La Stampa, 6 febbraio 2022
Intervista a Giuliano Amato
ROMA
Parafrasando il titolo di un celebre libro di Elsa Morante, la democrazia sarà salvata dalle donne? Potrebbe capitare. Almeno per Giuliano Amato, certo che la presenza delle donne nelle istituzioni «concorra ad aumentare il tasso di democrazia». Approfondiamo questa convinzione con il neoeletto presidente della Corte Costituzionale, nel suo studio al secondo piano di Palazzo della Consulta a Roma.
Perché le donne sono essenziali per dare nuova linfa alla democrazia?
«Perché cambiano l’ordine del giorno. Quella che oggi per i maschi e per i mezzi di informazione è cronaca separata dalla politica, per le donne diventa un ineludibile compito della stessa politica. La quale non può occuparsi solo di ristori, pur giusti, per i ristoratori ma deve farsi carico di ragazzi abbandonati a se stessi, vittime dei peggiori messaggi dei social, che stuprano le loro compagne di classe o perseguitano i loro compagni più deboli; oppure di genitori che, anziché educare i loro figli alla convivenza, li rendono aggressivi e intolleranti nelle attività comuni. Questo è un grande, urgente, tema politico, di cui ho colto peraltro più di una traccia nel discorso inaugurale del Presidente Mattarella».
Viene da lontano la riflessione sul mondo femminile del Dottor Sottile, come è stato ribattezzato Amato per la perizia con cui tira di fioretto e maneggia il diritto costituzionale. Ne ha accennato anche nella conferenza stampa seguita alla sua elezione, la scorsa settimana. E il due volte presidente del Consiglio non ha avuto remore nel denunciare che la parità dei generi è ancora un miraggio per l’Italia.
Presidente, aspettavamo da anni la nomina di un capo del governo donna o di una donna al Colle e nessuna delle due si è realizzata. Cosa possiamo fare per non incontrare il “soffitto di cristallo” e far salire più donne ai vertici?
«Il posizionamento delle donne nei ruoli apicali è condizionato dalla cooptazione maschilista. Le donne cercano di conquistare le vette. Ma più si sale e più c’è il collo di bottiglia. Il passaggio si fa stretto e l’aggregazione maschile finisce per prevalere. Un atteggiamento che è difficile combattere a colpi di leggi. Potremmo istituire, sempre tramite una normativa, l’alternanza dei genders. Ma sarebbe offensivo per le donne designate non in base al merito. Io, però, mi porrei anche un’altra domanda: basta una donna al vertice delle istituzioni per garantire l’emancipazione e l’uguaglianza delle altre donne? Il Pakistan è stato governato da Benazir Bhutto e adesso ospita i genitori pakistani, che hanno cercato rifugio nel loro Paese, di una ragazzina uccisa perché rifiutava il matrimonio combinato. Indira Gandhi è stata primo ministro in India dove le bambine vengono stuprate e buttate via dopo la violenza. Il Bangladesh ha la presidente del Consiglio più longeva del mondo, Sheikh Hasina. Dunque, la presenza delle donne concorre ad aumentare il tasso di democrazia, ma non necessariamente la garantisce».
Che cosa deve fare la politica italiana?
«L’aspetta un importante compito. Non basta fare le leggi perché se la legge, anche buona, arriva prima che ne siano convinti i cittadini, allora accade che venga disattesa e che like e tweet spingano la politica in direzione opposta. La politica, invece, deve avere una visione, una progettualità, in base alla quale deve tornare a interloquire direttamente con le persone e deve essere capace di contrastarne le opinioni per far valere il proprio progetto. Nella storia della sinistra, sui temi della famiglia il Pci a volte è stato più conservatore del Psi. Però la politica degli anni Settanta-Ottanta ha contribuito a innovare la società italiana. Quando ero un giovane socialista impegnato nella campagna per il divorzio, andavo nelle sezioni a spiegare che se l’amore era finito e c’era solo il litigio era meglio imboccare la strada della separazione. I più anziani mi rispondevano perplessi: “Queste donne esagerano!”. Discutevo con loro e cercavo di spiegare che la donna non era una proprietà personale del maschio. Aveva cominciato a dirlo, molti anni prima, una donna, Anna Kuliscioff, spesso in contrasto con il suo compagno di vita e di militanza Filippo Turati. Quando il diritto di voto venne finalmente riconosciuto anche ai non abbienti, ma solo ai maschi che avessero fatto il soldato, Anna disse: “Le donne non fanno il soldato, ma fanno i soldati"».
Le donne che hanno lavorato al suo fianco, come le ex ministre Fernanda Contri e Linda Lanzillotta, le riconoscono di averle sostenute o addirittura di averle sollecitate ad affrontare l’agone. Da dove nasce questo suo rapporto positivo con il mondo femminile?
«Ho cominciato a percepire gli effetti della disparità davanti all’evidenza che ne avevo nella mia stessa vita privata. La ragazza che ho frequentato fin da quando avevo 14 anni, la mia attuale moglie Diana Vincenzi, con cui studiavo al liceo e poi all’università, nel percorso professionale è rimasta penalizzata. Il nostro comune professore mi diceva “Diana è più intelligente e farà più strada di te”. Invece dopo la nascita dei figli, per consentire a me di andare a insegnare prima a Modena, poi a Perugia e a Firenze, lei è rimasta indietro. Solo dopo che fui chiamato a Roma, lei ha potuto muoversi e fare la sua carriera, mentre io mi occupavo di più della casa».
Ma quando e come ha sentito l’urgenza della questione femminile?
«Sono stati gli occhi di mia figlia bambina, curiosi, indagatori, appassionati, che, mentre studiava, mi comunicavano questo interrogativo: “Ora che ho capito, potrò fare quello che desidero?”. E io pensavo: chi le toglierà questa fiducia? Chi le darà la prima delusione?».
Lei, invece, ha dato fiducia alle donne che hanno lavorato con lei…
«Ho dato fiducia perché sono convinto che poste ai vertici degli apparati sappiano trasmettere la loro autorevolezza molto meglio dei maschi. L’attuale direttrice del Dis, Elisabetta Belloni – è solo un esempio tra i tanti – corrisponde in maniera egregia a questa mia convinzione».
Le donne in Italia sono indietro anche nel mondo del lavoro. La pandemia ha contribuito ad ampliare il divario nelle retribuzioni e nell’occupazione. Cosa si può fare?
«Proprio in questi giorni è arrivata la notizia, positiva, che il numero dei posti di lavoro stia lievitando. Resta però il problema che le donne continuano ad essere pagate meno degli uomini, mentre la Costituzione impone, a parità di lavoro, parità di retribuzione. La Costituzione, non una legge qualunque». —