Corriere della Sera, 5 febbraio 2022
Biografia di Abu Ibrahim Hashimi al Quraishi
Un uomo tranquillo, fin troppo. Stiamo parlando del presunto capo dello Stato Islamico, Abu Ibrahim Hashimi al Quraishi, eliminato da un’operazione Usa nel nord ovest della Siria.
Le testimonianze raccolte dai media nella località di Atmeh non sono sempre precise, a volte le descrizioni mescolano il profilo del capo con quello del corriere, una persona che abitava al primo piano della palazzina. Il terrorista sarebbe arrivato quasi un anno fa, con al seguito la moglie, 3 figli, e la sorella, un trasferimento, avrebbe detto da Aleppo un commerciante siriano in fuga dalle bombe. Aveva preso in affitto un paio di appartamenti, 130 dollari al mese di canone mensile, una bella somma per gli standard del posto. Ora qui i racconti si sdoppiano. Secondo alcuni al Quraishi, sistematosi al secondo piano, non dava confidenza, era molto riservato. Simile il comportamento dei bimbi, a parte qualche ora di gioco in strada. La moglie (o una delle mogli) indossava abiti scuri tradizionali e solo in un paio d’occasioni aveva invitato una donna a prendere il thè.
Un locale intervistato dal New York Times ha precisato che il secondo individuo, anche lui sposato, residente nell’abitazione, svolgeva il ruolo di emissario usando come copertura la professione di autista. Ma qui c’è una variante nella narrazione. Media sostengono che fosse il leader stesso a fare il tassista, c’è chi ha sottolineato come lo avessero visto uscire spesso a bordo di un mezzo. Abbigliamento semplice, kefiah in testa, poi jeans e maglietta. Era sempre rasato, ha aggiunto, una scelta particolare in un’area dove in tanti portano la barba come segno religioso. Sembra però strano che un personaggio così importante, ricercato, potesse andare in giro.
L’operazione
La Cia ha mostrato a Biden un modellino della casa, l’opzione scartata del raid aereo
È invece in linea con il predecessore, al Baghdadi, la scelta nella regione di Idlib. Molti rifugiati, tanti «forestieri», territorio frazionato, presenza di un’infinità di gruppi: un ambiente misto dove nascondersi restando nella penombra di una palazzina, auto-segregato, in stile Osama. L’epilogo però è stato letale: tutti fatti fuori. Gli Usa avrebbero ricevuto una soffiata fin dai primi giorni di novembre e hanno capito attorno al 20 dicembre di aver trovato l’alto dirigente. Il Wall Street Journal ha scritto che dettagli decisivi sarebbero emersi negli ultimi giorni dopo che al Quraishi si era messo in contatto con i combattenti coinvolti nell’attacco alla prigione di Hasaka, nella parte nord orientale della Siria.
Al solito le vittorie hanno tanti padri. Di sicuro è un successo temporaneo per Biden che ha valutato per settimane cosa fare. L’intelligence e il Pentagono gli hanno sottoposto delle opzioni, gli hanno mostrato un modellino della casa, hanno offerto i pro e i contro. Una prima soluzione era quella di un bombardamento aereo ma è stata scartata perché – è la giustificazione – c’erano rischi per i civili. Dunque la missione è stata affidata alla Delta Force: solo che le conseguenze sono state identiche. Insieme al ricercato sono stati spazzati via donne e minori vittime – è la tesi ufficiale – di una carica esplosiva innescata da al Quraishi. Restano le ombre, le circostanze da chiarire su quel finale, l’attesa di una possibile reazione da parte del Califfato.