Corriere della Sera, 5 febbraio 2022
Elisabetta, settant’anni di trono
È un vero peccato che non si possa parlare di un’epoca «elisabettiana», visto che il brand è già occupato dalla sua illustre predecessora Tudor, la figlia di Enrico VIII. Però la seconda Elisabetta si è presa la rivincita entrando nella storia come la numero uno in quanto a durata del regno: settant’anni il 6 febbraio, contro i «soli» 63 della regina Vittoria, che pure pareva insuperabile. E che settant’anni! Per rivivere quest’epoca, segnata da una donna dal «sorriso enigmatico come una Monna Lisa contemporanea, e magnetica come la Gioconda di Leonardo», è in libreria la biografia di Enrica Roddolo, massima esperta del Corriere in materia di Royal House, dal titolo «Elisabetta & i segreti di Buckingham Palace». Che a leggerlo sembra un piano-sequenza cinematografico, con la telecamera che inquadra da lontano una signora di quasi 96 anni, in piedi sul celebre balcone di Buckingham Palace, e poi lentamente fa un close-up sul suo volto, e riavvolge il nastro fino al giorno in cui, appena venticinquenne, succedette al padre, diventato re per caso in seguito all’abdicazione del fratello maggiore Edoardo; e poi scavalca la sua figura minuta e risoluta, entra nel Palazzo, ne percorre le stanze, i giardini, rifacendo a ritroso la storia della monarchia britannica, che non è stata sempre Windsor e non è sempre stata così pomposa, ma che dura ormai da più di dieci secoli, con la breve interruzione repubblicana di Oliver Cromwell, talmente dispotica che da allora gli inglesi si tengono stretti la monarchia.
Si pensa sempre di sapere tutto della Royal Family, magari per aver visto un paio di film su Diana o la splendida serie televisiva su The Crown. Ma il libro della Roddolo ci fa ricredere. E forse ci aiuta a ritenere meno eccentrica questa istituzione monarchica, che il padre di Elisabetta battezzò come The Firm, la Ditta, perché capace di un consistente output, se si considera che secondo i calcoli «è un volano per l’economia britannica intorno agli 1,8 miliardi di sterline: il Royal Wedding di Harry e Meghan, da solo, superò la barriera del miliardo, 1.050 milioni di sterline di business generato dall’evento».
Anima d’acciaio
Ha fatto del senso del dovere una missione, adattandosi ai tempi come nessun altro
Dietro la patina di gossip, commedia umana e tragedia familiare, che da Diana in poi avvolge la famiglia, fino alla «scissione» di Harry e Meghan e al processo per violenza sessuale di Andrea, c’è insomma qualcosa di molto solido nella monarchia britannica: un’anima fatta di acciaio, al servizio del Paese. Lei innanzitutto, la Regina, una donna che ha fatto del senso del dovere una missione, adattandosi ai tempi come a nessun altro è riuscito, degna erede del patriottismo della madre, che sotto le bombe naziste rifiutò di mettersi in salvo in Canada con i figli: «I bambini non andranno senza di me, io non partirò senza il Re e il Re non se andrà mai».
Al fianco di Churchill, Giorgio VI fu il simbolo dell’unica resistenza al nazismo sul fronte occidentale, fino allo sbarco in Normandia. E poi c’è l’istituzione. Perché, non dimentichiamolo, la Regina è il Capo dello Stato. E si è visto nella decolonizzazione, quando l’Impero si è sciolto ma è rimasto il Commonwealth, e poi nella vicenda interna tribolata della Gran Bretagna, con il secessionismo irlandese e scozzese, quanto importante sia la Corona come collante di un Regno rimasto Unito, sebbene composto da quattro diverse nazioni. In fin dei conti 70 anni sono solo dieci settennati, e noi italiani sappiamo benissimo quanto sia difficile scegliersi un buon Capo dello Stato, e quanto convenga conservarselo.