Corriere della Sera, 2 febbraio 2022
Marcell Jacobs torna a correre. Intervista
Centottantadue giorni dopo, è di nuovo Marcell Jacobs. Calzoncini e canotta, scarpette chiodate («Quelle non mi mancavano: le ho rimesse 25 giorni dopo i Giochi»), l’odore gommoso del tartan, lo sparo – bang – nelle orecchie. Ma, soprattutto, la scossa elettrica di una gara brevissima, i 60 metri indoor al cui confronto i cento sono una mezza maratona, l’esercizio di reattività e muscoli di cui è campione europeo: 6”47, 6 marzo 2021 a Torun (Polonia), il risultato che era stato un neon intermittente acceso sulle teste dei rivali. Tokyo, sto arrivando. Poi, in Giappone, è successo quel che sappiamo, è esploso il big bang che ha mandato in frantumi le gerarchie dell’atletica mondiale. Marcell Jacobs from Desenzano del Garda, Italy, due volte oro olimpico: nei 100 (9”80) e nella 4x100 con record italiano (37”50), insieme a Lorenzo Patta, Fausto Desalu e Filippo Tortu. 182 giorni fa, pare passata un’eternità.
Marcell è ora di tornare a correre, come natura crea. Venerdì sui 60 metri, nel meeting indoor di Berlino. Ha ancora fame?
«Più di prima! Guardare gli altri impegnati in pista mi ha acceso ancora più voglia e motivazione».
Sei mesi di stop sono tanti.
«Eh prima di tornare era necessario fare un bel lavoro: mi sono preso il tempo giusto per lavorare su volume e dettagli, il bagaglio da portarmi dietro nella stagione indoor».
Di cosa ha sentito di più la mancanza, in questo lungo periodo?
«Dell’adrenalina. Di quell’energia che si attiva ed entra in circolo quando mi accuccio sui blocchi e sento la voce metallica dello starter dire: ai vostri posti. In allenamento vado forte, ma in gara sono capace di tirare fuori un altro 50 per cento».
L’obiettivo a Berlino?
«Aspettarsi il record europeo (6”42, Dwain Chambers 2009 ndr) sarebbe azzardato. Quello è l’obiettivo di tutta la stagione in sala: devo scendere di 5 centesimi. La prima gara è funzionale alle altre: ritrovare le sensazioni, la fluidità di corsa, le dinamiche. L’anno scorso, all’inizio delle gare indoor, ero molto più indietro: sperimentavo una partenza nuova che adesso è totalmente acquisita. Venerdì a Berlino non mi prefiggo un crono. Mi prefiggo di vincere».
Avrà contro un plotone di tedeschi.
«Kranz l’ho battuto a Torun, Almas e Ansah-Peprah li conosco meno. Ma sono tranquillo, non ho ansie.
Il nuovo Jacobs è intervenuto a pulire i vecchi pensieri negativi. E il pensiero crea.
«È dal gennaio 2021 che sono focalizzato solo sulle mie capacità: le aspettative altrui non mi toccano più. Sono carico come una molla, se potessi scenderei in pista tra cinque minuti!».
Il bilancio del mese di allenamento a Tenerife?
«Buono. Non ho avuto acciacchi, con coach Camossi e il team siamo riusciti a lavorare bene. Nelle prime due settimane abbiamo continuato la preparazione invernale, quel volume di lavoro che mi permetterà di tenere alta l’intensità alle gare. Nelle altre due ci siamo dedicati ai dettagli: tecnica, esplosività, frequenza dei passi».
Dalle Canarie, via social, sono arrivati riscontri cronometrici interessanti. Ne parliamo?
«Volentieri. 6” netti nei 60 metri con crono manuale, senza blocchi. Benino ma l’anno scorso avevo fatto anche 5”94. Quando scendi sotto i 6”, però, sai che la forma sta arrivando. 14”91 nei 150 metri, che io odio. Una prova bruttissima, tra l’altro: esco dalla curva e mi trovo la Bora in faccia. Difficile mantenere l’assetto... Ma la miglior prestazione di sempre l’ho fatta nei 120 metri: 11” e qualcosa, io coi numeri sono negato, e per due volte!».
I benefici dell’estrazione del dente del giudizio li ha sentiti?
«Oh sì. La gamba destra, che andava un po’ a rimorchio della sinistra, si è sbloccata. Ho dovuto rimodulare le frequenze e imparare a controllarla. Lo scopo di pareggiare le due leve è raggiunto: ora corro molto meglio».
Con Camossi avete deciso di lasciare invariata la partenza, alla fine.
«Sì, quello è un lavoro che va fatto con costanza, ci vuole più tempo. Era un’idea: cambiare il piede di spinta per alternare sui blocchi la sollecitazione delle gambe. La riprenderemo, forse».
Nel bilancio della trasferta a Tenerife vanno inclusi anche i nuovi tatuaggi.
«Nove sedute dal tatuatore, ma ne è valsa la pena! I cinque cerchi, la scritta Italia in carattere giapponese, come sulla maglia azzurra a Tokyo, sull’avambraccio Ercole inginocchiato che tiene su l’oro olimpico, una pagoda con il monte Fuji sullo sfondo».
Però. Serviranno a impressionare il campione del mondo Christian Coleman, tornato a correre in 6”49 dopo 18 mesi di squalifica per i controlli antidoping saltati?
«Non l’ho visto così bene: a metà gara ha perso velocità, faceva fatica. Sui 100 avrebbe chiuso in 10”10. Piuttosto sono rimasto colpito da Trayvon Bromell, che ha corso in 6”50 e annunciato che ha già finito la stagione indoor».
Per Coleman ha stima?
«Io rispetto chiunque: tutti si fanno il mazzo come me, tutti coltivano sogni rispettabili. Coleman, tra le polemiche che hanno seguito il mio oro nei 100, aveva avuto belle parole per me. Sui blocchi lo saluterò, come saluto tutti».
Piccoli Jacobs crescono. Micah Williams 6”48 a Spokane, Terrence Jones 6”45 a Lubbock.
«Williams aveva corso i 100 in 9”91 ai trials Usa: so chi è, ci seguiamo sui social. Jones è un punto di domanda: tanto talento, ma in quello starter in Texas c’era qualcosa che non andava».
Quando è prevista la prima uscita all’aperto? Lì si riparte dal 9”80 di Tokyo.
«Non lo so ancora, ma sarà nei 200. È in funzione dei 100 e mi servirà per abbassare il mio crono nel mezzo giro di pista (20”61 ndr)».
Confessi: quante volte ha rivisto la finale olimpica?
«Sui social ogni volta che mi ci sono imbattuto ma ultimamente sto rivedendo i 100 di Tokyo in loop con un’altra intenzione: rivivere quelle sensazioni per caricarmi. Mi chiedo: come cavolo ho fatto a gestire quel momento...?».
Finalmente ha concesso un’intervista al «Telegraph»: la stampa anglosassone era stata la più feroce dopo i suoi due ori a sorpresa. Prima domanda: si dopa?
«Era scontato. In realtà non è stata la prima domanda ma vabbé. Certo vedi vincere ai Giochi uno che non è favorito e ti frullano mille pensieri per la testa. Nessun problema. So chi sono, so da dove vengo, so quanto mi sono impegnato per quel risultato. Le cose positive restano, quelle negative evaporano col tempo».
Marcell, poche chiacchiere. Da venerdì l’uomo da battere è lei.
«Sono felice, è quello che ho sempre voluto. Tra mangiare ed essere mangiati, io ho scelto di mangiare: adesso sono gli altri che inseguono me. Non aspettatevi che vinca ogni gara da qui a fine stagione. Ma l’importante è arrivare primo quando più conta».