Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  gennaio 05 Mercoledì calendario

Biografia di Liana Orfei

Liana Orfei, nata a San Giovanni in Persiceto (Bologna) il 6 gennaio 1937 (85 anni). Circense. Della stirpe degli Orfei. Sorella del domatore Nando e del lanciatore di coltelli Rinaldo. Cugina di Moira Orfei • La «principessa del circo» • Molto popolare come attrice tra gli anni Sessanta e Settanta. «Non ha esitato ad abbandonare piste, trapezi e cavalli per il “set”, il cerone, le macchine da presa» (Vittorio Ciuffa, Corriere d’Informazione, 24-5 agosto 1959) • Tra i suoi film: La dolce vita (Federico Fellini, 1960), Casanova ‘70 (Mario Monicelli (1965), L’arcidiavolo (Ettore Scola, 1966), Il profeta (Dino Risi, 1968), Come, quando, perché (Antonio Pietrangeli, 1969). In teatro ha lavorato con Luca Ronconi e Ghigo de Chiara. Ha recitato per la tivù, inciso dischi e posato per i fotoromanzi. Fellini andava da lei a mangiare i tortellini. Eduardo De Filippo le ha insegnato a cantare in napoletano • «Donna senza tempo, sempre ammantata di fascino» (Nino Materi, il Giornale, 1/3/2021) • «Ha fatto tante cose: cinema, teatro, televisione. Ma il circo è stata la lingua appresa naturalmente, la radice che, nei momenti difficili, le ha consentito di sapere chi era» (Antonio Gnoli, Robinson, 14/8/2021) • «Non ho mai pensato di essere bella, soprattutto da giovane: con questa faccia larga e gli occhi piccoli, mai avrei pensato di fare cinema. No, decisamente non mi sentivo bella, come poteva esserla mia cugina Moira».
Titoli di testa «Il nome Liana come è venuto fuori? “Mio padre aveva visto un film di Tarzan e quando fu il momento di battezzarmi disse al prete che voleva chiamarmi Liana. Il prete disse: “Ma che nome è? Il calendario non ha nessuna santa Liana, come faccio a battezzarla?”. Mio padre rispose: “Non importa, lei la battezzi come Orfei, poi al nome ci penso io”» (Orfei).
Vita «Siamo gente che ha iniziato a fare questo per necessità. Il mio trisavolo, Paolo Orfei, un prete, s’innamorò di una zingara. Lasciò l’abito talare e cominciò a guadagnarsi da vivere suonando la spinetta, una sorta di piccolo clavicembalo. Non potendo esibirsi nei teatri, perché scomunicato dalla Chiesa, si esibiva nelle baracche. Il concertino però non bastava, così nelle baracche ci portò l’asinello che faceva di conto, gli orsi ed ecco qui il circo. Siamo nati per la sopravvivenza giornaliera» (Valerio Millefoglie, la Repubblica, 21/11/2017). Liana è figlia di Paride Orfei, detto Pippo, e Alba Furini. La loro storia d’amore è romantica e travagliata. «“Mamma aveva origini nobili, mentre papà era un saltimbanco con un circo composto da un solo animale: il babbuino Toto”. Come si conobbero? “Lui si esibiva in paese e mamma andò a vedere lo spettacolo. Fu amore a prima vista. Scapparono insieme. Il parroco convinse i genitori di mamma che nulla di male era stato commesso e così la coppia convolò a nozze. Una storia alla Romeo e Giulietta da cui nacquero tre figli, e chissà quanti ne sarebbero nati ancora se papà non fosse morto a 46 anni, lasciando mia madre vedova a soli 38”» (Materi). «Liana è nata in carovana in una notte in cui dall’ospedale non potevano arrivare medici a causa delle condizioni meteo. Quando l’unica levatrice di San Giovanni in Persiceto, svegliata dal padre disperato, la aiutò a nascere, non credette ai propri occhi: la piccola aveva la “camicia della Madonna”, cioè il sacco amniotico integro che la avvolgeva, un evento raro interpretato come segno di buon auspicio» (Nicola Baroni, Famiglia Cristiana, 28/1/2021). «La culla di Liana fu naturalmente un carrozzone in mezzo ad un prato verde» (Ciuffa). «Le posso descrivere l’armadio di mia mamma nella carovana. Era di legno chiaroscuro, con un grande specchio. Calzavo i tacchi di mia madre, tiravo su il tappetino del letto, che era una pelle di pecora, la indossavo e cantavo, poi parlavo, poi danzavo» (Millefoglie). Del padre, invece, ricorda le impeccabili camicie sempre inamidate, «anche se non c’era una lira per mangiare» • Liana esordisce a soli due anni, in un numero insieme a papà Paride. Lei interpreta il pagliaccio “Lacrima”, «chiamato cosi, poiché dagli occhialoni sopra il nasone rosso spruzza regolarmente e disperatamente copiosissimo liquido (con sommo divertimento dei più piccini) e alla fine del numero viene trasformato dal mago di turno in una bambina» (Alberto Leiss, l’Unità, 9/11/1979). «“Dai 4 ai 7 anni rimasi inchiodata al letto per una polmonite, che i dottori avevano scambiato per tifo. Mi salvò un medico, si chiamava Fortunato”. Nome di buon augurio. “E infatti mi strappò alla morte che in ospedale avevano già decretato. Riuscì a procurarsi una medicina rara e costosa che si chiamava Streptosil. E così guarii”. Un miracolo. “Fu quello che disse mia madre, ringraziando Sant’Antonio. Ma suscitando la vivace reazione del dottor Fortunato...”. Cioè? “Lui era ateo e quindi reagì: “Ma quale grazia di Sant’Antonio, il merito è mio!”» (Materi). «Aver rischiato di morire a quattro anni, e dopo la malattia trascorrere un lungo periodo praticamente immobile nel letto, mi ha forgiato. Mi ha dato la forza di lottare». Appena torna in piedi, Liana si dedica al lavoro. Diventa trapezista, clown, cavallerizza, ballerina. «A sedici anni divenne la “soubrette” del circo. Si esibiva in numeri di spogliarello in collaborazione, a turno, con un animale del circo, un pony, una zebra, una scimmietta, un cane» (Ciuffa). «Il tendone era stracolmo. Venivo portata al centro della pista su un baldacchino trasportato da sei nani, circondata da migliaia di rubini Swarovski. Il pubblico faceva: ohhh. Che bella sensazione. Tremila, quattromila bocche che pronunciavano all’unisono ohhh. E io ero la regina di tutto questo» (a Millefoglie). A diciannove anni, Liana sposa Angelo Piccinelli, uno dei più grandi giocolieri dell’epoca, conosciuto quando ne aveva dodici. «Napoli, 28 gennaio. Mai, nella vita di tutta la città, si sono viste nozze come quelle officiate oggi dal parroco di Santa Lucia per unire in matrimonio la celebre trapezista Liana Orfei e il giocoliere Angelo Piccinelli. Bolognese e diciannovenne lei, milanese e trentenne lo sposo. Erano vicino ad essi i parenti più intimi, fra cui i genitori di Lina, Paride ed Alba, la nonna Giuseppina e i fratelli Nandino e Rinaldo, tutti della troupe dell’Orfei. E per un’ora questo singolare sposalizio ha fermato il traffico della città. Dopo il rito, svoltosi nel tempio così gremito che la gente impossibilitata ad entrare riempiva l’intera strada, all’improvviso una squadriglia di aerei scesa a volo radente ha sorvolato la folla lanciando in segno di festa un vero torrente di riso, simbolo di prosperità, petali di rosa e facendo scendere un’azzurra pioggia di centinaia di piccoli paracadute con sotto sospese artistiche bomboniere infrangibili, in materia plastica, accolte fra evviva e applausi […] Dalla parrocchia il corteo di auto s’è diretto sulla collina di Pizzofalcone dove il circo dà i suoi spettacoli, nel teatro Politeama. Fra gli invitati, oltre alle principali autorità della provincia, v’erano i rappresentanti di quasi tutti i più noti circhi d’Italia e d’Europa: Barnum, Palmieri, Jardz, Cipriano’s, Nieme, Krone, Ringley, Hansa, Busch, Scott, Benneweys, Bouglione, eccetera. Prima che si servissero gelati dolci e liquori, ad un colpo di bacchetta la pista si è riempita di una schiera di artisti in variopinti costumi: tutti quelli, dagli acrobati ai cavallerizzi, che ogni sera, sotto i riflettori, fanno rivivere davanti al pubblico la policroma fiaba del circo. Le macchine della TV riprendevano la scena ed essi hanno cantato un ritornello di augurio. Poi, avanzando fra i clowns caprioleggianti, “Pippo” (il padre di Liana Orfei), “Fiacca”, “Rimorchio”, “Bagonghi”, “Enrichetto”, “Totò, “Ezefiro”, gli sposi sono venuti al centro della pista. Ma le sorprese non erano finite. Infatti, quando gli invitati si sono mescolati agli artisti, gli ospiti, non senza un brivido di paura, hanno visto che i vassoi colmi di paste e di fragili bicchieri di cristallo erano sorretti da una fila di domestici mai apparsi nei ricevimenti: orsi grigi dei Carpazi e orsi neri della Malesia. Ad un delicato comando del domatore danese, l’ex-capitano dei “cacciatori”, Sved Everty, i pelosi domestici si sono girati fermandosi con un grazioso inchino, poi cinque di essi, “Whisky”, “Tommy”, “Miky”, “Astrid” e “Peter” (un esemplare unico di “orso nano”) si sono avvicinati agli sposi. Due hanno preso dei piatti, un terzo vi ha deposto due fette di torta, un quarto ha versato lo spumante e “Peter” ha presentato calici e gateau du mariage» (La Stampa, 29/1/1956). I due sposi vanno in luna di miele in Costa Azzurra. Poi iniziano a girare l’Europa. Londra. Parigi. Montecarlo. Sono scritturati ovunque. «Liana giunse a Roma per la prima volta a vent’anni, e Roma ha segnato una svolta importante nella sua vita. Fu lo scorso inverno, quando il circo Orfei si installò in un largo spiazzo erboso che costeggia il viale di Trastevere. Una sera al circo ci fu grande festa: furono invitati numerosi attori, attrici, registi e altri artisti dello spettacolo per l’assegnazione del “clown d’oro”. Era presente anche Federico Fellini» (Ciuffa). «Fu tutto molto casuale. Mi contattò un signore il quale mi disse che un grande regista voleva conoscermi. All’inizio lasciai perdere. Ma lui insisteva con bigliettini e mazzi di fiori. Alla fine, esasperata, gli chiesi ma chi è questo regista? “Si chiama Federico Fellini” mi rispose. Sapevo della sua passione per il circo […] e quindi, incuriosita, andai all’appuntamento negli studi di Cinecittà” […] Federico mi squadrò da cima a fondo e lo vedevo dubbioso. Si avvicinava, si allontanava. Si sedeva e poi guardava Pippo Fortini, quello che mi aveva portato, scuotendo il capo. Alla fine, quasi a malincuore, mi disse che non andavo bene, che la mia faccia era troppo pulita per la parte che aveva in mente […] Rimasi delusa, in fondo uno dei più grandi registi al mondo ti convoca e poi ti dice scusi, mi sono sbagliato. Però le cose stranamente si erano messe in moto» (Gnoli). «Se non ricordo male Fellini prese suo fratello Nando. “Gli affidò una parte in Amarcord, interpretava il “Patacca””. A Roma “patacca” è uno poco affidabile. “E un po’ Nando lo era, ma questo era anche il suo bello”. Quindi si chiuse la porta di Fellini e cosa si aprì? “Il classico portone”» (Gnoli). «Il solo fatto che Fellini si fosse interessato a me scatenò tutto. Copertine, offerte di lavoro, agenti che litigavano per avermi. E pensare che io avevo orrore del cinema. Il nostro era un mondo severo, pieno di sacrifici, un mondo povero. Prima di diventare un artista lavori anni, ti rompi le ossa e forse non diventi neanche bravo. Non è come cantare o recitare, noi siamo abituati al pericolo. Il trapezio, i leoni, le tigri...» (a Maria Berlinguer, La Stampa, 20/12/2020). «Fu lo stesso Fortini che mi telefonò, un paio di settimane dopo: è andata male col maestro, ma c’è un contratto pronto per una coproduzione italo-francese, un film leggero per la regia di Mario Mattoli, il titolo Guardatele ma non toccatele. Fu il mio esordio» (Gnoli).
Manifesto Dopo un lungo bacio sul set con Marcello Mastroianni, «il più lungo nella storia del cinema italiano», i giornalisti non le davano tregua. «Ma cosa ha provato?, Ma come bacia Mastroianni?, È stato emozionante? e via con banalità di questo tipo. Al che io, infastidita, me ne uscii con una frase che scatenò il finimondo. “Baciare Mastroianni è stato come baciare un manifesto”. Volevo dire che per un attore baciare sulla scena un collega è un fatto di routine e non comporta necessariamente un coinvolgimento emotivo. Il senso era chiaro, ma la frase fece comunque scalpore».
Lingua «Durante la scena di un bacio, Tognazzi, che ci provava con tutte, mi infilò la lingua in bocca. Scandalizzata, gli mollai un ceffone, con tutta la troupe che non sapeva se ridere o temere il peggio. Ugo, col quale saremmo diventati molto amici, si scusò dicendo che quella linguaccia gli era proprio scappata. Il film ebbe enorme successo» (Gnoli).
Finzione Fu baciata anche da Renzo Arbore, sul set di un fotoromanzo. «A un certo punto la sceneggiatura del fumetto prevedeva un bacio finto. Lui si avvicinò a me e, molto timidamente, mi chiese: “Cos’è un bacio finto? Io conosco solo i baci veri”».
Aristocratici Persino Luchino Visconti, una volta, perse la testa per lei. Accadde a Genova, la sera dopo la premiazione della Caravella d’Oro. Lei, Rina Morelli, Paolo Stoppa e Visconti erano seduti allo stesso tavolo. «“Luchino mi era accanto. E continuava a sbirciare nella mia scollatura. Per il resto fu impeccabile, pieno di attenzioni, charmant come poteva essere un aristocratico come lui. Alla fine, mentre ci stavamo congedando, mi propose una passeggiata”. E lei accettò? “Ma sì, era una notte bellissima. A un certo punto, però, decisi di rientrare in albergo e provai a salutare Luchino, il quale mi afferrò la mano tirandomi verso di lui. Anni di esercizio al trapezio mi avevano dato forza sufficiente per divincolarmi. Ero stupita e scappai verso l’albergo e lui dietro a inseguirmi. Riuscii ad arrivare nella mia stanza. E dopo un po’, ancora leggermente sconvolta, mi affacciai alla finestra. Era lì sotto. Mi vide e cominciò ad arrampicarsi su un glicine che arrivava proprio sotto la finestra. A quel punto, temendo il peggio, mi rifugiai nella stanza di Lina Morelli”. Immagino restò sorpresa. “Sì le raccontai tutto, lei era molto amica di Luchino. E allora io le dissi: ‘Ma scusa al maestro non piacciono gli uomini?’ ‘Sì, ma non sopporta che qualcuno o qualcuna gli possa dire no’» (Gnoli).
Capitalisti «Quando sono stata invitata a Capodanno da Umberto Agnelli e da sua moglie Allegra, ho capito che di inarrivabile esiste solo Dio».
Amori Il matrimonio di Liana non resse alla sua carriera cinematografica. Nel 1975, ormai divorziata, sposò Paolo Pristipino, manager, suo compagno in tutte le future iniziative.
Figli Una. Cristina Orfei Piccinelli. «La stessa Cristina cui lo zio tirava accette infuocate in pista? “Io non volevo. Rinaldo era il migliore, ma le tirava al triplo della distanza di tutti gli altri: sei metri. E le accette pesavano cinque chili l’una. Una volta un’accetta ha rimbalzato e ha ferito Cristina alla testa. Li avrei menati tutti e due”» (Ilaria Ravarino, il Messaggero, 26/11/2020).
Religione È stata ricevuta in Vaticano da quattro Papi. «Nell’ambiente circense tutti credono in Dio. Facendo una vita molto pericolosa, metterci nelle mani di Dio è sempre stata la nostra unica assicurazione sulla vita. Si vedrà sempre un trapezista farsi il segno della croce prima dell’esercizio più difficile».
Cannibali «Una volta, in Africa, fui catturata da una tribù cannibale e mi salvai grazie a due pacchetti di sigarette. Ma questa è un’altra storia».
Vizi Colleziona piccoli animali in porcellana bianca provenienti dalla Germania.
Curiosità Vive a Roma, in una bella casa borghese • Nel 1960, mentre era in Croazia per girare i Tartari, l’auto su cui viaggiava insieme ad altri tre attori finì fuori strada. Fu ricoverata all’ospedale di Zagabria. Si temette che potesse restare sfigurata • Lasciò il cinema quando iniziarono a proporle film osé • Nel 1982, per la prima e unica volta di sempre, portò in Italia il Circo della Corea del Nord • Nel 1984 litigò con il fratello Nando, causando una scissione all’interno della famiglia Orfei • Nel 2015, quando gli spettacoli dell’Expo di Milano furono affidati al Cirque du Soleil, lei scrisse una lettera di protesta alla presidenza del Consiglio e al ministero della Cultura («Non voglio essere arrogante, ma vorrei capire che cosa abbiamo noi meno del Cirque du Soleil») • Ancora oggi, nonostante il corpo sia una mappa di cadute, non riesce a stare ferma. «Per noi dormire è una cosa di passaggio. Viviamo molto. Io dormo tre ore a notte. Leggo, guardo la tv, faccio una torta» • «Ho 16 gatti e 4 cani randagi» • Le piace cucinare, leggere, andare per musei e visitare mostre • Difetto: la pigrizia • Arturo Brachetti le ha confessato che decise di fare l’artista guardando un suo spettacolo • La nipote di Fellini, Francesca, la chiama zia • Nel mondo del circo i non circensi sono chiamati «i fermi» • Per tradizione gli Orfei vengono battezzati nella gabbia con le belve, per il terrore dei parroci. «Con mia figlia Cristina non ci siamo permessi, perché celebrava il cardinale Siri di Genova: nella gabbia c’erano solo fiori bianchi e nastri» • Ha perso due amici, uno per gli orsi, l’altro per i leoni • «Il circo senza animali è come l’opera senza musica» • Negli anni Ottanta, per uno spettacolo, fece mettere un orso polare nella fontana della reggia di Caserta («Un disastro: si divorò tutte le carpe secolari e non voleva uscire più. All’alba abbiamo scoperto che aveva un debole per i bomboloni alla panna, e siamo riusciti a tirarlo fuori») • Durante i mesi più duri della pandemia i suoi animali sono sopravvissuti solo grazie a volontari che hanno donato fieno. «Agli elefanti ne serve un quintale e mezzo al giorno. Ma alle tigri e ai leoni serve carne, una dose quotidiana di seisette chili, una ventina di uova e otto litri di latte» • Si dice convinta che, nonostante tutto, il circo non morirà mai. «Il professor Mario Verdone (padre di Carlo, ndr) sosteneva che il circo, in quanto espressione di spettacolo, è parte integrante del ciclo naturale dell’esistenza. I nostri antenati preistorici, riunendosi attorno al fuoco, dettero vita al primo circo dell’umanità» • «Oggi guardo alla mia vita e la vedo come una fiaba, un’avventura stupenda che ancora continua: mi sentirei pronta ad andare su Marte, se capitasse l’occasione» • Nando se ne è andato nel 2014, Moira e suo marito Walter nel 2015, Rinaldo nel 2018. «Sono rimasta l’unica dei fratelli Orfei. E mi dico per quanto ancora? A volte penso che diversamente dai miei fratelli ho “tradito” il circo per fare altro. Ma è la mia natura. È l’irrequietezza che mi ha condotto tra alti e bassi a fare della vita la mia vita» (a Gnoli) • «Come tutti gli artisti, spero di morire in scena. E di farlo col sorriso».
Titoli di coda Ha un nipote che studia ingegneria informatica. «Da piccolo mi presentava in scena: “Signore e signori, ecco a voi Liana Orfei, mia nonna!”. Il pubblico impazziva» (Millefoglie).