La Stampa, 5 febbraio 2022
Un saggio dedicato alla clitoride
Tutti i mammiferi femmina hanno una clitoride, ma quello della donna serve a un’unica cosa: farla godere. È andata così: all’inizio anche nel nostro corpo la vagina e la clitoride erano attaccate e la penetrazione provocava allo stesso tempo orgasmo e ovulazione, come negli altri animali. Con l’evoluzione della specie è arrivato il ciclo, che ha separato la fertilità dal rapporto sessuale. Il passaggio alla posizione eretta e il conseguente raddrizzamento verticale del bacino hanno fatto sì che la clitoride, soltanto nelle donne, diventasse un organo anteriore, visibile, accessibile dal davanti, non più piazzato all’ingresso della vagina. Le donne dunque sono l’unico animale sulla Terra a possedere un organo unicamente utilizzabile per il piacere. Bum! L’eccezionalità biologica e simbolica di questa caratteristica femminile ha comportato, secondo Catherine Malabou che lo racconta in un saggio intitolato Il piacere rimosso (Mimesis, traduzione di Linda Valle) un lunghissimo periodo paranoide nella cultura maschile. La clitoride è un organo anarchico, spiega Malabou, «che si fa beffe dell’ordine anatomico, politico e sociale con la sua indipendenza libertaria e la sua dinamica di piacere distante da ogni scopo e principio. Una clitoride non si governa. Malgrado tutti i tentativi di trovarle dei padroni – l’autorità patriarcale, il diktat psicoanalitico, l’imperativo morale, il peso delle tradizioni, il piombo dell’ancestralità – lei resiste. Resiste alla dominazione proprio perché è indifferente al potere e alla potenza».
Come scendere a patti con questo incoercibile strumento di piacere? La reazione maschile è stata una sofisticatissima e millenaria operazione di rimozione: la clitoride? Ma di cosa state parlando? La sua prima descrizione completa è, incredibilmente, del 1998. Helen O’Connell, urologa australiana, la ricava dalla dissezione di dieci cadaveri di donne di diverse età. Fino a quel momento non si sapeva che aspetto avesse, come funzionasse e addirittura come chiamarla: la clitoride o il clitoride? Dall’etimologia incerta (tra collina, kleitorís, e fermaglio, kleidós), il termine compare per la prima volta negli scritti di un medico greco del I secolo, Rufo di Efeso, riappare negli studi del padre della chirurgia, Ambroise Parè nel 1575, ma così timidamente che Gabriele Falloppio (padre delle famose tube) nel 1561, può millantarne la scoperta. Nella migliore delle ipotesi, la clitoride veniva confusa con le piccole labbra, dette ninfe. Così per ninfomane si intende una donna dal desiderio insaziabile, smania che non riguarda le piccole labbra. In un testo intitolato Ninfe, racconta Malibou, Giorgio Agamben indaga la cesura tra l’immagine della donna (ninfa o musa) e la donna reale. Dalla poesia medievale a oggi, la ninfa è considerata oggetto d’amore proprio perché è un’immagine, un’idea, abita una dimensione fantastica, incompiuta. Nella ninfa, immagine e corpo vivo non possono congiungersi. Dalla parola ninfa deriva ninfetta, con cui Nabokov intende quel tipo di fanciulla prepubere che eccita le fantasie di Humbert Humbert. Ninfe e ninfette hanno un tratto comune: sono frigide, non raggiungono il piacere. Sono donne senza la clitoride. Secondo Boccaccio, vittima dell’anatomia lacunosa dell’epoca che non distingueva chiaramente tra clitoride, labbra, vagina e uretra, le ninfe sono infatti donne «che non pisciano». «Le Muse sono donne», scrive Simone de Beauvoir, ma sono donne migliori perché non pisciano né godono, cioè, in realtà, non hanno autonomia, «la Musa non crea nulla da sola». Perché la clitoride si prenda lo spazio che merita occorre arrivare agli anni Settanta del Novecento e a Carla Lonzi. Figura centrale del femminismo radicale, Lonzi, nel celebre La donna clitoridea e la donna vaginale, afferma che «la clitoride non deve essere sottomessa al potere della vagina perché è la clitoride il sesso femminile: il sesso maschile è il pene, quello femminile è la clitoride». La clitoride diventa così l’emblema dell’autonomia libidinale della donna, della sua differenza, e allo stesso tempo la zona di resistenza all’eteronormatività della cultura sessuale maschile. La psicoanalisi freudiana aveva infatti stabilito un’equazione tra clitoride e immaturità. Crescendo, la donna avrebbe dovuto affrancarsi dal piacere clitorideo, infantile e masturbatorio, per rivolgersi alle gioie della vagina, della penetrazione e quindi della procreazione. Tesi rigettata da Lonzi, secondo la quale la donna non è affatto una «aspirante vaginale». La cultura patriarcale è quindi una cultura che rifiuta la clitoride, la nasconde, la colpevolizza: una cultura della clitoridectomia. Il saggio di Malabou affronta anche la questione delle clitoridectomie non metaforiche, o escissioni. Che, mette in guardia, sarebbe meglio non definire mutilazioni genitali per non schiantarsi contro la questione delle operazioni condotte sui corpi intersessuali e in generale sui corpi tecnologicamente modificati. Oggi, spiega Malabou scegliendo di parlare del «femminile» piuttosto che delle «donne» (per evitare di entrare nella polemica che ha travolto, tra le altre, J.K.Rowling a proposito di chi abbia diritto a essere definito «donna»), non esistono più corpi intatti. Non esistono corpi non toccati da protesi o artefatti farmacologici, estrogeni e progesterone. E cita, ovviamente, tutto il lavoro filosofico di Beatriz/Paul Preciado, filosofa/o transfemminista.«Costeggiamo la baia di San Francisco in automobile, accanto all’oceano Pacifico. Al volante c’è Annie Sprinkle, col suo cane Butch, mentre io faccio da copilota», scrive Preciado, «Annie Sprinkle dice che San Francisco è “la clitoride d’America”, l’organo più piccolo e più potente del paese: 121 chilometri quadrati ultraelettrificati da cui partono le reti di silicio che collegano il mondo. Un tempo c’era la febbre dell’oro. Oggi c’è la febbre cibernetica. Sesso e tecnologia. Sole e dollari. Attivismo e neoliberismo. Innovazione e controllo. Google, Adobe, Cisco, Ebay, Facebook, Tesla, Twitter e così via. In 121 chilometri quadrati si concentra un terzo del capitale di rischio degli Stati Uniti». Cioè la clitoride come un’enorme concentrato di potere. Ma è possibile, e con questa domanda si chiude il saggio di Malabou, parlare di clitoride senza evocare l’erezione, abbandonare una terminologia fallica? Esiste davvero la possibilità di considerare questo organo come uno spazio anarchico, che rifiuta le regole tradizionali del potere? Insomma, come direbbe Lonzi, non è più bello pensare che la clitoride possa davvero sputare su Hegel?