il Fatto Quotidiano, 5 febbraio 2022
Cosa pensano gli studenti scesi in piazza
Gli studenti dei licei italiani sono tornati in piazza in 40 città d’Italia. Il corteo principale, a Roma, si è fermato ai piedi del ministero dell’Istruzione, dove ha osservato un minuto di silenzio per Lorenzo Parelli, il diciottenne morto in fabbrica nell’ultimo giorno di stage per l’alternanza scuola-lavoro. Nessuno scontro con la polizia, stavolta. Le manifestazioni sono state convocate contro la reintroduzione delle due prove scritte (oltre a quella orale) nel prossimo esame di maturità. Ma in piazza gli studenti hanno portato sogni, inquietudini e frustrazioni dopo due anni e mezzo di pandemia e di vita sospesa. Abbiamo raccolto alcune delle loro voci.
Claudio Corsari, 18 anni, liceo classico. “Non è tanto per le due prove scritte che protestiamo, ma non è mai successo che ti cambiano l’esame di maturità quattro mesi prima di farlo. È come se volessero dire: ‘Ok, il problema del Covid è finito, voi avete perso due anni, ma è tutto come prima’. Siamo una generazione che già partiva con un disagio, ci dicevano che eravamo quelli chiusi in casa a giocare alla Playstation. Figuratevi ora. Che farò da grande? Non ho un’idea chiara. Il futuro non lo vedo tragico, perché credo in me. Ma non nel sistema che abbiamo intorno”.
Edoardo, 17 anni, classico. “Io scendo in piazza principalmente perché è morto un ragazzo. E poi per gli studenti più piccoli di me, quelli che hanno conosciuto il liceo solo con il Covid. Li hanno proiettati in un mondo sconosciuto, non hanno imparato nulla e non hanno stretto legami. Un salto nel vuoto di due anni. Come mi vedo da grande? Non lo so. Il presente è venire rimbalzati da una parte all’altra, senza un punto fisso. Vorrei diventare uno psicologo”.
Marta Filippi, 18 anni, scientifico. “Questa dell’esame di maturità è solo l’ultima goccia, non ce la facciamo più e si vede da quanti ragazzi ci sono in piazza. Il futuro lo vedo con ansia. Non siamo stati istruiti, non siamo stati indirizzati verso il lavoro, non abbiamo potuto capire nemmeno cosa c’interessa davvero.”
Giulio Fraziano, 18 anni, liceo economico-sociale.
“L’alternanza scuola-lavoro è un progetto inutile. Non ha niente a che fare con il tuo percorso. La scuola ti costringe a raggiungere un pacchetto di ore, ma vieni preparato per uno specifico ambiente lavorativo, vai solo a fare la manodopera gratuita. Questi del Covid sono stati anni di distruzione psichica, l’ho vissuta davvero male, mi sono chiuso in me stesso. Ma è talmente ingiusta la nostra situazione, che mi ha dato la forza di scendere in piazza e dire basta, basta. Il futuro non mi mette paura, ma inquietudine. Non so cosa aspettarmi. L’abbiamo visto con la pandemia, le cose cambiano in maniera tragica da un momento all’altro. Il mio sogno è lavorare nel sociale. Ora ho il diritto di voto, ma non ho la più pallida idea di chi andare a votare”.
Eleonora, 17 anni, classico. “Sono aumentati i disturbi di ansia, facciamo sempre più fatica a uscire di casa e socializzare. Ho perso il senso di cosa vuol dire stare in gruppo, essere parte di una classe. Ho compagni che hanno sviluppato disturbi alimentari. La società per me è rotta. Non so se ho un futuro, ma ho un sogno: vorrei arrivare a lavorare in un’organizzazione internazionale come Fao o Unicef. Ma non ho idea di dove sarò tra cinque anni. Quale partito mi rappresenta? Assolutamente nessuno”.
Tommaso Mari, 18 anni, linguistico. “Pensano di farci fare un esame normale, come se tutto fosse a posto come prima. Come se questi due anni non avessero compromesso sia l’apprendimento che la socialità. Io ho sofferto di depressione, a volte nemmeno mi collegavo in Dad. Non ce la facevo più, non avevo stimoli. Poi mi sono dato una scossa, mi sono detto: o me ne vado, o cambio. Mi sono fatto eleggere rappresentante d’istituto e rappresentante di consulta, voglio provare a cambiare. Da grande mi piacerebbe fare politica. In senso ampio, contribuire a diffondere un pensiero. Ma non ho un partito di riferimento”.
Aurora, 19 anni, primo anno d’università. “Dal liceo ne sono uscita ‘viva’ ma non bene. La migliore ipotesi era stare chiusa in cameretta, se eri fortunata avevi un computer e una Rete che funzionava, per partecipare a lezioni senza interazione e non imparare niente. Tra 5 anni mi vedo ancora a studiare. Mi piace Psicologia. Ma non nascondo che ho paura”.
Simone, 18 anni, istituto tecnico. “Mancanza di prospettive, di futuro, di socialità, di normalità: la pandemia è stata questo. Ho ritrovato amici d’infanzia con disturbi, attacchi di panico, problemi emotivi. Ce ne ricorderemo da adulti, di come siamo stati trattati in questi due anni. Questo movimento studentesco deve portare avanti un livello di conflitto politico, su temi alti. Non dobbiamo cercare lo scontro con la polizia, ma le forze dell’ordine hanno una funzione specifica di mantenimento degli equilibri e dello status quo. Se vogliamo cambiare la società e farci sentire, lo scontro si genera da sé, sarà la polizia ad affrontarci. Faccio fatica a immaginarmi una prospettiva tra 5 anni. Sicuramente mi vedo ancora nelle piazze a lottare. Forse non sarà per lo studio, ma per il posto di lavoro.