la Repubblica, 6 febbraio 2022
La cipolla di Alife
ROMA – A vent’anni Antonietta Melillo, di Alife, un paese di 7.400 abitanti del Casertano, ha preso in gestione il negozio di abbigliamento che la madre aveva aperto nel 1979. All’inizio è andata bene, poi è arrivata la crisi: «Dal 2007 le vendite sono diminuite, la gente era in difficoltà, aveva finito anche i risparmi e tagliava sull’abbigliamento, era esplosa la concorrenza dei centri commerciali e dei negozi dei cinesi. Ho fatto due conti con il commercialista e nel 2011 ho preso l’unica decisione razionale: chiudere». Antonietta aveva già due figli e suo marito è un tecnico radiologo: avrebbe potuto arrendersi, occuparsi solo della famiglia e non cercare più lavoro. E invece ha deciso di tirare fuori dal cassetto il diploma di perito agrario, preso tanti anni prima perché «mi piaceva la natura, l’aria aperta». Per alcuni mesi ha lavorato con un contratto a progetto alla Coldiretti. E lì, anche grazie all’aiuto di un’amica responsabile del presidio Slow Food locale, ha avuto un’idea: «Alife era famosa fin dai tempi dei romani per la coltivazione di una cipolla particolare. Fino agli anni Ottanta eravamo un paese rurale, i vicini ci chiamavano “i cipollari”. Poi c’è stato l’abbandono dei campi». Per recuperare i semi della cipolla Antonietta si è rivolta agli anziani del paese: li ha seminati nei terreni ereditati dal marito e presi in affitto da una zia, in tutto tre ettari. Il primo raccolto è andato benissimo, la cipolla di Alife resuscitata ha suscitato anche l’interesse di uno chef importante come Franco Pepe: «A lui vendo anche la crema di cipolle». Antonietta adesso rifornisce ristoranti in tutta Italia. Quello che le rimane lo vende nei mercati di Campagna Amica. E adesso ad Alife i coltivatori della cipolla tipica sono diventati cinque.