Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  gennaio 20 Giovedì calendario

Biografia di Jeffrey Koons

Jeffrey Koons, meglio non come Jeff, o come il re del kitsch, nato il 21 gennaio 1955 a York, in Pennsylvania (67 anni). Artista statunitense. «Venerato, odiato, venduto a milioni di dollari, irriso e celebrato. Erede di Warhol, colui che ne ha sporcato il nome portando la pop art sotto il livello del gusto. Splendido interprete dei tempi, tanto luccichio a nascondere il nulla: l’artista americano è il trionfo degli ossimori» [Vincenzi, Rep].
Titoli di testa «Il mio è un mondo fantastico, dove tutto è meraviglioso, stupendo».
Vita Secondo figlio di Gloria e Henry Koons dopo Karen, maggiore di tre anni. Già a cinque anni i genitori gli fanno frequentare corsi di disegno. Guardando una foto scattatagli all’asilo, Koons ricorda: «La vita mi sembrava bellissima. Ed eccomi lì, con le mie matite, come un artista. E tale mi sentivo per la prima volta nella mia vita». Quella foto diventerà nel 1980 l’opera The New Jeff Koons • Cresciuto «in una famiglia della classe media che credeva nell’ascesa sociale: le cose erano sempre destinate a migliorare, e in effetti succedeva. Mamma era una sarta, mio padre aveva un negozio di mobili ed era un decoratore d’interni. Mi ha insegnato l’estetica, ma l’arte che vendeva lui non era quella che si trova nelle gallerie di New York. Quindi cominciai a disegnare senza sapere cosa fosse l’arte, ed ero molto bravo, al punto che cominciai a prendere lezioni formali dall’età di sette anni. Quando fu il momento di andare al college, l’unica scelta possibile fu la scuola d’arte» [De Martino, Vanity] • La rivelazione sul suo futuro arriva quando mette piede per la prima volta nel museo di Baltimora: «Mi resi conto di non sapere assolutamente nulla di arte, ma in qualche modo sopravvissi a quel momento, e quando il mio professore parlò per la prima volta di Manet e dei suoi simbolismi io mi sentii la persona più felice del mondo, perché all’improvviso capii che tutte le discipline umane confluiscono nell’arte, che facendola avrei potuto parlare di filosofia, teologia e sociologia» • Studia arte al Maryland Institute College of Art a Baltimore e alla School of the Art Institute di Chicago • «Mio nonno da parte di madre era un politico, i suoi fratelli erano mercanti: ho imparato da loro a essere autosufficiente, e l’importanza di entrare in comunicazione con gli altri» [De Martino, Vanity] • Le sue prime opere risalgono agli anni Settanta e includono già quelli che sarebbero stati i suoi marchi di fabbrica: il ready made e i giocattoli gonfiabili • Nel 1976 si trasferisce a New York. Il suo idolo è Salvador Dalì e, non si sa come, Koons riesce a sapere in quale hotel e persino il numero di stanza del grande pittore durante un soggiorno a New York: chiama l’albergo e riesce a farselo passare con un trucco e persino a farsi dare un appuntamento. È da quell’incontro che decide che la strada dell’arte doveva essere la sua • «Dalì indossava un’enorme pelliccia di bufalo, un diamante all’attaccatura della cravatta, qualche farfalla e altri insetti qua e là. Aveva i baffi all’insù e un bastone d’argento. Qualcuno disse che si vestiva sempre per dare l’impressione a chi lo incontrava che quello fosse il momento più importante della sua vita. È un’osservazione fondamentale, no?» • Trova lavoro al MoMA: «Vi faccio decuplicare gli introiti se mi offrite la possibilità di coordinare il vostro marketing. Non chiedo un salario, ma una percentuale sulle nuove entrate generate da me». Affascinato dall’idea e conoscendo alcuni risultati ottenuti da Jeff altrove, il MoMA lo mise alla prova e lui ne rivoluzionò il marketing: location a pagamento per eventi speciali, matrimoni a costi altissimi nel giardino delle sculture, merchandising di alta qualità realizzato con la collaborazione di artisti e designer emergenti e distribuito ovunque, serate speciali per collezionisti e ospiti VIP, cene ad altissimo costo per gli invitati che volevano incontrare l’artista o la star, ecc. Oggi queste cose fanno ridere, ma all’epoca per la più famosa istituzione museale del mondo, con i suoi ritmi e i suoi conformismi, fu una vera rivoluzione. Pochi lo sanno ma la rinascita del MoMA fu soprattutto opera di Jeff Koons. E Jeff Koons, con le sue innovative idee di marketing, guadagnò i suoi primi milioni di dollari» [Politi, FlashArt] • Si licenzia dal MoMA dopo aver fatto raddoppiare il volume delle donazioni e usa i suoi risparmi per mettere su, nel 1980, la sua prima mostra, che chiama The New, al New Museum of Contemporary Art di New York, in cui viene esposta la serie The New, composta da una sequenza di aspirapolvere estrapolati dal loro contesto abituale ed esposti in teche di vetro illuminate da luci al neon [barnebys.it] • «La mostra è un fiasco, Koons non vende neanche un’opera e torna a casa dei genitori sconsolato. Diventa un broker, uno di quei lupi di Wall Street che abbiamo imparato a conoscere al cinema, ma, nonostante guadagni una montagna di soldi, molla tutto un’altra volta e torna alla carica con la sua arte. Nel 1985, finalmente, arriva il successo. La mostra Equilibrium raccoglie pareri positivi ovunque: espone un canotto gonfiabile in bronzo, la sua serie di poster Nike, i palloni da basket sotto teca e molto altro. Koons, a differenza dei maestri della Pop Art, non vuole criticare, ironizzare o rendere iconico il modello consumistico imperante, ma rappresentate un mondo paradossale. Vuole raccontare una favola. A differenza di Warhol, lui espone i manifesti pubblicitari senza cambiarli di una virgola e con la sua serie sulla Nike inizia a dire al padre della pop art che le icone americane stavano cambiando» [Nicolas Ballario, Rolling Stone] • Quando sei stato in Italia per la prima volta? «Credo intorno alla fine del 1986. Volevo cambiare materiali e linguaggio: era il periodo in cui stavo sviluppando le idee per Banality e sapevo di voler lavorare con la porcellana e il legno. L’anno doveva essere più o meno quello, il 1986, e ricordo che Antonio Homem, il direttore della galleria Sonnabend e figlio adottivo di Ileana, mi disse: “Se vuoi lavorare con la porcellana, vai in Italia: ci sono un sacco di produttori lì. Ma se vuoi lavorare con il legno, devi andare a Oberammergau, in Germania”. La mia prima meta è stata Milano. E dopo Milano ho cominciato a viaggiare e spostarmi per tutto il paese. Ovunque andassi, acquistavo riviste specializzate sulla porcellana e prendevo brochure commerciali alle fiere. Poi ho iniziato a visitare diversi laboratori di produzione: ho fatto un viaggio in macchina da Milano fino a Napoli, facendo tappa da ogni singolo produttore che trovavo nelle riviste e nelle brochure per capire se ce ne fosse uno che facesse al caso mio. Sono stato molto sistematico. Li ho visitati tutti di persona, uno dopo l’altro. E una volta arrivato a Napoli, sono tornato indietro. La ragione per cui sono andato a Napoli erano le celebri porcellane di Capodimonte. All’inizio credevo che Capodimonte fosse il nome di un’azienda, ma una volta arrivato lì ho capito che si trattava di una zona della città. Immagina la mia sorpresa: ero lì per cercare un potenziale produttore e salta fuori che Capodimonte è solo un quartiere su una collina di Napoli. E invece dei laboratori per la produzione della porcellana vedevo in giro solo gente che vendeva stecche di sigarette. Quella è stata una sosta davvero divertente. Ma mi è piaciuto molto tutto il processo di ricerca dei produttori: scoprire i punti di forza e il talento di ciascuno e capire per quale progetto specifico potessero tornare utili» [Massimiliano Gioni, Il desiderio messo a nudo, Johan & Levi,] • Jeff si compiaceva di dirmi che era l’unico artista eterno, perché le sue opere erano garantite per un perfetto stato di conservazione di diecimila anni. «Quale altro artista può durare diecimila anni?» mi diceva. I suoi fornitori erano i migliori in assoluto, gli stessi che costruivano le capsule spaziali. E per le opere in legno ricorreva a una ditta dell’Alto Adige, la migliore del mondo, secondo lui [Politi, FlashArt] • «Anche da quasi sconosciuto, Jeff aveva un’alta considerazione di sé. Ricordo che poco tempo dopo quel primo incontro, nel 1987, a Madrid, in occasione di una mostra curata da Dan Cameron (Art and Its Double, al CaixaForum) a cui lui era stato invitato, durante la cena, Jeff di fronte a me e accanto Paul Maenz che mi parlava con (troppo?) fervore di Julian Schnabel, lo vedemmo alzarsi in piedi e come un forsennato gridare: «Basta con Julian Schnabel! Il più grande artista sono io! Julian non è nessuno!» Restammo tutti ammutoliti e pensammo che fosse l’esternazione di un pazzo o di un artista frustrato – o di un ubriaco. Invece Jeff sapeva già di essere Koons. Anche se noi poi ci convincemmo che Jeff aveva bevuto troppo (e infatti era alticcio) e io e Paul finimmo per apprezzare il suo coraggio e la sua autoconvinzione. Al punto che Paul gli chiese scusa, affermando che mai di fronte ad un artista si dovrebbe parlare di un altro artista» [Politi, FlashArt] • Nel 1988, Koons continua la sua ricerca visiva con la serie Banality, di cui fa parte la famosa scultura che ritrae Michael Jackson insieme alla sua scimmia domestica, Bubbles. Quest’opera inaugura la scia di incassi milionari: viene venduta da Sotheby’s per quasi 6 milioni di dollari. Koons è sulle pagine di tutti i giornali e diventa, alla fine degli anni 80, l’artista più in vista a livello internazionale. Crea a Soho un laboratorio dove impiega decine e decine di assistenti, le sue opere registrano record di incassi [Nicolas Ballario, Rolling Stone] • Tre dipinti a olio, creati a partire da fotografie alterate con l’ausilio della manipolazione digitale, e una scultura in legno policromo, della serie Made in Heaven, sono esposti alla Biennale di Venezia nella sezione Aperto ’90: è il suo esordio artistico italiano • Del 1992 Puppy, la scultura floreale di un West Highland terrier, viene esposta al castello di Arolsen di Hesse, in Germania, in occasione di Documenta 9 della vicina Kassel. Alta oltre dodici metri, ha un sistema interno di irrigazione e gli oltre sessantamila fiori vengono sostituiti a ogni stagione • Quest’opera, qualche anno più tardi, sarebbe stata oggetto di un tentativo di attentato da parte di tre terroristi dell’Eta che, travestiti da giardinieri, vengono arrestati mentre provano a piazzare delle bombe sotto la scultura [Nicolas Ballario, Rolling Stone] • Nel 1994 Koons crea Celebration, una serie di dipinti e sculture monumentali che celebrano occasioni ricorrenti della vita come nascite e feste • «Nel 1996 ho iniziato ad utilizzare l’acciaio inossidabile, un materiale proletario e duraturo rendendolo riflettente al massimo. E per me lavorare con questo è come lavorare con un individuo. Non importa quale sia il nostro passato, noi possiamo risplendere» [Pini, CdS] • «Le statue in acciaio inossidabile vengono fatte in Germania, le sculture di pietra in un altro studio in Pennsylvania» [De Martino, Vanity] • Easyfun apre alla Sonnabend Gallery di New York nel 1999. Per questa serie Koons realizza specchi a forma di animale in colori vibranti • Dei primi anni Duemila sono Monkeys (Chair) (2003), Lobster (2003) e Caterpillar Ladder (2003). Degli anni 2005–2006, la serie Hulk Elvis mette al centro dei quadri un giocattolo gonfiabile con le fattezze del gigante verde dei fumetti che, nell’immaginazione dell’artista, somiglia alla figura di Elvis Presley ritratta nelle stampe di Andy Warhol • Nel 2010 Koons crea la propria versione della BMW M3 GT2, la diciassettesima Art Car, che partecipa alla prestigiosa 24 Ore di Le Mans • Nel 2011 collabora con la celebre piattaforma Snapchat per la creazione di uno speciale filtro che permette di posizionare virtualmente le sue opere più famose in ogni spazio • Nel 2013 realizza con la celebre popstar Lady Gaga la cover dell’album Artpop: si tratta di una statua di cera della cantante • Il 2014 è l’anno della consacrazione museale: infatti, il Whitney Museum di New York lo celebra con una grande retrospettiva che, a partire dal 2015, viene trasferita prima al Centre Georges Pompidou di Parigi e, in seguito, anche al Guggenheim di Bilbao, con un enorme successo di pubblico e critica • Koons ha offerto in regalo alla città di Parigi l’opera Bouquet of Tulips in ricordo degli attacchi terroristici del 2015, con l’idea di installarla tra il Musée d’art moderne de la ville de Paris e il Palais de Tokyo. Quest’ultimo ha rifiutato la collocazione davanti alla sua struttura per problemi tecnici, mentre in una lettera aperta del gennaio 2018 pubblicata su Libération alcuni intellettuali francesi, dalla politica al cinema, lo hanno definito un artista “cinico e speculatore”. Dopo tre anni di trattative e polemiche, i monumentali tulipani di Jeff Koons sono stati “piantati” nei giardini del Petit Palais • «Sembra che Jeff Koons non abbia pace negli ultimi tempi e dopo le polemiche per la scultura di tulipani realizzata per commemorare le vittime degli attentati “donata” a Parigi e rifiutata più volte dalle istituzioni francesi, è ancora Parigi, questa volta tramite il tribunale però, a condannarlo. È stato infatti multato di 24mila euro per plagio di una fotografia di Jean-Francois Bauret, che Koons ha usato come riferimento per una sua scultura di due bambini nudi. La somiglianza è tanta in effetti e non è la prima volta che il Re Mida dell’arte viene condannato per plagio: pochi mesi fa un pubblicitario gli ha fatto causa (e ha vinto) perché riprendeva una sua vecchia campagna. Anziché ringraziare di essere stato citato da uno degli artisti più visibili del mondo, lo ha denunciato per farsi rimborsare quattro spicci (oddio, un po’ più di quattro, si parla infatti di circa 130mila euro), che comunque non si avvicineranno mai alla cifra realizzata da Koons quando l’ha venduta alla Fondazione Prada. L’opera si chiama Fait d’hiver e l’immagine pubblicitaria era per la casa di moda Naf Naf» [Nicolas Ballario, Rolling Stone]. Perse una causa, sempre per plagio, nel 1992 per String of Puppies e nel 2006 per un collage destinato alla Guggenheim foundation e Deutsche Bank • Del maggio 2021 la vendita di Quad Elvis per 9.456.000 dollari. Rappresenta un record per un dipinto di Koons • Da settembre e fino al 30 gennaio 2022 Shine, mostra ospitata a Palazzo Strozzi di Firenze. Protagoniste opere che raccontano oltre 40 anni di carriera, dalle celebri sculture in metallo perfettamente lucido che replicano oggetti di lusso, come il Baccarat Crystal Set (1986) o gli iconici giocattoli gonfiabili quali i celebri Rabbit (1986) e Balloon Dog (Red) (1994-2000), fino alla re-interpretazione di personaggi della cultura pop come Hulk (Tubas) (2004-2018), o alla re-invenzione dell’idea di ready-made con l’utilizzo di oggetti di uso comune come One Ball Total Equilibrium Tank (Spalding Dr. JK 241 Series) (1985): «Dotate di una proprietà riflettente, le sue opere accrescono la nostra percezione metafisica del tempo e dello spazio, della superficie e della profondità, della materialità e dell’immateriale» [Bergamonews] • Rabbit, il coniglietto d’acciaio battuto all’asta da Christie’s nel 2019 per 91 milioni di dollari, cifra più alta mai raggiunta da un artista vivente: «L’idea per il coniglio è nata seguendo le mie intuizioni e passioni, non c’è niente di più gioioso nella vita che seguire le cose che ci incuriosiscono. Un giorno stavo camminando per le strade di New York e ho notato alcuni oggetti gonfiabili, tra cui proprio questo coniglio. E mi è subito piaciuta l’idea di usarlo. Mi ha fatto pensare a Kierkegaard e Sartre in una riflessione sull’essere e sulla sua negazione. Ho sentito che il coniglio aveva questo tipo di vuoto interiore. E allo stesso tempo anche il suo esterno era vuoto e poteva esserci reversibilità tra le due dimensioni. Non ho mai pensato al Rabbit come a un mio alter ego. Lo considero davvero più un modo di guardare il mondo in maniera filosofica» [Minucci, Sta] • «Jeff Koons non si è mai curato dei critici o di chi esce dalle sue mostre offeso per le immagini di lui che fa sesso con Cicciolina nella serie Made in Heaven. All’inizio della nostra conversazione mi mostra un progetto del 1987: si chiama Baptism, ed è una sorta di manifesto della sua arte. Inizia con un’immagine di Don Chisciotte, e dice: “Essere. Sempre libero. Nel potere, gloria, spiritualità e amore. Liberato nella cultura di massa. Senza critiche”. Sotto a questa parola c’è l’immagine di un vaso di fiori fatto a pezzi con un martello» [De Martino, Vanity] • «Il mio è un lavoro molto fisico. Controllo ogni dettaglio e interagisco intellettualmente con ogni pezzo che produco: tutto deriva dalla mia visione. Penso alle mie opere in ogni momento, anche quando prima di venire in studio vado ad allenarmi sollevando pesi: anche quello è al servizio della mia arte, del tenere mente e corpo coordinati. Creativamente, io sollevo pesi enormi» [ibid].
Curiosità «Alle pareti della casa di Koons nell’Upper East Side sono appesi quadri di Picasso, Courbet, Poussin, Lichtenstein» [De Martino, Vanity] • Ha ricomprato la vecchia fattoria in Pennsylvania che il nonno vendette quando Jeff aveva quattro anni: «È spettacolare: abbiamo più di 300 ettari, coltiviamo mais e soia, cresciamo pecore e mucche» • «Io e Andy Warhol siamo persone molto diverse, con caratteri differenti. Entrambi però abbiamo lavorato sull’idea che tutto è bello per quello che è. E sul rimuovere i pregiudizi: questo è forse il nostro vero tratto in comune. Poi siamo anche tutti e due figli e nipoti di Duchamp e Picasso e degli altri che ci hanno preceduto: Manet e De Chirico» [Vincenzi, Rep].
Religione «Non posso dire di essere religioso, ma mi piace l’idea della filosofia, teologia, mitologia, biologia, dell’umanesimo. Mi piacciono le persone. Non partecipo a nessun gruppo religioso e non ho nulla contro la religione. Può insegnare alle persone la bellezza dell’empatia, della comprensione e della compassione per guardare il mondo. Sono cresciuto come luterano. Non andavamo in chiesa regolarmente, ma ricordo certe domeniche in cui sperimentavo un senso di comunità. Ha avuto un impatto su di me? Sì. Tutta la mia famiglia amava interagire con le persone». [Pini, CdS].
Amori Otto figli. Al Maryland Institute College of Art, giovanissimo, mette incinta una ragazza che darà alla luce Shannon: «Sua madre era una mia fidanzata al college: quando a 20 anni seppi che era incinta offrii di sposarla ma lei non volle e diede nostra figlia in adozione. L’ho conosciuta quando a 20 anni andò in cerca dei suoi genitori biologici e sua madre le disse che io avevo sempre voluto averla con me: visse con me fino al suo matrimonio, ora abita a Long Island». Nel 1991 sposa Cicciolina, nome d’arte della pornostar Ilona Staller, dalla quale divorzia l’anno successivo, dopo la nascita del figlio. Da questa relazione nascono le serie, intitolate Made in Heaven e Ludwig, figlio che sarà al centro di una durissima battaglia legale per l’affidamento. Inizialmente Koons lo porta con sé in America ma alla fine il tribunale lo restituisce alla madre: «La verità è che, anche se eravamo geograficamente lontani, con Ludwig siamo sempre stati vicini. Ma certo ora che è grande è fantastico, possiamo vederci ovunque» • Altri sei figli avuti con Justine Wheeler Koons: «Mi elenca nomi ed età e quando gli dico che al contrario di altri artisti sembra ispirato dalla famiglia risponde: “Mi fa pensare a Picasso: dopo tutte le relazioni che ha avuto, sul letto di morte ha raccomandato al dottore che lo curava di sposarsi, perché per lui era stato fantastico essere sposato a Jacqueline. Ogni relazione può essere importante, quello che conta è come viene espressa. È per questo che è fondamentale non dare giudizi: se pratichi l’accettazione puoi coinvolgere tutto nel tuo lavoro. Quando si giudica invece si chiudono delle possibilità”» [De Martino, Vanity] • Ogni sera a casa Koons si giocava con l’arte: «Papà dice di cercare il Dalí o il Picasso, e chi lo trova può stare sveglio cinque minuti più degli altri!».
Titoli di coda «Sono una perfetta rappresentazione della realizzabilità del sogno americano - divenuto poi sogno occidentale e, infine, globale - della possibilità per ciascuno di realizzarsi pienamente secondo le proprie capacità e i propri meriti, di superare anche le barriere delle caste sociali, senza dover uscire dall’apparato socio-politico così com’è, ma anzi essendo perfettamente integrato in esso».