Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 03 Giovedì calendario

Elisabetta II, 70 anni sul trono

Quando Giorgio VI morì, nella notte del 6 febbraio 1952, 70 anni fa, sua figlia Elisabetta si trovava in Kenya sui rami di una gigantesca pianta di fico sicomoro, nel quale era stato ricavato il «Treetops Hotel», il resort più originale dell’Aberdare National Park. La principessa, in visita ufficiale con il marito Filippo, stava fotografando dalla terrazza gli animali che si abbeveravano nella pozza vicina, mentre il sole si levava all’orizzonte. Da Sandringham, la residenza dei Windsor nel Norfolk, era appena partita una telefonata verso Buckingham Palace: «Hyde Park Corner, avvisate il governo». La frase era un codice per annunciare la morte del re.
Edward Ford, vicesegretario del Sovrano, andò al numero 10 di Downing Street ed entrò nella camera da letto di Winston Churchill. Il premier stava leggendo i giornali e fumando il primo sigaro della giornata, che ravvivava da una candela sempre accesa. Ford gli diede la notizia: il timido, balbuziente e coraggioso re che aveva vinto con lui la guerra contro Hitler era morto. Churchill lasciò cadere a terra i giornali e trattenne le lacrime. Il suo segretario, Jock Colville, cercò di rincuorarlo dicendogli che si sarebbe trovato bene con la nuova regina. «Non so – rispose Churchill -. Non la conosco, è solo una bambina».
Elisabetta aveva 26 anni, ed era partita per il Kenya al posto del padre già sofferente, che non se la sentiva di compiere un lungo viaggio ufficiale. La Bbc diede subito la notizia in tutto il mondo, ma la nuova regina, a causa dell’isolamento del luogo, fu l’ultima a riceverla. Solo alle 11,30, dopo essere stato informato ed avere controllato e ricontrollato, il barone Charteris di Amisfield, segretario privato della principessa, entrò nel salotto del Sagana Lodge dove lei si era trasferita con il marito. «Era alla scrivania con la penna in mano – ha poi ricordato – e Filippo era seduto in poltrona, leggendo il “Times”. Sedeva eretta, nessuna lacrima, il colore del viso solo un po’ più acceso. Accettava completamente il suo destino».
Elisabetta e Filippo uscirono nel prato e camminarono a lungo fianco a fianco. Lui le parlava e le parlava, rassicurandola e forse già promettendole di fare quello che poi ha fatto: starle vicino e sostenerla per tutta la vita. Tornarono al lodge, e Charteris le chiese come avrebbe voluto essere chiamata da regina. Lei rispose: «Con il mio nome, Elisabetta, naturalmente». Pamela Mountbatten Hicks si avvicinò per farle le condoglianze, lei disse che le spiaceva di dover partire, perché questo rovinava i piani di molta gente. Scrisse lettere di scuse alle persone che non avrebbe più potuto incontrare, poi andò a ringraziare il personale dell’albergo: «Arrivederci e grazie, ci rivedremo ancora». Aveva amato suo padre come nessun altro, ma teneva ogni sentimento dentro di sé. Mentre partivano, il leggendario cacciatore Jim Corbett, che li aveva scortati nel parco, ideò la scritta che fu appesa al «Treetops»: «Per la prima volta nella storia del mondo, una giovane ragazza è salita su un albero un giorno come principessa, e ne è scesa il giorno dopo come regina. Che Dio la benedica».
Sull’aereo, Elisabetta indossò l’abito nero che ogni reale porta sempre con sé per eventi luttuosi, sul quale appuntò una spilla a forma di fiore. Ad accoglierla all’aeroporto c’erano Churchill e altri membri del governo, tutti con il cilindro tenuto nella mano sinistra, insieme al bastone o all’ombrello. La Regina fu portata a Clarence House, dove l’attendeva la madre di suo padre, Queen Mary. Quell’austera donna, che dai tempi di Vittoria era vissuta durante il regno di cinque re, si chinò a baciare la mano anche della nipote. Era stata lei, quando divenne chiaro che Elisabetta sarebbe diventata un giorno regina, a imporle di studiare la poesia per imparare a fare economia di parole, usando solo quelle giuste per essere più incisiva nei discorsi che avrebbe dovuto fare.
Al funerale di Giorgio VI parteciparono tre regine inglesi: sua madre Mary, sua moglie Elizabeth e sua figlia Elisabetta. Erano tutte vestite di nero, con un velo a coprire il viso, come donne talebane, unite dal dolore e dal rispetto per un uomo fragile, diventato re perché suo fratello Edoardo VII era fuggito in Europa con un’americana, abdicando al suo ruolo. Le sigarette, le responsabilità e le tensioni della guerra lo avevano ucciso a 57 anni. Elisabetta ricordava le ore che lui le aveva dedicato, mostrandole ogni giorno i documenti contenuti nella valigia rossa del governo, e spiegandole quali erano i suoi compiti e perché il dovere di un re verso la propria nazione deve sempre venire prima dei problemi personali, della famiglia, dello svago.
Da settant’anni Elisabetta passa il Natale a Sandringham e vi resta fino al 6 febbraio, l’anniversario della morte del padre. Quest’anno ha voluto restare qualche giorno anche nel vicino Wood Farm Cottage, dove Filippo ha trascorso gli ultimi mesi e dove ci sono ancora i suoi ricordi. Poi, nella solitudine della vecchiaia e del Covid, penserà a suo padre, ai 70 anni che sono passati, alle tante cose che sono accadute. E potrà essere fiera di non averlo mai deluso.