Corriere della Sera, 5 febbraio 2022
Franceschini tifa Lega
Se Franceschini tifa Lega è perché spera che «possa finalmente cambiare la storia politica italiana». Sia chiaro, il ministro della Cultura – che nella Dc veniva chiamato «il giovane Trotsky» – non ha alcuna intenzione di oltrepassare il confine che divide i due schieramenti. Molti anni fa Berlusconi in persona tentò di fargli cambiare idea, stringendolo dietro le colonne del Transatlantico. Ma dopo qualche secondo il Cavaliere capì e si interruppe: «Sto perdendo tempo, vero?».
Insomma Franceschini continuerà a stare dove sta, anche se è persuaso che «di tempo se ne è perso troppo». Nel senso che «in Italia non siamo mai riusciti a vivere l’alternanza di governo come un fattore fisiologico, come la competizione tra forze diverse che hanno però valori condivisi e che per questo non vedono nell’avversario un nemico, un pericolo»: «Nella Prima Repubblica ci fu il conflitto tra Dc e Pci; nella Seconda lo scontro tra anti-berlusconiani e anti-comunisti; nella Terza tra europeisti e sovranisti».
Se il dirigente del Pd oggi tifa Lega è perché avverte che «il sistema si sta evolvendo», che «la ripetizione del vecchio schema può essere interrotto». E che molto dipenderà dalle dinamiche del Carroccio: «Siamo avversari che governano insieme e che fra un anno torneranno a essere avversari. Ma proprio il fatto di governare insieme, e di aver votato insieme per il capo dello Stato, ci fa capire che questo è il penultimo passo verso un modello di democrazia matura di stampo europeo».
L’ultimo passo sarà la Lega a doverlo compiere. «Certo, il partito di Salvini è già forza di governo: amministra regioni e comuni, partecipa allo sforzo delle larghe intese. E nei processi decisionali, nell’azione dei ministri, pur partendo da idee diverse noi e loro alla fine siamo riusciti a trovare una mediazione». Il punto – secondo Franceschini – è la collocazione del Carroccio nella geografia politica nazionale: «A mio avviso è innaturale che due partiti del 20% presidino la stessa area di destra. C’è uno spazio al centro, più ampio di quello che occupa Forza Italia. Ecco, penso che la Lega vada aiutata a spostarsi lì: ritengo sia nell’interesse di tutti, anche di Berlusconi, che diventi un normale partito conservatore, a suo modo inserito nell’orbita del popolarismo europeo».
Il ministro della Cultura sottolinea di «non voler entrare nelle questioni» di altri partiti, «non so quali sviluppi ci saranno in quell’area dove c’è anche Forza Italia. Dico solo che mi piacerebbe se questo processo si completasse. E se sono interessato è perché le loro scelte riguarderanno anche noi».
L’esito, in quel caso, sarebbe lo sbocco verso una contrapposizione dialettica: «Dopo aver governato insieme per due anni, in un contesto completamente cambiato, sarebbe difficile poi additarci l’un l’altro come elementi pericolosi. E lo scontro elettorale avverrebbe senza drammi. Nessuno potrebbe più usare slogan nei quali si chiede il voto contro “il nemico alle porte”». Così si interromperebbe una storia lunga settantacinque anni, che poi è il motivo per cui dalla sponda opposta Franceschini tifa Lega: «Il suo percorso gioverà al sistema democratico».
Quel percorso s’inserisce nella guerra del centro, che è in atto. Lo s’intuisce quando il titolare della Cultura ricorda che «il centro del centrodestra negli ultimi venti anni è stata una forza del 30%: è la tradizionale area moderata che vuole essere rappresentata. Chi saprà parlarle occuperà quello spazio». E allora è chiaro perché il Pd debba essere interessato al processo della Lega: come succede nel confronto tra potenze per il controllo delle rispettive zone di influenza, da lì verrà la soluzione sul governo che verrà.
Perché è sul futuro – oltre le larghe intese— che si proietta già lo sguardo di Franceschini, convinto che la legislatura andrà a naturale compimento e che fino ad allora continuerà la collaborazione con il Carroccio. Non a caso dice che «il governo Draghi, oltre a gestire l’emergenza pandemica e lo sviluppo del Pnrr, potrà essere lo spazio dentro cui si consumerà l’evoluzione del sistema politico». Se così andranno le cose, ci sarà (forse) spazio per riformare la legge elettorale, a cui il ministro rivolge un interesse inversamente proporzionale alle poche parole che le dedica: «Il proporzionale aiuterebbe questo percorso».
E dopo aver lanciato in mare la bottiglia con il messaggio, il piano di lavoro è completo. Anche perché – dopo «giorni travagliati» – è stato superato lo scoglio del Quirinale. Il finale non ha sorpreso Franceschini: «Mattarella lo avevano deciso gli italiani ancora prima dei parlamentari».