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 2022  febbraio 03 Giovedì calendario

Cosa ci sarà alla Biennale di Venezia

Sarà la Biennale del Postumano e del post-maschio bianco, illuminista, quella che si aprirà il 23 aprile a Venezia. L’uomo vitruviano di Leonardo, custodito nelle vicine Gallerie dell’Accademia, non è più la misura di tutte le cose. Anzi, nella 59ª mostra d’arte intitolata The Milk of Dreams («Il latte dei sogni», da un libro per bambini di Leonora Carrington) curata dall’italiana, ma più americana, Cecilia Alemani, non è misura di un bel niente. Figure fantastiche e ibride, mutanti che variano dal naturale al meccanico, un mondo dove tutti possono diventare altro è quanto vedremo alle pareti del Padiglione centrale ai Giardini e all’Arsenale. Intorno, padiglioni di 80 Paesi con cinque nuovi ingressi: Camerun, Namibia, Nepal, Oman e Uganda (con Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan ciascuno con un proprio padiglione). Sarà una Biennale che punta alla neutralità carbonica (l’ex impatto zero), che fornirà a tutti i partecipanti (anche ai visitatori) dei protocolli di comportamento e costerà 18 milioni, dei quali 20% da sponsor (partner Swatch, Illy caffè main sponsor). «The Milk of Dreams sarà un viaggio che, attraverso le metamorfosi dei corpi, racconta come sta cambiando la definizione di umano e quali le nuove differenze tra umano e animale», racconta la curatrice Alemani, che ha preparato la mostra nei due anni di lockdown. Il riferimento culturale può essere quello della mostra Identità/ alterità di Jean Clair; ma qui si viaggia verso il distopico spinto, sino a ipotizzare come sarebbe il Pianeta senza di noi e non si sa bene con chi.
Divisa in tre sezioni, la rassegna si concentra sulla rappresentazione dei corpi (metamorfosi, fusion), sulle relazioni tra individui e tecnologie (passaggio dall’uomo al robot) e sulla connessione tra corpi e Natura «come fine dell’antropocentrismo e nuova comunione tra esseri e animali». È la messa in mostra della filosofia del Post-umano, la «fine della centralità dell’uomo, specie quello bianco illuminista, il farsi macchina e terra dell’uomo, il suo disfarsi in favore di corpi permeabili». Vedremo opere di 213 artiste/i di 58 nazioni (26 dall’Italia), 180 dei quali mai stati alla Biennale. Ci saranno 80 nuove produzioni per complessivi 1.433 opere/oggetti. Protagoniste «le donne, artisti non binari e coloro che stanno mettendo in crisi la figura dell’uomo al centro del mondo». L’esposizione, infatti, ruota anche intono a «capsule», ovvero piccole esposizioni tematiche tran-storiche di sole artiste.
Tutto è trans, qui, ma nella visita meglio partire dal Padiglione centrale ai Giardini con la capsula La culla della strega, lavori di 30 artiste su ambiguità e metamorfosi del corpo «contro l’idea di uomo unitario, rinascimentale»: negritudine, fusion e opere del recente passato da Paesi non eurocentrici al posto di quel che furono 500 anni di antropocentrismo, Leon Battista Alberti, Palladio e compagnia. «Il fine è anche quello di sovvertire i cliché sulla donna nella storia dell’Arte presentando corpi intersex», afferma la neo-mamma Alemani. A seguire, artiste contemporanee come l’americana Christina Quarles, Andra Ursuta con i suoi corpi disfatti, Sara Enrico e Chiara Enzo (i maschi sono solo nei cognomi delle donne) con i suoi iperrealistici rilievi di epidermide. Altre capsule sono Tecnologia dell’incanto (dove ci sono Grazia Varisco, Nanda Vigo, Marina Apollonio) e Corpo orbita con artiste e scrittrici che utilizzano figure espanse, scrittura automatica, quadri tipografici, grafemi o creature simbiotiche come quelle di Paula Rego e performance come quelle della rumena Alexandra Pirici «che parlerà di interazioni simbiotiche e parassitarie tra individui».
Capsule anche all’Arsenale e molte foto, come quelle della scomparsa Belkis Ayón sulle comunità matriarcali e vari filmati di individui persi tra i licheni della Lituania e altri che «flirtano con la Natura». Poi le sculture uterine dell’americana Ruth Asawa, corpi che diventano carapaci, modelli anatomici deformati, una Venere di Botticelli sostituita da un pescatore nero. 
Abbiamo capito; ma chi vuole dare un’occhiata anche alla capsula La seduzione di un cyborg scoprirà artiste che hanno immaginato avatar postgender e post-umani. «Alla fine – dice Alemani – la mostra diventa sintetica, senza figura umana, con creature criogeniche e l’animale che prende il controllo sull’uomo, anche con fiori postatomici e macchine robotiche che ricorderanno le figure umane» (ormai defunte). Ci sarà pure il compleanno del cyborg e un site specific di Barbara Kruger di critica alla comunicazione. Una mostra distopica e un po’ inquietante. Si salvi chi può – tanto, «quando i cieli diventano più scuri... noi non ci saremo», come cantava Guccini. E, forse, anche questo mondo ci sarà solo alla Biennale per sette mesi.