Corriere, il Giornale, 5 febbraio 2022
Ryan, l’alfredino del Marocco tra 3 gorni in un pozzo
Michele Farina per il Corriere
Lo spazio che gli è toccato è a 32 metri di profondità, e in larghezza non supera i 25 centimetri: Rayan ci ha vissuto dentro giorno e notte da martedì pomeriggio, al buio, al freddo, restando aggrappato alla vita come alla corda di un giocattolo. Il mondo di fuori ha fatto arrivare a quel bambino di 5 anni un tubicino con l’acqua e la mascherina dell’ossigeno, mentre un Paese intero, il suo Marocco, restava affacciato idealmente all’imboccatura del pozzo con pensieri e preghiere. Un soccorritore, Imad Fahmi, gli è arrivato a sei metri, calandosi dove lui era caduto. Così vicino da sentirlo piangere e respirare, ma non abbastanza da salvarlo: il pozzo che papà Khalid Agoram, professione contadino, stava sistemando e dove Rayan era scivolato, intorno ai 25 metri si fa ancora più stretto, impossibile il passaggio. E allora la Protezione civile accorsa in forze a Tamrout, 100 chilometri da Chefchaouen sui monti del Rif, hanno ideato un altro piano. Aprendo con sei scavatrici un altro pozzo, molto più grande, a pochi passi dal suo pertugio. Arrivati in profondità, ieri mattina all’alba i soccorritori hanno cominciato centimetro dopo centimetro a scavare in orizzontale un tunnel che raggiungesse il posto di Rayan senza farlo crollare.
Quante volte, da vicino o da lontano, abbiamo seguito un tentativo di salvataggio come questo. Ansia, frenesia, mobilitazione. Come se salvando una vita si proteggesse il mondo intero. Una storia che a noi italiani ricorda quella di Alfredino Rampi, Vermicino 1981. Una corsa contro il tempo. Un’intera montagna è stata sbancata la notte scorsa, con l’arrivo del sesto bulldozer. Un cratere di 30 metri, parallelo al pozzo, ha lasciato lo spazio ai topografi per studiare gli ultimi accorgimenti. Già la notte scorsa c’erano stati smottamenti che avevano fatto temere il peggio. Poi ai microfoni di un’emittente locale, il responsabile del comitato di soccorso ha detto che Rayan aveva chiesto da bere un po’ di acqua alle 3 del mattino, quando una piccola telecamera introdotta nel pozzo lo ha sorpreso sveglio e cosciente, dopo quasi 60 ore di calvario: «Rayan parla e risponde alle domande».
C’è chi ha lavorato ininterrottamente per più di 24 ore in una gara di solidarietà che in Marocco non ha precedenti. Ambulanza e staff medico, una folla arrivata da lontano per partecipare al destino di quel bambino scomparso martedì pomeriggio mentre giocava e il padre, che stava lavorando al pozzo, non l’ha visto più. Un volo di 32 metri tra pareti strette 25 centimetri, che in qualche modo hanno frenato lo schianto ma lo hanno imprigionato. Poi l’intervento dei vicini. Si fanno avanti i volontari, il primo è proprio Hamid che, come l’Angelo Licheri di Vermicino, si è calato a mani nude per tentare di mettere in salvo il bambino.
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Il Giornale
È entrata nella fase più delicata l’operazione di recupero del piccolo Ryan. Micro smottamenti del terreno mettono in pericolo di vita i soccorritori e rischiano di compromettere il recupero del bambino.
Il Marocco ha il fiato sospeso e resta collegato alle numerose dirette video dal luogo dell’incidente. Ci sono volute più di 70 ore di lavori di scavo per sei bulldozer e un centinaio di uomini, tra operai, forze dell’ordine, geologi, protezione civile, speleologi e volontari per arrivare a pochi metri da Ryan, 5 anni, precipitato in un pozzo martedì pomeriggio, mentre stava giocando poco lontano da casa.
Un’intera montagna è stata sbancata per creare una voragine profonda 30 metri e raggiungere in parallelo il fondo del pozzo, dove Ryan si trova ormai da quattro lunghissimi giorni. Ora si costruisce il tunnel, nel quale sono stati inseriti enormi tubi, di quelli usati di solito per l’acqua, così si dovrebbe consolidare il passaggio. Intanto, a migliaia continuano a confluire nel villaggio di Tamrout da ogni parte del Marocco. È venerdì, giorno di precetto per l’Islam, la folla tenuta a distanza dalla polizia improvvisa preghiere per salvare il piccolo Ryan.
Alle 6 di ieri mattina sono iniziati i lavori per lo scavo del tunnel orizzontale. Operazioni di recupero cheprocedono in un clima di mobilitazione e ansia continua. I giornali locali titolano a tutta pagina su «Ryan, 5 anni, ancora bloccato in fondo al pozzo dove è caduto ormai tre giorni fa». Un’altra notte di freddo e sbancamento, la terza di questa storia che ricorda quella di Alfredino Rampi. Una montagna sbancata con l’arrivo del sesto bulldozer. Un cratere di 30 metri, parallelo al pozzo, lascia lo spazio ai topografi di studiare gli ultimi accorgimenti. Durante la notte ci sono stati smottamenti che hanno fatto temere il peggio. Sulla catena del Rif, a Nord del Marocco, teatro dell’incidente, i lavori di recupero si sono rivelati più difficili del previsto, troppa roccia, troppi ostacoli. Ai microfoni di una emittente locale il responsabile del comitato di soccorso ha detto che Ryan ha chiesto dell’acqua, alle 3 del mattino, quando una piccola telecamera introdotta nel pozzo lo ha sorpreso sveglio e cosciente, dopo quasi 60 ore di calvario: «Ryan parla e risponde alle domande». Dall’alba gli escavatori cercano di bucare anche la roccia per creare finalmente il corridoio di tre metri e raggiungere il bambino. Tra i tecnici c’è anche chi lavora ormai ininterrottamente da 24 ore in una gara di solidarietà che in Marocco non ha precedenti. Ambulanza e staff medico sono sul campo, per prestare i primi soccorsi al piccolo, una volta che sarà libero.
Intanto, la Rete rimbalza immagini di code e imbottigliamenti sulle piccole strade che portano al villaggio di Ryan. È una folla di curiosi, di cittadini arrivati da ogni angolo del Marocco, nella speranza di vedere quel bimbo uscire dal pozzo.
Speriamo che la sua sorte sia diversa da quella del «nostro» Alfredino Rampi.