ItaliaOggi, 1 febbraio 2022
Nft: un botticelli da record
«Assorbito nella contemplazione della bellezza sublime (…) Ero giunto a quel livello di emozione, dove si incontrano le sensazioni celestiali date dalle arti e i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un tuffo al cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere».
Così un turista d’eccezione, Henry Beyle alias Stendhal (1783-1842), descriveva i sintomi della sindrome che da lui avrebbe preso nome: quel senso di emozione sgomenta, in grado di dilatarsi fino al malessere fisico, che si prova davanti ai capolavori dell’arte e della bellezza.
Effetti simili sarebbe di sicuro in grado di procurare L’Uomo dei dolori, un dipinto su tavola considerato opera tarda di Sandro Botticelli (1445-1510), venduto all’asta da Sotheby’s il 27 gennaio scorso: basta guardare l’espressione calma e ieratica del Cristo, con quella chioma circonfusa da una corona di angioletti che le fanno da metafisica cotonatura, per farsi venire il capogiro.
Più difficile, anche se il dibattito rimane aperto, è che la sindrome di Stendhal colpisca il magnate indiano Vignesh Sundaresan davanti a Everydays -The First 5000 Days, l’opera di Beeple da lui acquistata a un’asta di Christie’s nel marzo del 2021 per la cifra astronomica di 69,3 milioni di dollari. Quasi quindici in più dei 45,4 (inclusi i diritti d’asta) sborsati per il dipinto di Botticelli: cifra senza dubbio ragguardevole, ma non molto al di sopra dei 40 milioni fissati come base per le contrattazioni.
Il paradosso è che il collage di Beeple, un quarantenne del Wisconsin con moglie e due figli che in realtà si chiama Michael Joseph Winkelmann, venduto a quella cifra spropositata, esiste soltanto in formato Jpeg.
Non è un’opera d’arte materiale, ma un prodotto della galassia Ntf, acronimo inglese che sta per «Non-Fungible Token» (token non fungibile): un certificato informatico di autenticità che serve a dare un marchio di proprietà a giochi online e oggetti digitali, ivi incluse «opere d’arte» ridotte a pure operazioni virtuali.
Non è forse un caso che Vignesh Sundaresan, il tycoon indiano che ha reso Beeple il terzo artista più pagato della storia, sia il fondatore di Mepurse, uno dei maggiori fondi mondiali di criptovalute. In effetti gli Nft sono simboli crittografici che si differenziano dai bitcoin solo perché non sono intercambiabili. Per questo vengono usati come marchio di proprietà digitale, sostituendo le antiche pratiche di autenticazione di un’opera, quali la firma dell’autore o le tecniche attributive dei connoisseur.
A certificare l’artisticità non è più lo stile, ma una crittografia generata automaticamente al computer, in grado di produrre ricadute economiche strabilianti.
C’era già da stupirsi quando certe performance di mercato toccavano ad artisti al top del collezionismo odierno come Damien Hirst o Jeff Koons, che, alla fin fine, le loro opere hanno sempre continuato a realizzarle materialmente, si trattasse di squali messi in formaldeide o di coniglioni in acciaio inossidabile.
Ma il «capolavoro» di Beeple, che sul piano dei valori di mercato ha umiliato il Maestro fiorentino della Venere e della Primavera, segna un passo ulteriore verso il caos nella percezione odierna di che cosa sia o non sia arte.
Già Karl Kraus (1874-1936), il grande scrittore satirico viennese, aveva annusato il pericolo: «Non c’è dubbio che i Beethoven vengano diminuiti se dei caffettieri viene detto che sono creatori». Attenzione, però: chi di credito digitale arricchisce, di credito digitale rischia di perire. Wikipedia, l’enciclopedia online universalmente più cliccata, dopo una consultazione sulla sua piattaforma ha almeno provvisoriamente stabilito che gli Nft non sono da considerare di per sé opere d’arte.
Non a caso il critico Francesco Bonami ha scritto: «Beeple è stato retrocesso o rimandato là da dove veniva: il mondo della grafica digitale, creativa ma forse non artistica». Alla faccia di un mondo che sembra conoscere il prezzo di tutto e il valore di niente.