La Stampa, 5 febbraio 2022
Il pericolo dell’inflazione
È tornata. L’inflazione, che i millennials non avevano mai conosciuto, è di nuovo tra noi. E non solo tra noi. Negli Stati Uniti l’aumento annuale dei prezzi al consumo viaggia al 7 per cento. Nell’area dell’euro, comprese Germania e Italia, al 5 per cento. Nei Paesi emergenti e in via di sviluppo il Fondo monetario internazionale stima una media del 6 per cento. Solo in Giappone l’inflazione è rimasta sotto l’1 per cento. Neanche le cannonate smuovono i prezzi in Giappone. A dire il vero, l’inflazione è spinta, più che da cannonate, da raffiche di aumenti dei prezzi delle materie prime. Ma non solo. Cerchiamo di chiarire rispondendo a sei domande.Quali prezzi aumentano? L’aumento è più forte per gli idrocarburi, soprattutto per il gas naturale, ma l’aumento è generalizzato. Salgono i prezzi dell’alluminio, del frumento, del caffè, del cotone e dei container usati per i trasporti internazionali. Spinti da questi aumenti, ma anche da altre cause, salgono i prezzi domestici. L’inflazione “di fondo” (cioè al netto di voci volatili come i prezzi dell’energia) è più bassa di quella totale, ma è cresciuta.Era previsto un tale aumento dell’inflazione? No. Ha colto tutti di sorpresa. Nel dicembre 2020 la Fed, la banca centrale americana, vedeva l’inflazione all’1,8 per cento nel 2021; per la Bce sarebbe stata dell’1 per cento. Calma piatta. Se non lo prevedevano le principali banche centrali, figuriamoci noi comuni mortali.Perché l’inflazione è aumentata? Questa è la domanda cruciale. Ci sono fattori specifici a certe materie prime come il gas naturale il cui prezzo si è quadruplicato rispetto ai livelli pre-Covid (hanno pesato il calo nel 2021 delle scorte di gas per il freddo inverno, il basso rendimento dell’eolico nel Nord Europa, ed eventi geopolitici). Ma al di là dei fattori specifici, quando i prezzi di tutti i beni si impennano, significa che la domanda aggregata sta crescendo più rapidamente dell’offerta. Questo vale anche per le materie prime. Talvolta le banche centrali si focalizzano solo sull’inflazione di origine interna: come possono essere responsabili per l’inflazione importata? Ma, a livello globale, nulla è importato. A livello globale è l’azione congiunta delle banche centrali e dei governi che influisce sulla domanda aggregata e quindi sull’inflazione. E questa azione congiunta è stata molto espansiva a partire dall’inizio della crisi Covid. Banche centrali e governi hanno introdotto nell’economia uno tsunami di potere d’acquisto a forza di tassi di interesse negativi, operazioni di quantitative easing e deficit pubblici a due cifre (rispetto al Pil). Questa azione espansiva, era necessaria ma forse è andata più in là del necessario. L’economia ha infatti risposto meglio del previsto alla crisi Covid. Tra metà 2020 e metà 2021 il Fondo monetario ha rivisto verso l’alto il Pil dei Paesi avanzati previsto per il 2021 del 6,5 per cento. Le cose andavano meglio del previsto, ma le politiche sono rimaste espansive, scaricandosi sui prezzi.Chi è più colpito dall’inflazione? Ovviamente, chi ha redditi fissi. I rinnovi contrattuali del 2021, per esempio quello dei metalmeccanici, sembravano buoni quando si pensava che l’inflazione sarebbe stata dell’1 per cento. Ma un’inflazione del 5 per cento si è mangiata in un anno gli aumenti salariali previsti per tre anni. Ci perdono anche i risparmiatori che hanno investito a tassi di interesse zero o poco più: investi 100 euro e dopo un anno ti ridanno 100 euro, ma il loro potere d’acquisto è stato eroso dall’inflazione. Lo Stato ci guadagna con l’inflazione perché il rapporto tra debito pubblico e Pil è sgonfiato dall’aumento di prezzi. Ma in questo caso, lo Stato italiano ci guadagna un po’ meno perché parte dell’inflazione è dovuta ai prezzi delle importazioni e non tocca il Pil. Chi ci guadagna di più sono i produttori di materie prime.Quanto l’inflazione tornerà a livelli più accettabili? L’inflazione potrebbe, in qualche misura, rallentare per conto suo. L’aumento della domanda aggregata ha una componente temporanea: parte della domanda che non si è espressa nel 2020, e che ha portato a un aumento dei risparmi, si è travasata nel 2021. Questo travaso dovrebbe esaurirsi presto. Inoltre, non è ancora partita, tranne che negli Stati Uniti, quella rincorsa prezzi salari che prolunga nel tempo qualunque shock ai prezzi, compreso quelli internazionali. Ma se le politiche monetarie e di bilancio continueranno a essere molto espansive sarà difficile tornare a livelli di inflazione accettabili.Cosa si può fare? Nel rivedere in senso meno espansivo le politiche economiche occorrerà non strafare. Lo stesso aumento dei prezzi delle importazioni, tenderà a frenare l’economia. Questo avverrà però se gli stati non compensano completamente l’aumento di questi prezzi attraverso trasferimenti a famiglie e imprese. Occorre quindi intervenire in modo selettivo, proteggendo le fasce sociali e i settori produttivi a rischio, piuttosto che attraverso sussidi generalizzati. Quanto alle politiche monetarie, con tassi di interesse a zero e un’inflazione del 5 per cento, il rendimento reale del risparmio è ampiamente negativo, il che induce la gente a spendere un po’ troppo. La Fed ha ormai annunciato un sentiero di aumenti dei tassi di interesse. La Bce, nella riunione di giovedì scorso, ha deciso di attendere (per buoni motivi visto che la situazione è migliore nell’area dell’euro rispetto a quella del dollaro). Ma non potrà attendere molto se le notizie sui prezzi continuano a preoccupare. —