il Fatto Quotidiano, 3 febbraio 2022
Elisabetta Casellati è furiosa
Si cammina rasente i muri perché Ella è tornata a Palazzo più infuriata di com’era partita quando aveva lasciato Roma per rifugiarsi a casa in quel di Padova: nonostante siano passati giorni, ancora non ha avuto soddisfazione per lo smacco subito nel segreto del catafalco dove l’han fatta secca gli amici, imparando a sue spese, che tali non erano.
Insomma non sono ancora rotolate le teste dei principali indiziati che le hanno impedito di traslocare al Colle, ma Maria Elisabetta Alberti Casellati li ha segnati uno per uno promettendo vendetta: “Me la pagheranno”. Intanto ha pagato Marco Ventura, il portavoce, l’ultimo di una lunga serie: con una lettera Ventura ha dovuto annunciare “immediate dimissioni irrevocabili” e preparare gli scatoloni per tornarsene a casa, altro che seguirla al Quirinale per l’ambito settennato.
E i nemici? Quelli sono ancora tutti lì. Domani per tutto il giorno sfileranno al suo cospetto facendo come nulla fosse: prima alla riunione dei capigruppo del Senato e poi alla cerimonia di Sergio Mattarella di fronte al Parlamento. Li guarderà negli occhi consapevole che in tanti non l’han votata nonostante le promesse. Tra i compari del centrodestra le son mancati ben 20 voti su 32 che le aveva assicurato il tandem centrista Toti-Brugnaro. E soprattutto 41 voti di Forza Italia di cui ha chiesto conto ad Antonio Tajani, Lucia Ronzulli e pure a Maurizio Gasparri, tartassato all’inverosimile. E naturalmente se ne è lamentata con Silvio Berlusconi a cui, narrano voci ben informate di Forza Italia, avrebbe chiesto la testa della capogruppo degli azzurri al Senato, Anna Maria Bernini, ahi lei individuata come prima della lista dei traditori che gliel’hanno fatta grossa preferendo votare persino Mattarella. O annullando la scheda subito dopo aver inviato la foto a chi l’aspettava con su scritto correttamente il nome Casellati. Quando sono state aperte le insalatiere quirinalizie in effetti si è trovato un po’ di tutto compreso un “suca chi legge” per il compiacimento sadico di chi già pregustava lo spettacolo di veder la faccia sua mentre assisteva allo scrutinio al fianco di Roberto Fico.
Ma poteva pure andar peggio a voler ritentare come aveva pur insistito Casellati, una furia dopo la batosta. Ma pretendeva il bis, ritentare e ritentare mentre i suoi alleati, diciamo così, non vedevano l’ora di ammainare la sua bandiera. Pavidi! Lei era certa che il successo prima o dopo sarebbe arrivato se non per convinzione sul suo nome, per sfinimento. “Io il mio pacchetto di voti ce l’ho anche nell’altro campo” aveva detto subito dopo, provata ma ancora fiera. E soprattutto convinta che una volta che i parlamentari di centrosinistra l’avessero smessa con la tattica di non ritirare la scheda sarebbero fioccati voti in suo favore. Forse, ma anche no: quando in segno di astensione sono dovuti sfilare sotto il banco della presidenza hanno incrociato i suoi sguardi feroci. Altri che con lei si erano sbilanciati alla vigilia con la promessa di appoggiarla hanno accelerato il passo cercando di evitare le sue occhiate.
Oggi li rivedrà tutti, poveretti loro, prima al Senato per la capigruppo, poi alla Camera e infine al Colle per l’insediamento di Mattarella. Dove sarà proprio lei a pronunciare chissà con quale umore il saluto al nuovamente capo dello Stato che l’ha surclassata nell’urna. E già c’è chi ha iniziato a dileggiarla pure per questo. “Tale incombenza nel 2015 era toccata a Piero Grasso ma solo perché Napolitano si era dimesso anzitempo e l’allora presidente del Senato era il reggente. Ancora prima nel passaggio di consegne dal Napolitano I al Napolitano II nel 2013 il saluto non c’era stato proprio. Questa volta invece il cerimoniale ha affidato il compito proprio a lei che così tanto ambiva al ruolo”. Uno sfregio? Ma no, giurano dal Quirinale: “Abbiamo individuato questa soluzione perché siamo di fronte a un unicum dal momento che Mattarella si reinsedia lo stesso giorno della sua scadenza e quindi non c’è un reggente. Quindi la soluzione più naturale era affidare il saluto alla seconda carica dello Stato che lo fa per prassi nelle altre cerimonie ufficiali”. E allora, che Ciaone sia.