il Fatto Quotidiano, 2 febbraio 2022
Intervista ad Andrea Crisanti
Professor Andrea Crisanti, come vede la situazione?
Sta passando la buriana della variante Omicron, la cui caratteristica è che i vaccinati si infettano e trasmettono con i numeri pazzeschi che abbiamo visto. La mia impressione, guardando anche ai dati dell’Inghilterra, è che stiamo raggiungendo una situazione di equilibrio ma a livelli piuttosto elevati. Se c’è un momento per liberalizzare è fra due-tre settimane, nel momento di massima protezione della popolazione. O lo fai adesso o non lo fai. Non significa che il virus se n’è andato, sia chiaro. Significa solo che la maggior parte della popolazione è protetta o perché ha fatto la terza dose da poco o perché si è infettata da poco. Punto.
E invece tra vari provvedimenti di apertura, proprio tra due settimane, il 15 febbraio, scatta la tagliola per chi ha più di 50 anni: chi non si vaccina, ma anche chi non ha fatto la terza dose a sei mesi dalla seconda, rischia la sospensione dal lavoro. Si parla di 1,5 milioni di persone.
Mi auguro che il maggior numero di loro si vaccini. Comunque rimane l’incognita dello stato d’emergenza. Se non lo prolungano, come si sente dire, oltre il 31 marzo, non so se possano mantenere il green pass con le relative restrizioni.
L’obbligo vaccinale per ora è fino al 15 giugno, ben oltre il 31 marzo. Non è necessariamente legato allo stato d’emergenza. Gli over 50 con tre dosi sono tra l’85 e l’89%, i guariti da meno di sei mesi oltre 200 mila. Ha senso l’obbligo a questo punto?
Dal punto di vista della trasmissione del virus l’impatto è zero. Può avere un impatto sulle terapie intensive, sopra i 50 anni possono ammalarsi anche in modo grave.
Le terapie intensive lentamente scendono.
Certo, perché diminuisce la trasmissione. Insomma, secondo me, quando si raggiunge un certo livello di protezione non ha senso andare oltre. Anche dal punto di vista epidemiologico. Anche nelle campagne di immunizzazione in Africa non si arriva mai al 100%. Non conviene, costa troppo dal punto di vista economico e sociale. Ci sono persone che non vogliono vaccinarsi.
Senza il green pass e varie forme di obbligo non saremmo a questi livelli di vaccinazioni. L’obbligo è sbagliato?
In una situazione come quella di prima l’obbligo è corretto. Ma se hai superato il 90% hai raggiunto l’obiettivo.
Siamo oltre il 90% di prime dosi tra gli over 12. Sopra l’85% di terze dosi tra gli over 50.
È abbastanza elevato. L’obbligo bisognava metterlo subito, dandosi l’obiettivo del 90%. E una volta raggiunto chiedersi: vale la pena di arrivare al 95% al costo di radicalizzare lo scontro nella società? Un problema politico, non epidemiologico.
Lei cosa ne pensa?
Io sarei rimasto al criterio epidemiologico. L’azione politica deve avere un obiettivo di sanità pubblica. È inutile che mi accanisco contro l’altro 10% se i dati dicono che il 90% basta. Bisogna valutare la risposta della società, c’è sempre il singolo che non si vuole vaccinare per le più diverse ragioni.
Noi non sappiamo neanche quanti sono gli esentati per patologie e allergie.
Non si contano nemmeno tante persone che si sono infettate, ma sono rimaste asintomatiche. Bisognerebbe vedere quante persone hanno gli anticorpi.
Ma qual è lo standard, il livello sufficiente? Dicono, non solo in Italia, che non c’è.
Non serve lo standard. In Inghilterra trovi che il 95% ha gli anticorpi, o perché sono vaccinati o perché si sono infettati. A quel punto che senso ha l’obbligo? Se facessimo come in Inghilterra forse scopriremmo gli stessi dati.
Un’indagine sierologica?
Certo, un’indagine sierologica.
Cosa pensa del green pass di durata illimitata dopo il booster?
Non sapendo nulla vogliono tranquillizzare le persone vaccinate. Nulla di scientifico.
Faremo la quarta dose?
Spero di no, ma non lo sappiamo. Se non emergessero altre varianti e il livello di immunità si mantenesse elevato non servirebbe. Anche per questo sarebbe utile l’indagine sierologica per valutare il livello di immunità nella popolazione.