Il Messaggero, 3 febbraio 2022
Ritratto di Simone de Beauvoir
«Sono nata alle quattro del mattino, il 9 gennaio 1908, in una camera dai mobili laccati di bianco, che affacciava sul boulevard Raspail ero fiera di essere la maggiore: la primogenita Mi piacevo e cercavo di piacere. Gli amici dei miei genitori incoraggiavano questa vanità». Queste parole sono scritte all’inizio di Mémoires d’une jeune fille rangée, Memorie d’una ragazza perbene, primo dei quattro volumi dell’autobiografia di Simone de Beauvoir. Ancorché ci sia qualche modifica (soprattutto nei nomi), si tratta della storia di una ragazza perbene della buona borghesia parigina, che diverrà un’intellettuale di rottura, anticonvenzionale e scandalosa.
LA FAMIGLIA
I genitori sono Georges de Beauvoir, avvocato, e Françoise Brasseur, che avranno una seconda figlia, Hélène detta Poupette. È una famiglia agiata, che ha le abitudini della propria classe sociale – in seguito criticate da Simone come retrive, borghesi e bigotte – ma conosce un rovescio di fortuna. Nondimeno, la piccola viene iscritta a una scuola privata, l’Istituto Désir. È brillante, ambiziosa, la prima della classe. Decide allora di dedicarsi all’insegnamento, anche perché sa di dover lavorare. Inizia inoltre a orientarsi verso un deciso ateismo. Alle elementari conosce Elizabeth Lacoin detta Zazà (nel libro il cognome è Mabille). Il rapporto con questa – intelligente, sensibile e piena di doti – è molto importante. Zazà morirà giovane per una polmonite, ma soprattutto a causa di una delusione amorosa causatale dalla rottura con Maurice Merleau-Ponty. Simone ne resta molto scossa. Alla fine di Memorie d’una ragazza perbene, scrive: «Insieme, avevamo lottato contro il destino fangoso che ci attendeva al varco e per lungo tempo ho pensato di aver pagato la mia libertà con la sua morte». Si parla del rapporto fra le due anche ne Le inseparabili, postumo.
Simone ottiene nel 1925 il Baccalaureato e si iscrive a filosofia alla Sorbona, laureandosi con una tesi su Leibniz. Segue dei corsi alla Normale Supérieure e passa il concorso per l’Agrégation l’idoneità per insegnare, conseguita dai più bravi. Insieme a lei ci sono Jean-Paul Sartre, Paul Nizan, Jean Hyppolite. Conosce Raymond Aron, Lévi-Strauss ed altri. Nasce un legame con tutto il gruppo, ma soprattutto comincia il rapporto con Sartre. I due saranno amanti, senza regolarizzare la loro unione né vivere insieme, anzi con l’accordo di poter avere altre storie. Si giungerà a ménages à trois non edificanti (uno, con una studentessa di Sartre, è narrato nell’Invitata, primo romanzo di Simone). Lui la chiama Castoro, sia perché la considera una grande lavoratrice sia per un gioco di parole con il cognome di lei. Simone rifiuta il matrimonio, non vuole figli, non intende dipendere da un uomo. La scrittura diviene lo strumento di affermazione, il modo per portare avanti la battaglia femminile e dire verità scomode.
Inizia a insegnare in giro per la Francia, poi tornerà a Parigi. Viaggia molto con Sartre in Italia, Spagna e altri paesi. L’insegnamento le verrà quindi interdetto per una relazione con una studentessa. Durante la Seconda guerra mondiale, Simone non si muove da Parigi occupata; per breve tempo fa parte con Sartre del gruppo di Resistenza Socialismo e Libertà. Oltre a esso, tuttavia, la Beauvoir dirige la radio collaborazionista di Vichy. Anche l’amante non sempre dà prova di una ferrea opposizione ai tedeschi. Entrambi si volgeranno verso un comunismo eretico dopo la guerra.
Gli intellettuali della Rive Gauche si incontrano al Café Flore, ai Deux Magots, alla Brasserie Lipp. Simone, ormai famosa come il compagno, si orienta verso la filosofia esistenzialista e dopo la guerra fa parte della rivista Les Temps Modernes. Scrive, viaggia, tiene conferenze. Negli Usa conosce Nelson Algren, con cui ha una storia. Nel 1949 pubblica Il secondo sesso, dove analizza le nozioni sul mondo femminile (da quelle biologiche a quelle antropologiche), con l’idea di fondo che, nella storia, le donne siano state sottomesse agli uomini. Il testo fa scandalo. Celebre è l’affermazione «donne non si nasce, si diventa». E anche: «Questo è sempre stato un mondo dell’uomo, ma nessuna delle ragioni addotte a spiegarne il motivo mi è mai parsa davvero adeguata».
IL GONCOURT
Nel ’54 pubblica I mandarini, che ottiene il Goncourt. Con le contestazioni del maggio ’68, Simone si mette alla testa del movimento femminista. È un personaggio divisivo già dal tempo della guerra di Algeria, dove si era schierata a favore della liberazione. In seguito prende parte a molte battaglie, fra cui quella sulla dissidenza sovietica e l’aborto. Nel 1971 firma il Manifesto delle 343 puttane, con donne che si autodenunciano per aver abortito. Ha una figlia adottiva, Sylvie Le Bon. Scrive della vecchiaia nel libro La terza età e poi, ne La cerimonia degli addii del 1981, parla della storia con Sartre, morto il 15 aprile 1980. A sua volta, Simone scompare il 14 aprile 1986. «Una donna scrittrice – ha detto – non è una donna di casa che scrive ma qualcuna la cui intera vita è condizionata dallo scrivere».
Alessandra Necci