Corriere della Sera, 5 febbraio 2022
Cerimonie solenni in tv
È un periodo di solenni cerimonie collettive: Sanremo (festa patronale della Rai, il carnevale mediale dove è permesso a tutte le trasmissioni Rai di rimbambire per il Festival), i funerali di Monica Vitti, le Olimpiadi invernali di Pechino, papa Francesco da Fazio, l’insediamento del presidente della Repubblica. Posso dire che è stata quest’ultima quella che ha smosso più emozioni e sollecitudini istituzionali?
È stato quando il capo dello Stato, al termine dell’Inno di Mameli davanti all’Altare della Patria, ha fatto cenno a un cameraman di spostarsi. In quel momento è avvenuta una sorta di svelamento (veniamo avvertiti che c’è una telecamera che riprende), uno di questi gesti che piacevano molto a Bertold Brecht o a Jean-Luc Godard, quell’effetto di straniamento per «rivelare», mostrare al pubblico gli elementi della messa in scena, in modo che il protagonista debba mantenere una certa distanza dal suo ruolo, non arrivando mai a un totale immedesimazione.
Eppure, mai come in queste occasioni la forma è sostanza, la cerimonia avvolge i gesti in garze balsamiche: l’uscita in macchina dal Quirinale con lo stendardo presidenziale che simboleggia le Forze armate, i rintocchi della campana della Torre dell’orologio di Montecitorio, il giuramento alla Camera, i 21 colpi a salve sparati dal cannone del Gianicolo, l’omaggio al Milite Ignoto con un minuto di raccoglimento, il viaggio sulla Lancia Flaminia 335 decapottabile verso il Quirinale scortata dai corazzieri a cavallo (la forma è la corazza della sostanza), il cielo di Roma solcato dalle Frecce Tricolori: «Il verde la speme tant’anni pasciuta, il rosso la gioia d’averla compiuta, il bianco la fede fraterna d’amor». Così scriveva Giovanni Berchet nella sua Poesia dei tre colori.
Grande momento di televisione; senza liturgia ci si muove nel caos. È anche vero che ogni forma può esprimersi soltanto se ha sostanza.