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 2022  febbraio 06 Domenica calendario

Biografia di Mimma Gaspari Golino raccontata da lei stessa

Mimma Gaspari non è un dietro le quinte dello spettacolo.
Lei è dentro le quinte.
Dalla fine degli anni Cinquanta ha attraversato note e rime; ha difeso, rilanciato, (soprattutto) scoperto, esaltato il talento altrui; ha sentito l’odore del palco, ha celebrato la liturgia dei dischi; ha visto Domenico Modugno “tremare prima di cantare a Sanremo”; ha conosciuto Renato Zero quando era già vestito di tute leopardate, ma di cognome faceva solo Fiacchini (“che scena quando è arrivato nei nostri uffici”); ha riso con Jannacci, ha assistito Antonello Venditti e Francesco De Gregori mentre affinavano il loro cantautorato, ha creduto in Gianni Morandi quando le spalle girate erano diventate la sua quotidianità.
Lei, dalla metà del secolo scorso, è diventata uno dei più importanti punti di riferimento della discografia italiana e la sua vita è diventata un libro: La musica è cambiata?!. Quando racconta spesso si diverte: utilizza storie, esperienze, bei momenti e meno belli con la forza di un’orchestra ben diretta.
Sanremo: chi l’ha colpita?
Morandi resta la più bella voce italiana, mentre Blanco è il più bravo tra gli emergenti; (pausa) tra i giovani, anche se non è al Festival, il migliore resta Ultimo e lo apprezzo per due ragioni: primo, è un artista sincero nelle sue composizioni; secondo, per lanciarsi, non si è mai appoggiato a Renato Zero nonostante lo conoscesse per ragioni famigliari.
È stata tra le prime a lavorare con Renato Zero.
(Ride) Una delle prime volte che lo vidi fu all’inizio del 1968. Non aveva ancora 18 anni. Ma entrò al bar della RCA come se fosse già un grande personaggio, uno noto a tutti, coperto da una tuta leopardata di velluto aderente, con le piume intorno al collo.
Sobrissimo.
Era l’ora di pranzo, accanto avevo tre muratori in pausa: a uno di loro cadde dalle mani la michetta con la mortadella (le squilla il cellulare. Lo prende da un mobile dove c’è una foto inseme a Valeria Golino).
E lei?
È mia nipote; il suo primo film è arrivato grazie a una mia telefonata alla Wertmüller.
Cioè?
Valeria aveva solo 16 anni ma già una forte passione per il cinema: un giorno mi disse che la sera stessa avrebbe incontrato un produttore, un tizio che conoscevo bene e non mi piaceva; uno con una pessima fama.
Quale?
Simile a quella di Weinstein.
Insomma?
Doveva accompagnarla un fratello di mio marito, fino a quando il produttore stesso specificò: “Meglio se sei sola”. A quel punto le ho detto di “no”, poi ho chiamato Lina e le ho chiesto di incontrare Valeria.
Ed è andata bene.
Valeria già da ragazzina dimostrava una tenacia, una forza, una caparbietà ammirevoli: dopo un incidente di cavallo è rimasta a letto, immobile, per tre mesi; così ha chiesto gli occhiali prismatici, e da sdraiata ha imparato il francese insieme a un’insegnante.
Mentre di solito gli artisti vengono definiti “fragili”…
E lo sono: prima di salire sul palco di Sanremo ho visto Modugno tremare. Eppure era già Modugno.
Tra i “fragili” c’è la Ferri.
Con Gabriella ho passato anni bellissimi, intensi sul piano umano e artistico, ma lei è sempre stata un soggetto incline agli stati di depressione; se avesse continuato a lavorare non si sarebbe buttata di sotto. (Pausa) Quando cantava era felice e poi aveva una dote introvabile, un istinto primordiale: con lei non serviva mai provare una canzone due volte, era perfetta alla prima; come la Ferri ho visto solo Frank Sinatra.
Temeva il palco.
Una volta mi disse: “Il pubblico mi vuole mangiare”.
È una sensazione sua o comune tra gli artisti?
Il successo è una malattia; la paura di perderlo è un’altra malattia. Queste due forze creano una tensione tremenda.
Come la Ferri anche Mia Martini.
Intorno a lei c’è stato il vero orrore; (cambia tono) negli anni Ottanta stavo in Fonit Cetra e lei era una delle artiste del gruppo; un giorno la vado a trovare: viveva nell’appartamento del suo parrucchiere, un luogo molto modesto, spoglio; lei giù di morale, senza soldi né voglia di ragionare sulle prospettive. Poi andammo a Sanremo con Almeno tu nell’universo, ma per portarla fu una lotta incredibile: non la volevano.
Per anni nessuno ha voluto Gianni Morandi.
Canzoni stonate l’ho scovata io e quel brano l’ha salvato; (pausa) non trovavo qualcuno che scrivesse per lui.
Cioè?
Si tiravano tutti indietro; lo stesso Lucio Dalla veniva da me e pensava di dovermi sollecitare: “Mimma trova un repertorio per Gianni”. “Mi dai una tua canzone?”. Macché. Erano tutti bravi a parole, e poi c’era De Gregori che era in causa con Gianni…
E allora?
Un giorno arriva Aldo Donati con questo brano e io obtorto collo lo prendo.
Che vuol dire?
Donati era con la Schola Cantorum e li avevo coinvolti in Senza rete, trasmissione della Rai: grazie alla tv erano riusciti a entrare in classifica; così Aldo era in debito con me, quindi azzardai: “Il pezzo è bello, ma devi lasciarmi la possibilità di far intervenire Mogol sul testo”; (sorride) eppure non ci crede.
Chi?
Morandi! È ancora convinto che il merito sia di Mogol e Donati, nonostante le spiegazioni dello stesso Donati.
Insomma, Morandi ha passato anni difficili…
Già nel 1968 era convinto di aver finito, mentre io lo vedevo come il crooner italiano; lui non ci credeva e ripeteva: “Ormai ci sono i cantautori”.
Com’è la storia della causa con De Gregori?
Gianni incise un medley con dentro un minuto di un pezzo di Francesco che per questo lo ha portato in tribunale: “I miei brani vanno cantati interi”.
De Gregori ha un po’ il caratterino…
(Sospira ma non risponde) Il giudice s’incazzò: “Non ho tempo da perdere”.
La vita in RCA.
C’era sempre il conflitto tra noi e il reparto vendite: per loro ovviamente contavano solo i risultati immediati, così volevano cacciare Lucio Dalla, oppure arrivavano pessimi feedback su Rimmel di De Gregori e Margherita di Cocciante. Per loro Vengo anch’io non era una canzone.
I primi quattro dischi di Dalla non sono stati grandi successi…
Vendevano circa 3 mila copie ciascuno, eppure Melis (il grande patron della RCA) non lo ha mollato, anzi è stato lui a obbligarlo a scriversi le canzoni: “O lo fai o sei fuori”.
E Dalla?
Temeva di offendere Roversi (il paroliere dei primi lavori); dopo una settimana si è presentato con Com’è profondo il mare.
De Gregori e Venditti…
(Ride) Ognuno controllava quanto vendeva l’altro.
Si marcavano.
Erano diventati una leggenda eppure non fu semplice portarli in RCA…
Come mai?
Erano di estrema sinistra, quindi non rappresentavamo il loro ideale; anche in quel caso fu fondamentale Melis: “Ci penso io, basta un pranzo”. Al caffè avevano firmato.
Un talento da considerare “sprecato”.
Piero Ciampi, artista che ho amato tantissimo, ma impossibile: la prima volta che l’ho visto era nell’ufficio di Melis. Entro. Saluto. E Piero rivolto proprio a Melis: “Chi è questa puttana?”.
Buongiorno.
Era ubriaco. E Melis lo cacciò dalla stanza.
Per il libro ha chiesto a una serie di artisti qual è la canzone italiana migliore. Vince Senza fine…
Gino Paoli l’ho conosciuto al Cantagiro, cantava Sapore di mare: quel giorno indossavo un bel vestito rosa, molto apprezzato da Dalla.
E Paoli?
(Sorride) Non l’ho mai raccontato a mio marito: Gino, prima di salire sul palco, mi assestò una pacca sul sedere. Sosteneva che gli portavo fortuna.
No, ci provava.
La prima volta mi sono scocciata, ma Paoli niente: mi beccava di soppiatto e “pac”: per tutto il Cantagiro siamo andati avanti così.
Ci provava.
Mai avuto una storia con un cantante.
Mai, mai?
Dorelli è stato il primo che ho conosciuto: una sera stavo in ufficio, arrivò lui: “Ceniamo insieme?”. “Mi spiace, non esco con gli artisti”. Con Johnny ci abbiamo riso per anni.
Da Gino Paoli a Ornella Vanoni è un attimo.
Donna fantastica, una pazza scatenata; innamorata di Gino come non ho mai visto nessun altro; (ride) una volta è scappata a metà dal parrucchiere perché i tempi erano diventati troppo lunghi e lei temeva di arrivare tardi da Paoli; (pausa) in quegli anni c’era un gran bel gruppo di musicisti genovesi, e mi dispiace solo si parli poco di Umberto Bindi.

Il nostro concerto è un capolavoro.
E lui una persona meravigliosa, ma avvolta nella “questione omosessualità”, tanto da sballargli tutti i parametri, compreso quello economico. A un certo punto si rovinò.
Rispetto ai soldi Bindi non è l’unico…
Negli anni Sessanta ho visto Patty Pravo spendere un milione e mezzo tra rossetti e occhiali da sole.
Lei ha fatto moda.
Patty possedeva già allora una incredibile capacità di scovare l’abbigliamento giusto a creare una tendenza.
Ha mai protetto un suo artista da qualcuno che si approfittava di loro?
Proprio per la Pravo ho rischiato il licenziamento; (pausa) dopo aver conquistato la classifica, iniziò ad affidarsi a una maga-astrologa. Tutto passava da questo soggetto, ogni decisione, pure quotidiana; (pausa) i cantanti, specialmente le donne, sono molto soli e si affidano a soggetti strani.
Quindi la Pravo?
Per lei era pronto un grosso contratto pubblicitario ma a patto che partecipasse a Canzonissima. Vado da lei, con la maga presente, le spiego la situazione e la saluto. Il giorno dopo mi chiama Melis: “La Pravo ha inviato un telegramma e sostiene che l’hai ricattata”.
Come ne è uscita?
Con la verità, ma da allora non ho più lavorato con lei; per molti anni non ci siamo neanche salutate.
Cantanti che si sono montati la testa?
Capitava, stava a me rimetterli al loro posto; vede, da noi certe carriere sono molto differenti rispetto agli Stati Uniti: quando ho conosciuto Nancy Sinatra ho scoperto che aveva passato quattro anni in accademia prima di poter incidere una canzone con suo padre; quattro anni a studiare musica, canto e ballo. Da noi figuriamoci.
Ha conosciuto pure Frank Sinatra.
Pessimo carattere, faticammo anche a riempire la sala per il concerto. Ma una volta sul palco capii perché era il numero uno.
L’artista con il quale si è maggiormente divertita.
Assolutamente Jannacci. Per anni non ha dormito: il giorno studiava Medicina, la sera suonava e, in ospedale, se qualcuno lo riconosceva per averlo visto su un palco, negava. Temeva gli compromettesse la carriera; Enzo era un vero genio.
L’artista più completo.
Paolo Conte. E lo è ancora.
La voce più bella.
Morandi.
Più di Baglioni e Dalla?
Le loro sono bellissime, particolari; quella di Gianni è più versatile.
Il più determinato.
Renato Zero.
Un rimpianto.
Non aver lavorato con Samuele Bersani, per me non è stato supportato come merita; Dalla lo accusava di essere pigro.
Sesso, droga e rock…
Di droga qualcosa so, ma non trovo giusto parlarne.
Ha avuto più problemi per il sesso o per la droga?
Con il sesso no; (sorride) anzi, quando Patty Pravo e Riccardo Fogli si sono messi insieme ho visto l’amore, ho visto Patty presa come mai prima.
Lei ha visto cose…
(Ride) Io ho visto lettere di fan offrire realmente un occhio a Dino: per un malinteso si era diffusa la voce che aveva problemi di vista e quindi si era scatenata la corsa ad aiutarlo.
Quanto si è divertita?
Moltissimo.
Lei chi è?
Uno spiritaz.