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 2022  febbraio 02 Mercoledì calendario

Intervista a Elisa

Chi l’avrebbe detto. Ventun anni fa Elisa al Festival di Sanremo era l’esordiente inconsapevole che vinse con il sontuoso Luce (Tramonti a Nord Est). Ora è una stella della canzone d’autore che presenta l’altrettanto sontuoso O forse sei tu, che è «dressed to kill», ossia vestito per uccidere i pronostici. «È un ritorno strano, surreale» spiega lei nel suo buen retiro vicino a Sanremo. Solitudine. Vista mare. Luce del sole che attraversa le tende. «Di certo l’atmosfera è diversa da quando sono stata ospite all’Ariston». Stasera sarà sul palco vestita da Valentino e dalla consapevolezza di oltre venticinque anni di carriera. Ben spesi, si direbbe.
Ieri e oggi, facciamo il confronto cara Elisa.
«Allora ero una giovane ingenua perciò l’ho vissuta nel modo migliore».
Ossia?
«Pensavo alla musica, ero completamente immersa nel lato artistico. Oltretutto avevo un grande dramma personale, perché mio papà era in coma. L’ho salutato prima di partire temendo che fosse l’ultima volta. Ma poi ce l’ha fatta, anche se non è più tornato come prima. Insomma, nel Sanremo 2001 avevo un grande dolore dentro».
Fu il debutto in «italiano».
«Il brano esisteva già in inglese e si intitolava Come speak to me. Il ritornello era Sunset on my homeland. Caterina Caselli mi disse: devi farlo in italiano».
Com’è nato il ritornello?
«Devo dirlo? È arrivato da mia mamma, che me lo ha praticamente dettato mentre stirava in cucina: Parlami come il vento fra gli alberi/ Parlami come il cielo con la sua terra. Le pago ancora i diritti perché non è iscritta alla Siae (sorride – ndr). Però il resto del testo non veniva. Allora Caterina Caselli mi consiglia Zucchero».
E lei?
«Accetto, vado a casa sua a Pontremoli e vedo che è immerso in un flusso creativo con tutti i post-it dei suoi appunti sparpagliati in giro. Sono impazzita! Lì sono nati versi come siamo nella stessa lacrima».
Oggi è quasi di uso comune.
«Appunto, grandi versi. Però io avrei potuto essere a Sanremo anche prima del 2001. Per la precisione nel 1996. Ma feci di tutto per far scadere i termini di presentazione».
Come la prese Caterina Caselli, che era la sua discografica?
«Diciamo che mi ha perdonato a stento».
Elisa è sempre stata bifocale, due lingue, due mondi. Non a caso stavolta è in gara con un brano in italiano e una cover in inglese, What a feeling dalla colonna sonora di Flashdance.
«Lo sa che ci sono miei fan che hanno organizzato gruppi di ascolto per venerdì sera tutti con gli scaldamuscoli come ai tempi di Flashdance?».
Perché ha scelto quel brano?
«Perché è la storia di una ragazza che ce la fa e un po’ mi identifico: vengo dalla provincia e ho superato molte difficoltà per fare ciò che sognavo. L’arrangiamento di Dardust è un gigantesco tributo al compositore Giorgio Moroder. E io porto in scena quel brano con la ballerina Elena D’Amario, che ho conosciuto ad Amici. Ma non c’è solo questo».
E cosa manca?
«I due brani che canto qui al Festival sono l’immagine del mio nuovo album Ritorno al futuro/Back to the future, che è cantato sia in italiano che in inglese».
Però perché ha deciso di tornare al Festival dopo così tanto tempo?
«Perché oggi il Festival è davvero la fotografia più veritiera della musica che si ascolta sulle piattaforme. Per tanti anni, non ci si ricordava neanche chi avesse vinto il Festival l’anno prima. Adesso ce li ricordiamo benissimo tutti, Maneskin ecc».
Gianni Morandi l’ha candidata alla direzione artistica del prossimo anno.
«Mi spiazza. Non ci ho mai pensato, è una cosa davvero impegnativa. Mi piacerebbe ma non so se sarei in grado di farlo».
Potrebbe condurlo.
«No, condurlo di sicuro no».
Emma ha detto che al Festival tifa per lei.
«E io tifo per Emma».
Allora diciamola tutta: spera di vincere?
«In realtà spero soprattutto di cantare bene e di vincere la mia ansia che cresce a dismisura».
E poi?
«E poi esce il disco e andrò in tour. Un tour che, se tutto va come sembra, sarà plastic free, molto rispettoso dell’ambiente e del risparmio di energia. Per capirci, pianteremo alberi per rientrare in pari con le emissioni di Co2. E lo faremo nei luoghi dove abbiamo suonato, non in posti sperduti del mondo».