Corriere della Sera, 6 febbraio 2022
I 90 anni di Antonio Lubrano
Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea: come ha trascorso il suo compleanno?
«Venerdì sono andato a pranzo fuori con mia moglie, e devo confessare che quello che abbiamo ordinato non ci è piaciuto molto. La sera dopo i miei amici hanno organizzato una cena: eravamo in sei».
Novant’anni. Auguri!
«Non mi posso lamentare. Anche se certi giorni l’età pesa...».
Torna mai a Procida, dove è nato?
«Non ci vado da almeno due anni, da prima del Covid. Lì ho imparato il sapore della vera libertà, perché l’isola ti lascia questo anelito ad andare oltre, a uscire».
Ricorda la guerra?
«Non l’ho vissuta, perché a Procida non c’è stato nessun evento bellico. Però ricordo con terrore il passaggio delle squadriglie aeree che andavano a bombardare Napoli. E mi è rimasto impresso lo sbarco dei gerarchi fascisti in manette, diretti al penitenziario».
La passione per il giornalismo come è nata?
«Mio padre era capitano di lungo corso, come tutti nella mia famiglia, tant’è che ci chiamiamo di Scampamorte per distinguerci dagli altri Lubrano dell’isola: mai un naufragio».
E allora com’è che un Lubrano di Scampamorte sia diventato giornalista?
«Volevo girare il mondo, come loro. Ma mio padre me lo proibì. Così lo sfidai: dopo la licenza liceale farò il giornalista! Avevo un rapporto epistolare con uno zio, console italiano a Gibilterra, convinto che potessi fare questo mestiere. Mi segnalò ad Antonio Ravel, direttore de Il Giornale a Napoli, che mi mise in allerta: “È un mestiere difficile. Vieni prima in tipografia, così vedi come si lavora”. Trascorsi due anni passando le notti in tipografia, mentre di giorno ero impiegato in un ufficio di spedizioni. Dopo, quando aprì un nuovo quotidiano monarchico, fu proprio Ravel a raccomandarmi. Il primo articolo lo scrissi sul furto a un’orologeria. Piacque».
Noi però la conosciamo per la trasmissione di Rai 3 «Mi manda Lubrano».
«Prima c’è stato Diogene, la rubrica di un minuto che chiudeva il Tg2 delle 13. Fui notato da Angelo Guglielmi, che propose Mi manda Lubrano: era quello che sognavo, senza averlo ben chiaro».
E la sua fama esplose.
«A dire il vero il primo anno facemmo solo un milione di telespettatori, ed ero un po’ sconfortato. Ma poi il programma decollò. Tra il terzo e il quarto anno era diventato impossibile per me uscire di casa, prendere un tram, il treno o l’aereo: chiunque mi fermava e tirava fuori dalla tasca un documento che provava questo o quel problema».
Di quale caso risolto è più orgoglioso?
«Di tutti. Era bello mettere un cittadino di fronte alla controparte per trovare una soluzione che sembrava impossibile».
Perché lasciò?
«Smisi perché mi fu fatta un’offerta economica non indifferente per un ruolo di grande prestigio a Telemontecarlo: mi avevano chiesto di dirigere il Tg, che per chiunque faccia il nostro mestiere è il traguardo. Forse sbagliai, ma l’ambizione e l’attrazione dell’avventura era forte».
Ha più guardato, dopo, «Mi manda Raitre»?
«No, mai più. Già dopo un anno mi ero pentito della scelta: Mi manda Lubrano mi dava più soddisfazioni».
Era sempre elegantissimo. Uno stilista le prestava gli abiti?
«Ma un giornalista non può fare pubblicità! E io sono ancora iscritto all’Albo del Lazio. Però devo confessare che, siccome ero entrato in confidenza con il sarto, potevo pagare a rate».
Le mancano quegli anni?
«Rimpiango gli anni in cui ho lavorato perché sento la mancanza dell’impegno quotidiano. Sono profondamente affezionato al mio lavoro ed esserne privo dopo la pensione mi ha disorientato e immalinconito».
Non è rimasto senza far niente. Ha continuato a scrivere libri ed è stato protagonista di diversi spettacoli teatrali.
«Sì, e in autunno, con l’inizio della nuova stagione, ho in programma uno spettacolo al Trianon di Napoli, il tempio del varietà diretto dalla mia amica Marisa Laurito».
In che cosa si cimenterà?
«Con il maestro Alessandro Cerino rilanceremo la tradizione del cantante lirico che interpreta canzoni napoletane. Abbiamo già scelto i due protagonisti: Raffaella Ambrosino e Carmine Monaco».
Come passa adesso le sue giornale?
«Intanto vivo a Milano con mia moglie Mariella, che in realtà si chiama Maria Rosa Lava. Ci siamo conosciuti quando ho cominciato Mi manda Lubrano, che il primo anno si faceva a Milano, dove lei lavorava nella sede Rai. Dopo aver conosciuto questa donna deliziosa ci siamo sposati. Lei mi ha aiutato moltissimo, anche nella fase declinante della mia vita. Ha 81 anni, ma ne dimostra 50-60, e non lo dico per facile galanteria. Ha un figlio, Marco, che fa l’operatore in Rai, così come io ne ho uno dalla mia prima moglie, Edoardo, che fa il giornalista».
Guarda la tv?
«A parte i telegiornali, mi piacciono i Soliti ignoti».
Legge?
«Spulcio i giornali da cima a fondo e leggo libri: l’ultimo è Viva il greco: Alla scoperta della lingua madre, di Nicola Gardini».
Come si tiene in forma?
«Faccio lunghe passeggiate, di mezz’ora o tre quarti d’ora: una al mattino e una al pomeriggio».
È nonno di Gaia. Anche bisnonno?
«Non sono ancora stato promosso».