Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 03 Giovedì calendario

ANDIAMO A RIPRENDERE ANCHE I "NOSTRI" ZAKI - TANTO CLAMORE PER IL CITTADINO EGIZIANO CHE STUDIAVA A BOLOGNA, MA NESSUNO PARLA DEI 2 MILA ITALIANI DIMENTICATI NELLE PRIGIONI ALL'ESTERO, TRA ANOMALIE E DIRITTI NEGATI - MARCO ZENNARO, RINCHIUSO IN SUDAN, CHICO FORTI, 20 ANNI DI CELLA NEGLI USA, MA ANCHE I CASI DEL LECCESE SIMONE RENDA UCCISO SOTTO TORTURA IN MESSICO O CLAUDIO CASTAGNETTA MORTO IN CIRCOSTANZE MISTERIOSE IN CANADA... -

Politici, non solo di sinistra, grandi organizzazioni in difesa dei diritti umani, università e riflettori sempre accesi dei media. Bello e soprattutto politicamente corretto battersi per Patrick Zaki, pur sempre, però, cittadino egiziano che studiava a Bologna. Peccato che sia molto minore la mobilitazione per i casi di cittadini italiani incastrati dietro le sbarre all'estero, pure in paesi golpisti.

Battaglie evidentemente meno alla moda e radical chic per connazionali «prigionieri» di serie B. Il veneziano Marco Zennaro non ha bisogno di cittadinanze onorarie o richieste a gran voce in Parlamento, come nel caso di Zaki, per venir tirato fuori dal Sudan in mano ai golpisti.

Il 23 gennaio l'imprenditore bloccato a Khartoum, dopo un brutto periodo passato in carcere per una controversia commerciale, spera di vedere la luce nell'udienza stabilita dal tribunale. Purtroppo il fascicolo viene trasferito alla Corte di Appello di Khartoum, come in un sadico gioco dell'oca, e l'udienza cancellata.

Zennaro non può lasciare il Sudan dal primo aprile dello scorso anno e rischia di rimanere bloccato ancora a lungo. L'accusa di truffa non è nobile come quella di Zaki di avere protestato contro il generale Al Sisi, ma in Sudan comandano i golpisti.

E come denuncia Cristiano, il padre di Zennaro, il miliziano che accusa il figlio è lo zio di un generale sudanese a capo delle forze irregolari che appoggiano la giunta militare dopo il colpo di stato del 25 ottobre.

Il prigioniero più noto, che avrebbe già dovuto tornare in Italia, è Enrico Forti, detto Chico. L'italiano è da 22 anni in carcere negli Stati Uniti, condannato all'ergastolo fino alla morte.

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, aveva annunciato l'imminente soluzione del caso con il trasferimento in patria e la pena da scontare nel nostro paese. Forti si proclama da sempre innocente, ma i riflettori sono accesi a intermittenza e non fa notizia come Zaki.

Il 19 gennaio in Parlamento, il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, dichiara che il caso «è complesso, non so quando potrà avere una soluzione. Siamo in attesa di risposte che continuiamo a sollecitare».

Le risposte sulla pagina Facebook degli amici del prigioniero oltreoceano sono inviperite: «Ma andateci voi in galera vergogna!!!! Per la Baraldini che era veramente colpevole siete andati con l'aereo di stato. Buffoni!!».

Il riferimento è all'estremista di sinistra riportata in patria dopo la condanna negli Stati Uniti. Gianni Forti, lo zio di Chico, aveva esultato per la liberazione di Zaki: «È una iniezione di speranza, ma sono 22 anni che stiamo aspettando. Decenni di battaglie che ancora sono valse a nulla. La nostra famiglia è distrutta».

Dietro le sbarre nel mondo ci sono 2.024 italiani in attesa di giustizia, la maggior parte nell'Unione europea (1.489). «Prigionieri dimenticati, italiani detenuti all'estero tra anomalie e diritti negati» è il titolo del libro di Katia Anedda, che racconta 13 storie drammatiche di chi non si chiamava Zaki.

Simone Renda, il bancario leccese ucciso sotto tortura in un carcere messicano, Claudio Castagnetta morto in circostanze misteriose in una prigione canadese, il videomaker Carmine S. che si è fatto oltre un anno dietro le sbarre a Bali perché «lavorava senza permesso», secondo la polizia.

Federico Cenci, autore di un altro libro-denuncia con Fabio Polese sui connazionali detenuti all'estero, osserva: «Zaki ha avuto un'eco mediatica che può aver influito sulla sua recente scarcerazione. Ma non per tutti è così».