la Repubblica, 2 febbraio 2022
Riaperta l’inchiesta sul raid alla Sinagoga di Roma
Non sono bastati quarant’anni per avere verità e giustizia. Ma, forse, c’è ancora il tempo per ottenerle. Per questo la procura di Roma ha aperto un nuovo fascicolo d’inchiesta sull’attentato alla sinagoga della Capitale, del 9 ottobre del 1982. Un fascicolo esplorativo, aperto dal pm Francesco Dall’Olio, che ha delegato la Digos per i primi accertamenti. Con due obiettivi: analizzare i documenti emersi dai cassetti dell’Archivio di Stato, che raccontano di una serie di allarmi inascoltati dalle forze di polizia nei giorni precedenti all’attentato. E cercare di approfondire le parole consegnate a Repubblica, quarant’anni dopo, dalla fidanzata dell’unico condannato per quella strage, uno studente palestinese allora poco più che ventenne.
Il 9 ottobre 1982, un commando di cinque terroristi palestinesi attaccò la Sinagoga quando era piena di fedeli, uccidendo un bambino di due anni (Stefano Gaj Taché) e ferendo 37 persone. Per quell’assalto, la giustizia italiana ha condannato una sola persona, Osama Abdel Al Zomar, che però non ha passato un solo giorno in galera: scappò in Libia poco dopo essere stato individuato e fece perdere da subito le sue tracce. Su quell’attentato, a partire dal ministro dell’Interno dell’epoca, Virginio Rognoni, mai nessuno ha voluto accendere una luce che fosse chiara e definita. Fin quando, sette anni fa, nel suo discorso di insediamento, fu proprio il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a voler ricordare Stefano Taché come esempio di vittima italiana di terrorismo.
Negli ultimi mesi sono però accadute due cose che hanno smosso la polvere. L’Archivio di Stato ha desecretato documenti che raccontano come, dal 18 giugno al 2 ottobre 1982, il Sisde avesse avvisato gli organi di polizia di «possibili attentati a obiettivi israeliani». In tre casi (il 25 giugno, il 16 e il 27 settembre) le «segnalazioni erano relative a preavvisi di attentati contro Sinagoghe». E ciò nonostante nulla fu fatto. Anzi, per la prima volta quell’anno, il 9 ottobre la Sinagoga fu lasciata senza una macchina di scorta.
In un’intervista a Repubblica, la fidanzata dell’epoca di Al Zomar – una signora italiana che oggi fa l’insegnante e mai aveva voluto parlare in questi 40 anni – ha confermato quello che appariva chiaro a tutti: «Io non so cosa sia successo – ha detto – ma certo non può essere stato lui la mente di tutto. Qualcuno lo ha guidato». Ora la procura di Roma proverà a scoprire chi.