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 2022  febbraio 03 Giovedì calendario

Parla Carola Rackete

«Finalmente è tornato il sole». Chi non conosce Carola Rackete penserà che l’esordio di quest’intervista sia una metafora, un modo figurato per esprimere la soddisfazione di essere stata liberata da ogni accusa penale.
Invece la ex capitana della Sea Watch 3 sta solo guardando fuori dalla finestra. «Sono in Norvegia, in un villaggio sulla costa. Sono venuta a dare supporto a una protesta locale.
Dall’inizio di dicembre è sempre stato buio, adesso finalmente abbiamo qualche ora di luce al giorno». Poco prima di Natale, da Agrigento è arrivato il verdetto: archiviazione. La 33 enne tedesca non ha favorito l’immigrazione clandestina e non ha violato il Codice della navigazione quando, tra il 28 e il 29 giugno 2019, è entrata nel porto di Lampedusa con 40 migranti a bordo forzando il decreto sicurezza bis dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Non aveva mai voluto riparlare di quella notte complicata.
«Prima la giustizia deve fare il suo corso», diceva Carola Rackete per spegnere la curiosità altrui. Il tempo per ricordare e tirare le somme, però, è arrivato.
La sua reazione quando ha saputo dell’archiviazione?
«Ho pensato che, dopo due anni, è stato messo un bel punto finale, perché è stato stabilito che il decreto sicurezza bis era una legge sbagliata».
La missione della Sea Watch 3 ha contribuito ad abbattere la normativa di Salvini. Era questo il suo obiettivo a Lampedusa?
«Sì, anche. Quando siamo salpati sapevamo che il decreto era stato approvato, ma non ci aspettavamo di finire in un conflitto con lo Stato italiano. Dopo il recupero dei naufraghi in mare, è stato chiaro che non ci sarebbe stata una soluzione politica: tutti ci stavano rifiutando il porto di sbarco. È lì che mi sono convinta che dovevo avere il coraggio di sfidare il vostro governo proprio sul campo preparato da Salvini col suo decreto».
Salvini l’ha definita “zecca tedesca”, “comunista”, “terrorista”. Si è sentita ferita?
«No. Feriscono le parole dette da chi ti conosce. Quel linguaggio usato dal ministro dimostra tuttavia come dal populismo si scivola facilmente verso l’autoritarismo. Il discorso pubblico è tossico contro le donne, contro i migranti, contro i giovani, contro l’ambiente. Se al timone della Sea Watch 3 ci fosse stato un maschio, Salvini non si sarebbe comportato così. E mi ha rincuorato sapere che dopo il mio arresto decine di persone hanno protestato contro il sessismo».
Una sorta di duello personale tra lei e Salvini, insomma.
«E alla fine Salvini ha perso».
Margini per evitare lo scontro ce n’erano?
«Io mi sentivo dalla parte giusta della storia. Per me era chiaro che il muro invisibile eretto in mare contraddiceva le leggi internazionali marittime e che, per sbarazzarsene, qualcuno doveva avere la forza di abbatterlo. Se io avessi scelto di evitare lo scontro, qualche altro capitano si sarebbe trovato nella medesima situazione».
Dopo l’attracco, è stata arrestata. Aveva paura ?
«Certo che ero spaventata. Ai finanzieri chiedevo informazioni sui naufraghi per sapere se fossero in salvo, ma ero consapevole che la vicenda giudiziaria poteva andare in tutte le direzioni, anche le più imprevedibili. Visto ciò che è successo in seguito a Mimmo Lucano, e mi riferisco alla sua scioccante condanna, facevo bene a essere preoccupata».
Il ricordo più doloroso della missione?
«I tanti conflitti interni a Sea Watch. Da una parte c’eravamo io, il capo missione Philipp e il capo medico di bordo, dall’altra il back office di Berlino. Sia quando sono entrata nelle acque territoriali italiane, sia quando ho forzato il blocco a Lampedusa, sono andata contro le raccomandazioni del back office.
Non avevamo un accordo stabilito o una strategia comune. Ho preso una decisione che trovava contraria una parte della ong».
Un conflitto che non traspariva.
«In pubblico Sea Watch è stata dalla mia parte e mi ha aiutato ad affrontare l’indagine, ma avrei voluto consenso anche a Lampedusa. C’era una pressione incredibile su di me ed ero l’unica in grado di prendere la decisione. I conflitti interni sono stati più difficili da gestire che il conflitto con il governo italiano».
Rifarebbe tutto?
«Sì. Ed entrerei in porto anche prima, senza perdere tempo»
Si è sentita sola?
«Durante la missione no, dopo sì. Mi sono ritrovata in una situazione surreale, al centro dell’attenzione mediatica e contemporaneamente isolata. È stato un periodo molto solitario. Da allora la mia vita è cambiata, non ho più le stesse opzioni di prima. Ne ho altre. Sto tornando a fare le cose che amo, in difesa dell’ecosistema. Ma il processo di recupero della mia vita va molto più lentamente di quanto mi aspettassi».
La rivedremo al timone di una nave di soccorso?
«Trovo strana questa domanda.
Siccome i media hanno di me l’immagine della capitana che salva i migranti, pensano che debba farlo per tutta la vita. Non è necessario stare su una nave per combattere le ingiustizie. E non sento l’urgenza di tornare nel Mediterraneo per rendere completa la storia. Io mi sento completa così».