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 2022  febbraio 05 Sabato calendario

COTTI PER LA RICOTTA - UN TEMPO ERA CONSIDERATO CIBO POVERO, MA OGGI, ANCHE GRAZIE AL BASSO APPORTO CALORICO, È FETICCIO DEI BUONGUSTAI E DI CHIUNQUE TENGA ALLA LINEA - PRESENTE IN ALCUNI MIGLIORI PIATTI DELLA TRADIZIONE ITALIANA, ESISTONO VARIANTI IN TUTTO IL MONDO -  MA OCCHIO A CHIAMARLA “FORMAGGIO”: SECONDO LA NORMATIVA ITALIANA, LA RICOTTA È UN LATTICINO, POICHÉ NON SI OTTIENE DA… -

Si è abituati a guardarla come formaggio dietetico o ripieno per ravioli, cannelloni e tanta altra pasta. Va detto invece che la ricotta secondo la normativa italiana non è un formaggio, bensì un latticino, perché non si ottiene dalla coagulazione della caseina, come è per i formaggi, ma dalla coagulazione delle proteine del siero di latte, cioè la parte liquida che si separa dalla cagliata durante la caseificazione (la ricotta è a tutti gli effetti un antichissimo prodotto di recupero). 

Quanto alla ricotta utilizzata come ingrediente da ripieno, la bella tela del grande pittore cinquecentesco Vincenzo Campi I mangiatori di ricotta, conservata nel Musée des beaux-arts di Lione, mostra come essa non serva solo a farcire, ma si mangi anche in purezza, a cucchiaiate (il mangiatore con la bocca piena somiglia incredibilmente al cantante Fedez), e si configuri, quindi, come latticino fondamentale nell'alimentazione in generale umana, certamente italiana.

Si potrebbe a questo punto osservare come i mangiatori dipinti da Campi siano in realtà popolani, rappresentino «i poveri», non la popolazione universale, ma questa concezione classista di formaggi e similari è stata ribaltata da un bel pezzo.

POVERA MICA TANTO È quanto scrive Massimo Montanari nel libro Il sugo della storia, edito da Laterza: «Anticamente il formaggio era rappresentato come un cibo povero, da pastori e da contadini, escluso (salvo eccezioni) dalla mensa aristocratica. Nel Medioevo le cose un po' alla volta cambiarono, anche perché l'obbligo fatto dalla Chiesa di astenersi dalla carne in certi giorni della settimana e in certi periodi dell'anno accrebbe, di fatto, l'importanza dei cibi sostitutivi come il pesce, le uova o, appunto, il formaggio. 

Soprattutto i monaci benedettini (per i quali l'astinenza dalla carne era una regola di vita) promossero lo sviluppo e la diversificazione delle tecniche di produzione dei latticini. Questo portò non solo a un miglioramento qualitativo dei prodotti, ma anche a un cambiamento della loro immagine: i formaggi cominciarono a essere percepiti come un cibo raffinato, adatto anche alle tavole di prestigio». 

E la ricotta, anche per il basso apporto calorico, oggi è feticcio e alimento dei buongustai e di chiunque tenga alla linea, di classe alta, bassa o media che sia. Dicevamo che per le norme commerciali la ricotta non è un formaggio. Per il gusto comune, però, e per la classificazione non precisamente commerciale, la ricotta è un formaggio di siero di latte. 

Atlante dei formaggi di Tristan Sicard (Guido Tommasi editore) spiega che «essendo molto umidi (82% di umidità) i formaggi di siero di latte brillano alla luce» e che «questi formaggi sono nati in aree montuose o isolate dove era importante (perfino vitale!) non perdere nessuna materia prima che potesse nutrire le famiglie. Il nome varia ma il prodotto rimane lo stesso».

 Le ricotte francesi sono la recuite, il greuilh, il sérac, la corsa il brocciu, la spagnola requesón, la maltese rikotta, la tedesca Ziger, la canadese neige de brebis, la greca manouri, myzíthra, anthótyros, la rumena urd.Quanto alle nostre ricotte col «pedigree», esse sono innanzitutto la ricotta di bufala campana, Dop dal 2010, e la ricotta romana, anch' essa Dop dal 2005: 

«Nel II secolo a.C.», si legge ne I formaggi d'Italia, guida pubblicata da L'Espresso, «Catone il Censore regolamentò la pastorizia nella Roma repubblicana: il latte di pecora doveva essere utilizzato per scopi religioso-sacrificali e alimentare la caseificazione, dal cui siero si poteva ricavare la ricotta. Le tecniche casearie di questo latticino furono anticamente descritte anche da Columella e la successiva diffusione si dovrebbe imputare niente di meno che a San Francesco d'Assisi, che, durante i suoi pellegrinaggi, avrebbe insegnato come produrla ad alcuni pastori». 

COME SI PREPARA Poi ce ne sono tante altre, come la ricotta stagionata nel fieno delle valli valdesi torinesi, detta saras del fen, presidio Slow food, o la puina 'nfumegata bellunese, che vanta il bollino di prodotto agroalimentare tipico. Ingrediente di tanti dolci e piatti tradizionali, la ricotta esiste non solo fresca, ma anche stagionata, infornata, affumicata, salata (quella secca si grattugia sulla pasta come se fosse parmigiano o pecorino, per esempio nella pasta alla norma siciliana oppure negli anellini alla pecorara abruzzesi). 

La ricotta si chiama così perché, dopo aver scaldato una prima volta il latte per ottenere il formaggio, si ricuoce il residuo della cagliata, cioè il siero, a 80-90 °C. La ricotta si può produrre con o senza aggiunta di acidificanti, che aiutano la coagulazione. Anticamente, infatti, si riscaldava solo il siero: le proteine del latte in esso contenute si aggregavano in fiocchi bianchi che, affiorati in superficie, venivano raccolti con una schiumarola e poi posti in cestelli forati di vimini o canne perché sgocciolassero e si compattassero nelle tipiche forme della ricotta. 

Il siero residuo, denominato «scotta», si usava come mangime per gli animali (oggi, per estrarre il lattosio). Si sviluppò poi una tecnica di acidificazione naturale che usava la scotta del giorno prima, lasciata inacidire 24 ore, detta «scotta acidificata» o «agra», come catalizzatore del siero riscaldato per produrre la ricotta. Ancora oggi qualche piccolo produttore artigianale pratica questo metodo. Si sono poi sviluppate tecniche di sfruttamento della reazione di saturazione salina, prima con acque naturalmente saline come quelle marine, oggi coi sali per ricotta. 

Che talvolta sono sostituiti dal sale amaro o da altri catalizzatori acidi come l'acido citrico. In alcune zone della Sicilia, della Toscana e della Calabria, si usano anche la linfa di fico (in passato, molti formaggi si realizzavano con latte di fico estratto dai rametti che ne erano pieni dopo il risveglio primaverile) o il fiore del cardo, sfruttandone le proprietà coagulanti: è il caglio vegetale, che oggi sta tornando in voga. 

I VALORI NUTRIZIONALI La ricotta più canonica è quella di mucca che con 125 calorie ogni 100 grammi è la più magra: 9 grammi di proteine, 1 di carboidrati, 9 di grassi. Saliamo con la ricotta di pecora: 174 calorie, 11 grammi di proteine, 3 di carboidrati e 13 di grassi, praticamente pari con la ricotta di capra, che ha 175 calorie, 11 grammi di proteine, 3 di carboidrati e 13 di grassi. Saliamo ancora con la ricotta di bufala, fatta col siero residuo della produzione dell'omonima mozzarella: qui le calorie sono 212, le proteine 11 grammi, i carboidrati 3,7 e i grassi 17. 

Secondo il disciplinare di produzione, nella preparazione della ricotta di bufala si può aggiungere al siero latte o panna di bufala rispettivamente in misura massima del 6% e del 5% della massa dal siero (anche la ricotta romana Dop permette l'aggiunta di latte di pecora nella misura massima del 15% sul volume del siero). Il presidente del Consorzio di tutela della ricotta di bufala campana Dop ha appena annunciato la nascita della versione light e di quella senza lattosio «con l'obiettivo di avere un prodotto che sia sempre di più al passo con le esigenze dei consumatori». 

Ma pur consumando ricotta di bufala non light, la media dell'apporto calorico della ricotta è comunque bassa, circa 170 calorie, ragion per cui quella che gli antichi romani chiamavano recocta diventa sempre di più un secondo piatto o una merenda adatta all'alimentazione basata sul «fit food», il cibo molto proteico, poco grasso, poco glucidico (l'indice glicemico della ricotta è basso: 30), amico della linea.