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 2022  febbraio 05 Sabato calendario

Gianluca Gori non parla con Drusilla

«Siamo due unicità». Incastrato sulla porta girevole della hall dell’albergo di Sanremo Gianluca Gori fa i conti con se stesso e la sua ombra. Gori e Drusilla sono un po’ come Dottor Jekyll e Mister Hyde in versione meno horror e violenta ma più ironica e sofisticata.
A Gori piace giocare sul paradosso. Schivo al limite dello scontroso nel custodire l’anonimato del suo vero sé (almeno quello sulla carta d’identità perché poi ognuno è ciò che si sente di essere) Drusilla Foer ha condannato Gianluca Gori a una vita senza nome, non firmata, sempre dietro le quinte, uomo senza volto perché Gori nelle interviste si racconta solo come Drusilla, educazione antiborghese «che tende all’essere liberi», figlia di un diplomatico, infanzia a Cuba, gioventù a New York, consacrazione a Sanremo: «Tornerà ancora? E chi lo sa cosa fa quella donna, non riesco a starle dietro» spiega telegrafico lui. I due insomma non si parlano nemmeno allo specchio («siamo in pessimi rapporti – conferma lei – Gori è un rompiscatole, pignolo, insopportabile»).
È il gioco dell’incomunicabilità pur essendo inscindibili l’uno dall’altra. Il tema del doppio è antico, la psicanalisi poi ci ha costruito significati profondi, l’inconscio dice tutto di noi. L’austriaco Otto Rank parlava di «doppelganger», tradotto con sosia, ma più correttamente sarebbe «il doppio che cammina a fianco» come Gori e Drusilla. I due sono in continuo conflitto anche se l’attore ha trovato in lei la persona che è riuscita a realizzare tutte le sue aspirazioni nascoste, la propria ombra che rende concrete tutte le possibilità non realizzate dell’Io: è grazie a Drusilla – un compagno immaginario che diventa più reale di quello vero – che Gori può diventare immortale, la miglior rassicurazione al proprio narcisismo.
Nato nel 1967 a Firenze (Gigo per amici) Gori ha studiato all’Istituto d’Arte, ha un passato da fotografo ma è come attore e cantante che ha trovato la sua realizzazione artistica nel suo alter ego, Drusilla, anziana e ricca vedova fiorentina, pungente e glamour. Un personaggio nato sul web e poi arrivato a riempire i teatri con i suoi spettacoli. Il palco del Festival di Sanremo come luogo del definitivo e unanime successo.
Performance
Tendo a non parlare
con lei ma sicuramente
è soddisfatta
della sua performance
«Credo che Drusilla sia contenta della sua performance a Sanremo ma tendo a non parlare con lei», dice lui. Il suo monologo (di lei) è stato in effetti strepitoso, parlava Drusilla ma anche Gori, per una volta uniti: «La parola diversità non mi piace, ha in sé qualcosa di comparativo e una distanza che non mi convince. Ho cercato un termine per sostituirla e ho trovato unicità, mi piace, piace a tutti, perché tutti noi siamo capaci di notare l’unicità dell’altro e tutti pensiamo di essere unici. Ma per comprendere e accettare la propria unicità è necessario capire di cosa è fatta, di che cosa siamo fatti noi. Certamente di cose belle: le ambizioni, i valori, i talenti, E queste sono le cose fighe. Immaginatevi però anche i dolori, le paure, le fragilità, una roba pazzesca. Non è affatto facile entrare in contatto con la propria unicità. Come si fa a tenere insieme queste cose che ci compongono?». Magari con un alter ego... Rifletteva ancora: «Tentiamo insieme l’atto più rivoluzionario che c’è, l’ascolto di se stessi, delle nostre unicità, per essere certi che le nostre convinzioni non siano solo delle convenzioni, facciamo scorrere i pensieri in libertà, senza pregiudizio, senza vergogna, liberiamoci dalla prigionia dell’immobilità».
Nei panni in cui è nato non ci si ritrova proprio, risponde fiero, teatrale e un po’ megalomane: «Non sono Gianluca Gori, sono Camillo Benso conte di Cavour» a uccidere metaforicamente ancora una volta se stesso e rendere immortale Drusilla. Così il monologo è anche il modo per chiarire il rapporto con lei: «Siamo due unicità» aggiunge fuggendo da Sanremo come un Gori qualunque.