Corriere della Sera, 2 febbraio 2022
Il New York Times compra Wordle
Il New York Times ha comprato Wordle, e chissà se giocarci sarà più la stessa cosa. Wordle è un giochino di parole spuntato online il 27 ottobre 2021: il creatore, Josh Wardle (e così si capisce anche la genesi del nome del gioco), lasciava ogni giorno alla sua fidanzata appassionata di enigmistica un piccolo gioco di parole informatico per divertirla, e presto quel giochetto sempre arguto iniziò a diventare una mania per tutti i loro cari. Così Wardle lo ha messo online. Il primo gioco ha avuto 90 utenti; in poche settimane hanno preso a giocarci «milioni di persone» da tutto il mondo, comunica il New York Times. Tra loro star come il comico Jimmy Fallon, che il 4 gennaio ha moltiplicato la fama di Wordle con un tweet; e l’attore Stephen Fry (Gosford Park, V per Vendetta) campione di una versione a base di sole parolacce, chiamata Lewdle (è in inglese).
Presto il New York Times potrebbe riservarlo ai suoi abbonati, con l’obiettivo di farli crescere fino a 10 milioni: i giochi sul sito Nytimes.com si pagano oltre l’abbonamento, ma per ora, comunica il suo sviluppatore, Wordle resta aperto a tutti. In compenso il Times dichiara di aver pagato una somma «a sette cifre, fascia bassa», cioè da uno a cinque milioni di dollari. Un investimento: il solo cruciverba vale l’11% dei ricavi editoriali, comprese ricette e podcast, del New York Times.
I fan del gioco, conservatori come tutti i fan della prima ora, protestano sui social: gran parte dell’appeal di Wordle stava nella sensazione di avere «scoperto» il gioco grazie al passaparola. Sembra quasi scusarsi con loro, in una lettera, il fondatore Josh Wardle: «Iniziavo a essere un po’ sopraffatto, sono pur sempre una persona sola».
Wordle non è un gioco difficile ma non è ovvio: bisogna indovinare in sei tentativi una parola di cinque lettere. Il programma risponde colorando le lettere di grigio (sbagliate), giallo (giuste, in posizione sbagliata) o verdi (giuste e in posizione giusta).
Sapere benissimo l’inglese, a differenza che per le parole crociate, non è necessario: aiuta avere un buon lessico, ma Wardle finora si è tenuto magnanimo e ha scelto quasi sempre termini molto correnti («light»; «could»; «stars»). Sono comunque spuntate in tutto il mondo versioni tradotte: il data scientist italiano Pietro Peterlongo ha sviluppato «Par*le», ce ne sono in francese, spagnolo, tedesco, cinese – dove una parola è fatta di uno, ma più spesso due o tre caratteri, e la soluzione dell’enigma è un proverbio. E molte sono le versioni tematiche: la più criptica (per gli over 20) è dedicata alla boy band coreana Bts.
Wordle è, soprattutto, accessibile. Il sito non ha grafica né pubblicità. Giocare non solo è gratuito, ma in un’epoca in cui pure per ordinare una pizza tocca iscriversi a siti a cui dichiarare persino l’ascendente zodiacale, è anche privo di registrazione. Non c’è nemmeno un’app da scaricare: si gioca su un sito. È un gioco nato per gioco, prodotto da una sola persona nei ritagli di tempo, e non vuole sembrare diverso. Questi ingredienti del successo di Wordle, probabilmente, svaniranno.
Destinato a restare è invece il più magico: Wardle e i suoi imitatori hanno pubblicato, finora, solo un gioco al giorno. Una volta risolto, bisogna aspettare 24 ore per un gioco nuovo. Un piccolo piacere di cinque caratteri e altrettanti minuti; niente «abbuffate» come con le serie tv. Nell’epoca dei contenuti in streaming illimitati, a sfondare è un giochino dall’offerta limitata, intelligente e breve. Una lezione per un grande giornale come il Times?