempre “coperto” dal premier Draghi? “Sempre, c’è totale sintonia tra noi, ma devo dire che, nell’ambito del governo, ho riscontrato molta condivisione. […] L’ho detto anche a Salvini: la prima regola per me è non fare politica sulla pandemia, in cerca di consenso. Non ci si può mettere a litigare sul numero delle persone sedute ai tavolini: facciamoci guidare dalla scienza”» (Massimo Giannini). «Rivendica le scelte fatte, il ministro: “La gratuità del vaccino, comprato dallo Stato e pagato dallo Stato, non dalle Regioni come per l’antinfluenzale; la gestione centralizzata; l’obiettivo finale: raggiungere l’immunità di gregge”» (Annalisa Cuzzocrea). «Rifarei tutto? Me lo sono chiesto tante volte. Penso che, se tornassi al primo lockdown, quello del 7 marzo 2020 in Lombardia, ebbene… in quel momento chiuderei tutto il Paese, chiuderei di più» • «Speranza è […] il bravo ragazzo che si fa male da solo, il ministro della Salute che si rovina la salute, l’extramagro che – incredibile – ha perso una decina di chili ed è ridotto pelle e ossa. È il secchione “doverista” tutto nervi e fogli di carta, che va a letto alle 4 e confessa: “La mia sveglia biologica è alle 4”. E gira infatti con l’aria dissipata di chi si è appena svegliato in un fienile o abita stabilmente in una Cinquecento, la barba ruvida di fatica: “Da un anno dormo in ufficio. E, se devo raccontare il rapporto con la mia famiglia, ho in testa una sola parola: assenza”» (F. Merlo) • Improvvisamente annullata a pochi giorni dalla distribuzione l’uscita del suo libro Perché guariremo. Dai giorni più duri a una nuova idea di salute (Feltrinelli), inizialmente prevista per il 22 ottobre 2020 (ciononostante, qualche copia è circolata, soprattutto in Francia). «Perché va letto? Bella domanda. A pensarci bene, dopo averlo sfogliato, la risposta è un’altra domanda, che suggerisce tuttavia un’analogia non peregrina: per quale motivo c’è gente che si incolonna a osservare un incidente stradale? Ecco. Per lo stesso motivo uno comincia a leggere il libro di Speranza e non si ferma più. A cominciare dal per niente retorico incipit in cui il ministro della Pandemia ci ricorda come il Covid-19 non si possa considerare “storia passata”. Cosa senz’altro vera, visto che a distanza di più di un anno da quando lui scriveva queste parole pensando fosse finita (“il virus ha i mesi contati”) in realtà ci siamo ancora dentro fino al collo. Sospeso in un accattivante stile letterario a metà tra Fabio Volo, Federico Moccia e il verbale dei carabinieri, la paternità di questo saggio è con buona dose di certezza attribuibile al suo autore dichiarato. […] Trattasi di racconto con andamento da diario intimo, tipo Churchill nell’ora più buia. Con passaggi profondamente autobiografici, umani e rivelatori, come a pagina 159: “Il giorno dopo la riapertura di barbieri e parrucchieri, finalmente, posso anche io tagliarmi i capelli. Non ce la facevo più. Era dai tempi del mio Erasmus a Copenaghen che non li avevo così lunghi”. Considerazioni che si alternano a dense ricostruzioni dei principali fatti politici. […] Siamo a pagina 114. Attenzione. La spiegazione del lockdown è semplice quanto convincente: “Non si poteva lasciar pensare agli italiani che ci fossero regioni dove si viveva meglio”. Insomma, molisani e sardi dovevano stare chiusi, anche senza contagi, per solidarietà e spirito di uguaglianza con i lombardi e i veneti. Anche i sani piangano. […] Senso profondo, verrebbe da dire ideologico (se non ultimativo), del libro: […] la rivincita della sinistra. La pandemia infatti, dice il ministro, ha raddrizzato il vento della storia, e finalmente la sinistra torna in partita, assieme alla necessità di uno Stato sempre più egemone a fronte della cattiveria del mercato. Scrive Speranza a pagina 68: “Non si fa politica su un’epidemia”. Poi, giustamente, a pagina 225 aggiunge: “Sono convinto che abbiamo un’opportunità unica per radicare una nuova idea della sinistra”. Da queste due non contraddittorie dichiarazioni, consegue la descrizione di una nuova normalità post-pandemica che “ha dissodato per la sinistra un terreno politico molto fertile” con “possibilità di ricostruire una egemonia su basi nuove”. E qui un po’ si capisce perché, questo libro, […] il ministro lo ha ritirato dal mercato. Con centomila morti, […] il comunismo pandemico non è precisamente convincente» (Salvatore Merlo). «Ho sbagliato, perché, un libro muto, ognuno lo riempie come vuole. Ma giuro che lo pubblicherò, fosse solo per far vedere che non ho scritto che avevamo ormai sconfitto il virus» • «Ragazzo d’altri tempi, […] ha sposato la donna con cui si era fidanzato quando lui aveva 16 anni e lei 14» (Lerner). «Con Rosangela, abbiamo deciso di sposarci a Gerusalemme, la città più bella del mondo, che ci ha stregati. Lì, a Notre Dame, di fronte alla Città Vecchia, ci ha uniti in matrimonio il padre francescano Ibrahim Faltas, […] amico per sempre». «Hanno due figli, entrambi con il doppio nome: Michele Simon, dove il secondo nome è ispirato a Simón Bolívar, il Libertador venezuelano, ed Emma Iris» (Zincone) • «I miei figli non hanno mai bevuto Coca-Cola. Non ne conoscono proprio il sapore. Le bibite gassate andrebbero limitate» • «Ha un clan di amici? “Ho amici antichi. Il gruppo storico di Potenza ha anche un soprannome, i mifrì, perché molti di noi si comprarono un motorino che si chiamava Free”» (Zincone). Molto forte anche il legame che lo unisce ad alcuni amici «incontrati nella militanza politica. Pier Luigi Bersani è un maestro cui voglio un bene dell’anima. Quando sono diventato ministro, mi ha ammonito: “Ricorda che quando si governa conta quel che fai, non quel che dici”. Mi attengo a questa regola. E poi c’è Enzo Amendola, col quale abbiamo militato insieme nella Sinistra giovanile, sviluppando la passione per la politica internazionale» • Appassionato di calcio (romanista) e di tennis • «Il film preferito? “Ne dico un paio: C’era una volta in America e The Blues Brothers”. […] Il libro? “Il ritratto di Dorian Gray. E tra i libri politici Una scelta di vita di Giorgio Amendola”» (Zincone) • «Tra gli appellativi più comuni attribuiti a Speranza ci sono “serioso” e/o “giovane vecchio”. Glielo faccio notare. Spiega: “È vero, ho modi cortesi e non urlo. Dipende anche dal fatto che i lucani sono meridionali atipici, di montagna. Una parte della mia famiglia, poi, è inglese”» (Zincone) • «Per carattere e fisiognomica non molto adatto ai protagonismi» (Marianna Rizzini). «Volto pulito di una politica (di carriera) vecchio stampo. […] Cravatte noiose e capelli da monaco. […] Uomo di partito, mai una parola fuori posto, schivo al punto giusto, buono per ogni tipo di ruolo il leader gli chieda di occupare. Non gode di slanci particolari, dimostra poca verve, la capacità di scaldare le masse è prossima allo zero» (Giuseppe De Lorenzo). «Austero e testardo ragazzo di provincia» (Paolo Guzzanti). «Lei ha una faccia così pulita, da bravo ragazzo… Ma che ci fa, con questi comunisti?» (Silvio Berlusconi a Roberto Speranza, nel 2013) • «“Io, […] per ragione anagrafiche, con il Pci non c’entro nulla. Per arrivare a me bisogna partire dai Ds. Sono stato l’ultimo segretario della Sinistra giovanile”. Dunque non è comunista? “Certo che no”» (F. Merlo) • «La sinistra che cos’è? È provare a guardare i problemi del mondo con gli occhi dei più deboli e pensare che in questo modo si costruisca una società migliore per tutti». «La sanità da sempre è stata la mia passione. Considero l’articolo 32 della Costituzione, quello in cui si dice che “vanno garantite cure gratuite agli indigenti”, uno dei pilastri del contrasto alle disuguaglianze sociali, così come considero il Servizio sanitario nazionale una delle più grandi conquiste di progresso del nostro Paese» • «Qual è l’errore più grande che ha fatto? “Non andare a vedere la finale dei mondiali del 2006”» (Zincone) • «Il Covid è per la mia generazione quel che fu la Seconda guerra mondiale per i miei nonni».