Corriere della Sera, 5 febbraio 2022
Cronaca dell’apertura dei Giochi di Pechino
Tra sport, tensioni politiche e rigide misure anti Covid via ai Giochi olimpici invernali. Al «Nido d’uccello» di Pechino la sfilata delle squadre tra lanterne e robot. La portabandiera italiana Michela Moioli, regina dello snowboard, ha sostituito Sofia Goggia. Oggi le prime gare, il sogno di ripetere il miracolo di Tokyo.
S ono passate quasi due ore e il gelo dentro al Nido d’uccello viene spazzato via d’improvviso da una processione di lanterne a forma di colomba. Ad agitarle sono bambine sorridenti. Si muovono verso il centro per disegnare un cuore illuminato. È l’ultima magia di Zhang Yimou, il regista di «Lanterne Rosse» già protagonista della cerimonia d’apertura delle Olimpiadi del 2008: Pechino è la prima città al mondo ad ospitare sia i Giochi estivi che quelli invernali. Ma quello di quattordici anni fa era un altro spettacolo, in un altro mondo. Le ragazzine offrono una tregua al clima asfissiante della bolla olimpica. Fatta di divieti, controlli, perquisizioni, protocolli medici rigidissimi, di portoni sbarrati.
Nell’anormalità della pandemia, che la Cina affronta con la politica «zero contagi», si rivedono gli spettatori sulle tribune, protetti da vestiti termici, ed è già una vittoria rispetto al deserto di Tokyo della scorsa estate. Sono invitati selezionati, fra alti funzionari di Stato e di partito, militari e studenti meritevoli, così dicono. L’impianto è riempito per più di un terzo della capienza di 80 mila posti. Mentre sotto, dentro allo stadio, la «gente comune» si passa fra le mani la bandiera rossa della Repubblica Popolare. Zhang Yimou ha utilizzato tremila figuranti (nel 2008 erano 15 mila), l’impronta patriottico-minimalista nasconde un uso massiccio della tecnologia. Per formare un lago di ghiaccio digitale sono serviti 14.650 metri quadrati di led ad altissima risoluzione, un esercito di tigri-robot marcia sincronizzato in onore dell’anno lunare appena cominciato.
Dal nulla spunta un cubo di ghiaccio, giocatori (virtuali) di hockey lo colpiscono con il disco frantumandolo, è un’immagine che rappresenta l’abbattimento delle barriere fra i popoli. Stride con il momento di tensioni internazionali; Thomas Bach, il grande capo del Cio cita Lennon: «Give peace a chance». Poi quasi s’inchina davanti al padrone di casa, Xi Jinping, e il motivo è semplice. La Cina con 300 milioni di praticanti di sport invernali e 2.200 stazioni sciistiche inaugura «una nuova era per lo sport», cioè rappresenta un mercato enorme. Finalmente entrano gli atleti, l’Italia è la penultima. Per questioni di protocollo: ospiterà la prossima edizione dei Giochi invernali, Milano-Cortina 2026. Delle 91 nazioni partecipanti arriviamo solo prima della Cina, per simboleggiare il passaggio di consegne. Sono in 50 chiassosi e felici, indossano le mantelle tricolori disegnate da Armani.
A guidarli è la portabandiera Michela Moioli, regina dello snowboard con un oro olimpico da difendere, ha sostituito benissimo l’amica Sofia Goggia alle prese con il recupero dall’infortunio. «È stata un’esperienza unica». Nel finale richiamo allo Xinjiang. Ad accendere il braciere olimpico è stata la fondista uigura Yilamujiang Dinigeer, ultima tedofora con il combinatista Zhao Jiawen: un segnale di parità di genere che nasconde un’implicita risposta alle critiche dell’Occidente per le violazioni dei diritti umani ai danni dell’etnia dello Xinjiang.
Da un Covid-hotel si fa sentire il presidente del Coni, Giovanni Malagò, è isolato a poche centinaia di metri dal Nido d’uccello: «Mai mi sarei aspettato di vivere un’esperienza del genere, però la cerimonia resta un’emozione unica».