Corriere della Sera, 3 febbraio 2022
Nella casa degli orsi polari
Quella sull’isola di Kolyuchin, estrema propaggine siberiana con l’Alaska all’orizzonte, era una stazione meteorologica. Costruita dalla Russia sovietica nel distretto autonomo di Chukotka, chiusa nel 1992. Di là oggi ci arriva, infatti, un bollettino meteo della nostra epoca: gli orsi polari si rifugiano nelle casette del villaggio disabitato attorno alla stazione; barili di petrolio giacciono qua e là; non c’è un fiocco di neve. Così, affacciati a porte e finestre come in una versione apocalittica della fiaba di Ricciolidoro, gli orsi bianchi sono apparsi al fotografo amatoriale Dmitry Kokh «mesi fa, e non smetto di rivederli nei sogni».
Da molti anni, racconta Kokh al Corriere, «desideravo fotografare gli orsi polari. Sono stato a lungo un fotografo di animali ma solo per hobby. Di lavoro sono imprenditore informatico: ho novanta dipendenti. Ma poi la natura si è presa il suo spazio nella mia vita, sempre di più». Proprio come a Kolyuchin.
Agosto 2021, Kokh parte su un piccolo yacht per una spedizione verso nord programmata da più di due anni. L’obiettivo è fotografare, finalmente, gli orsi polari, «sfuggenti e misteriosi. Li avevo già incontrati, ma non avevo mai scattato buone foto. Era come se eludessero l’obiettivo». Lo yacht si dirige tutto a nordest, verso l’isola di Wrangel. Remota, inaccessibile agli umani, è ideale per le madri che partoriscono e allattano i piccoli. La spedizione costeggia la Russia artica per duemila chilometri, «un continente parallelo: il paesaggio cambiava continuamente, spiagge assolate e scogliere, abissi e tundra, centinaia di specie di uccelli, balene, orche, orsi bruni. Un mare pieno di vita». Il Mare di Chukchi, che fa parte dell’Oceano Artico, divide la Russia dall’Alaska. Il punto più a est della Russia e dell’intera terraferma asiatica, Capo Dezhnev, è il segno per Kokh e i suoi «che nel clima c’è qualcosa di strano. Iniziamo lì a incontrare blocchi di ghiaccio; non ce li aspettavamo che molto più a nord». Poi una tempesta, che costringe lo yacht ad avvicinarsi a Kolyuchin. Nemmeno lì è sicuro attraccare. Qualcuno estrae un binocolo e lo punta sull’isola.
Ed ecco gli orsi. «Sono rimasti lì perché in alcune estati i blocchi di ghiaccio che usano come zattere, non si sa perché, rimangono vicini alla riva, e non galleggiano verso nord», spiega Kokh. «Ho filmato gli orsi con un drone poco rumoroso; ho usato qualche trucco che ha ridotto il ronzio, per non spaventarli».
Le foto restituiscono una vita da cartone animato: le madri coi cuccioli se ne tengono lontane, ma «gli orsi maschi e giovani esplorano continuamente le case, perché sono molto curiosi. Era come se si riprendessero il loro spazio, uno spazio che noi umani gli avevamo sottratto». E gli orsi che si «riprendono» le case disabitate sembrano una profezia: quando diciamo che il riscaldamento globale minaccia di far sparire la vita sul pianeta, intendiamo (soprattutto) la nostra.