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 2022  febbraio 06 Domenica calendario

L’incomprensibilità di un decreto legge

La Gazzetta ufficiale di venerdì 4 febbraio ha pubblicato il decreto legge sulle certificazioni verdi Covid-19. Questo regola tre materie: la durata della validità dei certificati per chi risiede in Italia e per chi viene dall’estero e la loro efficacia nella zona rossa; gli spostamenti da e per le isole e il trasporto scolastico; la gestione dei casi di positività nelle scuole. Si tratta di materie che non presentano un grado di difficoltà simile a quello affrontato da Georg Wilhelm Friedrich Hegel nella «Fenomenologia dello spirito».
Tuttavia, i redattori del decreto sono riusciti nell’ardua impresa di rendere la lettura del decreto altrettanto difficile a quella dello studio dell’opera del grande filosofo tedesco.
Per farlo, hanno dovuto condensare nei soli sette articoli del decreto ben dieci rinvii ad altri articoli di ben sette altri decreti o leggi e scrivere frasi ricche di parole, che in qualche caso, sfiorano il centinaio. Questo richiede al lettore di procurarsi altri sette atti con forza di legge per comprendere questo decreto, nonché uno sforzo particolare per giungere al termine delle centinaia di parole costrette in una frase (il noto linguista Tullio De Mauro aveva scritto che per esser leggibili le frasi non dovrebbero superare le 25 parole).
È importante sapere che il decreto, datato 4 febbraio, è entrato in vigore il giorno successivo alla pubblicazione, quindi ieri 5 febbraio, e che fa «obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare». Quindi, ha richiesto a una cinquantina di milioni di residenti nel territorio della Repubblica italiana di dotarsi in ore notturne di una piccola biblioteca giuridica e di molta pazienza per completare il «puzzle» degli incastri di norme che rinviano l’una all’altra.
Per frapporre maggiori difficoltà all’accesso alle norme, poi, il sito ufficiale del governo, alle ore 17 di ieri 5 febbraio, nella sezione intitolata «Covid-19 le misure adottate dal governo» non conteneva alcun riferimento al decreto legge del 4 febbraio.
Fior di linguisti, da anni, lamentano che la lingua dello Stato è distante da quella dei cittadini, che l’italiano burocratico è un esempio di «antilingua», che arriva persino a produrre «mostri linguistici» (queste sono espressioni che possono trovarsi nel libro di Michele Cortellazzo, Il linguaggio amministrativo. Principi e pratiche di modernizzazione, Roma, Carocci, 2021; lo stesso autore aveva pubblicato, con Federica Pellegrino, una Guida alla scrittura istituzionale, Roma – Bari, Laterza, 2003). Altri linguisti si sono anche affacciati fuori d’Italia e hanno studiato l’italiano giuridico dell’Unione Europea e della Svizzera (così Sergio Lubello, L’italiano del diritto, Roma, Carocci, 2021). Infine, lo Stato italiano, nel 1994, aveva pubblicato un Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche. Proposte e materiali di studio, edito dal Poligrafico dello Stato ed ora facilmente rintracciabile «online», nel quale era spiegato come scrivere le leggi e i regolamenti.
Questo ulteriore esempio di incuria dello Stato suscita alcune domande. La prima è: se lo Stato comunica in questo modo con i cittadini, che può aspettarsi dai cittadini? La seconda è: se questo non è un argomento che divide i cittadini (penso che non vi sia forza politica che ritenga che la legge debba essere oscura) come è possibile che si continui con questo pessimo andazzo?
Poiché il lupo perde il pelo ma non il vizio, termino con tre proposte. Primo: distribuire questo o un altro similare decreto nelle scuole e invitare gli insegnanti di italiano a chiedere alle scolaresche di riscrivere in italiano comprensibile queste norme. Secondo: acquistare, a spese del Tesoro, duecento copie di una decina di libri di linguisti sul linguaggio legislativo e burocratico, regalarli agli autori di questi scempi, invitarli a leggerli e interrogarli dopo un mese, per accertarsi che abbiano appreso. Terza sommessa e trepida proposta: uomini politici e alte autorità dello Stato, prima di firmare questi decreti legge, oltre a interrogarvi sulla loro opportunità e legittimità, perché non vi chiedete come potrebbero essere resi comprensibili?