Corriere della Sera, 1 febbraio 2022
Biografia di Sabrina Salerno raccontata da lei stessa
A metà degli anni 80 era sulle pareti degli adolescenti di tutta Italia. Lei, invece, di chi si era appesa il poster?
«Di Miguel Bosé. E Pierre Cosso: avevo una cotta per lui dal Tempo delle mele».
Poi ci si fidanzò.
«Lo conobbi a Parigi in una radio, dove promuoveva un duetto con Nikka Costa. Avevo 21 anni. Al primo appuntamento passò a prendermi in moto: io ero elegantissima, con i tacchi, lo avrei ucciso! Per fortuna indossavo i pantaloni. E mi portò a vedere cattedrali. A cena non avevo il coraggio di guardarlo, lui era in adorazione».
Lo sente ancora?
«Sì, ogni tanto. Vive in Polinesia. Con mio marito pensiamo sempre di andare a trascorrere lì un Natale, ma non riusciamo mai».
E Miguel Bosé lo ha conosciuto?
«Sì! A Napoli, per un programma di Massimo Ranieri. Mi venne incontro e mi diede un bacio sulla bocca: “Sabrina! Ti cercavo da una vita, in Spagna sei una star!”. Io a momenti svengo».
Da bambina lo avrebbe immaginato?
«Mai. La vita mi ha sorpreso parecchio».
Sabrina Salerno oggi è una donna solida, concreta. La generosità la noti nei dettagli. Le risposte, a cui non si sottrae. Il pranzo, che offre. Il passaggio in auto, dalla stazione di Mestre a Mogliano Veneto andata e ritorno, dopo due ore di conversazione che comincia davanti a un’insalata di radicchio con una battuta fulminante: «E ora inizia la seduta di psicanalisi».
Il primo ricordo?
«Credo di aver un po’ cancellato il periodo della mia infanzia. Forse un albero di Natale, a Genova, da zia Lina, con cui sono cresciuta. È mancata quando avevo cinque anni. Dopo, mi sono trasferita a Sanremo dai nonni materni».
Sua madre non poteva occuparsi di lei?
«Mia mamma, Feliciana, mi aveva avuta giovanissima, a 18 anni. Faceva l’infermiera. Da lei sono tornata a vivere per un breve periodo dai 15 ai 17 anni, poi ho cominciato a lavorare».
Che ragazzina era?
«Inquieta, ribelle, avevo sempre idee diverse rispetto agli altri, non rientravo nei canoni. Ho avuto una sola amica importante, in quegli anni: Natasha, olandese, faceva il liceo linguistico come me. La mia adolescenza è stata brevissima».
E suo padre quando lo ha conosciuto?
«A 12 anni. Avevo scoperto nome e cognome e lo avevo cercato sull’elenco telefonico. Lo avevo chiamato per incontrarlo, per curiosità: volevo dare un’immagine all’uomo che, seppure involontariamente, mi aveva messa al mondo. Ho sempre rispettato che non volesse riconoscermi e non accettasse il ruolo di padre. Almeno, credevo di averlo elaborato, ma poi a 30 anni mi è tornato indietro come un boomerang e ho cominciato a capire che certe situazioni se non le risolvi te le trascini per tutta la vita».
Come andò quando lo vide?
«Venne a prendermi a Genova e pensai: “Mamma mia come è giovane”. Sembrava un ventenne. Ci rimasi male, forse mi aspettavo una figura più adulta, invece mi sono trovata davanti questo belloccio ed è stato uno choc».
L’ha riconosciuta, infine?
«Quando avevo 45 anni. Disse: “Va bene, facciamo il riconoscimento, ma non avrai mai il mio affetto”. Con lui poi ho fatto pace. Prima che morisse ho sistemato tutto: un periodo bellissimo, durato pochi mesi. Ho una sorella fantastica, Manuela, l’altra sua figlia: ha 44 anni, io 53. È stata lei a cercarmi nove anni fa e la considero una delle cose più belle e intense della mia vita. Sapevo della sua esistenza, ma non potevo fare il primo passo. È stata coraggiosissima a volermi incontrare. Nostro padre non fu contento...».
Torniamo a Sanremo. Quello di lei bambina.
«Era il sogno, l’evasione. La musica mi ha sempre trasportato in un’altra dimensione».
Si appostava per chiedere gli autografi?
«Certo! Ero innamorata di Alice, per me era la cantante più bella e più brava del mondo. Mi è sempre rimasto un debole per lei».
L’ha conosciuta?
«No, l’ho incontrata solo da piccola fan. Ho l’autografo anche di Richard Sanderson e Plastic Bertrand: da adulta siamo diventati amici».
A Sanremo è stata in gara nel 1991 assieme a Jo Squillo, con «Siamo donne». Nel video dell’esibizione non sembra molto felice.
«Non ero felice per niente! Ero tormentatissima, non ero convinta di quel progetto. Per me cantare “oltre le gambe c’è di più” era una sconfitta, mi sembrava un’ammissione di colpa. Io non sono una leggera, sono pesantissima...».
Sul palco indossava un bikini argentato.
«Lì ho fatto una cazzata. Quel bikini era proprio brutto e mi stava malissimo. Quando lo guardo non so che cavolo mi abbia preso. Mi pento e mi dolgo di averlo indossato».
Beh, quanto a bikini non si è fatta mancare nulla. Vogliamo parlare del due pezzi bianco nel video ufficiale di «Boys»?
«No, era rosa con i bordini neri».
Non mi pare. Cerchiamolo su YouTube.
«Ha ragione... Quel video penso di non averlo mai visto per intero».
Fu censurato in Inghilterra, dove comunque la canzone arrivò terza in classifica, dietro a Michael Jackson e Madonna. Che effetto le faceva?
«Non mi rendevo conto. È successo tutto così in fretta. Ho realizzato di essere diventata famosa quando sono arrivata in Spagna per una trasmissione e all’aeroporto ho trovato trenta fotografi. Pensavo fossero lì per qualcun altro. Il successo mi ha spaventato».
Era seguita da un manager che l’ha truffata.
«È scomparso e non mi sembra elegante parlarne. Posso dire che era un manipolatore. A 23 anni ho detto basta».
Fu a causa sua che rinunciò a firmare con Seymour Stein, il produttore di Madonna?
«Ma no, lì sono stata io. Voleva che mi trasferissi per sei mesi in America e a 19 anni non ho avuto il coraggio. Non ho avuto il coraggio di fare tante cose, paralizzata dalla paura di rimanere sola. Ma ero già sola. Solissima. Pur avendo guardie del corpo, segretarie, assistenti. Non potevo muovere un passo di mia iniziativa».
Addirittura le guardie del corpo?
«C’erano persone ossessionate da me. Un fisico nucleare mi seguiva ovunque e in albergo riuscivano solo a metterlo a un piano diverso dal mio. In Spagna avevo una guardia fuori dalla porta. Ancora adesso una spagnola mi dà la caccia. Un mese fa si è piazzata davanti al Comune di Mogliano per farsi dare il mio indirizzo».
Ha lavorato con tanti grandi. Da Nino Manfredi a Johnny Dorelli a Raffaella Carrà.
«Manfredi mi leggeva le lettere dei suoi fan in camerino, tra una pausa e l’altra di Premiatissima. Ho impressa la sua risata, la gentilezza: un uomo dolcissimo. Ma se devo scegliere una persona sola, è Raffaella Carrà. Ricordo un viaggio bellissimo in Egitto con lei, mio marito, Japino, Gianfranco D’Angelo, la moglie e un’altra coppia. Rivedo Gianfranco che cade dal cammello nel deserto. Raffaella, con cui ho lavorato tanto, mi ha insegnato a essere imperturbabile e andare sempre avanti, nonostante tutto».
Gli uomini della sua vita. Sono stati tanti?
«No. Anche questa è una visione che la gente ha di me completamente distorta. Io cercavo gli innamoramenti. Le mie relazioni importanti sono state tre: il primo fidanzato a Sanremo, Giorgio; poi Franz, olandese; e mio marito».
L’imprenditore Enrico Monti. State insieme da quasi trent’anni. Un record.
«L’ho conosciuto a cena dopo un mio concerto, c’erano anche Meat Loaf e il mio commercialista. Piansi tutta la sera, non mi ricordo neanche per cosa. Lui pensò: “Povera ragazza...”. Poi feci un disco nel suo studio di registrazione».
È mai stato geloso?
«No, è estremamente intelligente. Aveva messo in conto che sarei sempre stata corteggiata».
E lei di lui?
«Molto, all’inizio. Un incubo. Quando nel 2004 è nato nostro figlio, Luca Maria, sono cambiata. La gelosia è sintomo di insicurezza».
Che mamma è?
«Una che pensa di non dover stare né davanti né dietro al figlio, ma di fianco, perché possa appoggiarsi se ha bisogno».
Quando si è reso conto della sua fama?
«A sei anni, quando lo portai in Francia per un concerto del tour di Stars 80. In camerino non faceva entrare nessuno, mi diceva che ero troppo magra, di coprirmi. Mentre mi esibivo, ho visto nei suoi occhi uno sguardo che non mi piaceva. Per lui la mia immagine di donna sexy era difficile da elaborare».
Oggi va meglio?
«Direi di sì, credo abbia scavallato. Abbiamo un legame forte, passiamo da momenti di estasi a momenti di catastrofe. Ho la responsabilità di insegnargli a rispettare le donne».
Leggende: i chewing gum dedicati a lei.
«Le Pegatinas! Scartavi e trovavi la mia foto».
Bambole.
«Ne ho ancora una, da qualche parte».
Videogame.
«Lo trova su Internet».
Altre memorabilia?
«Mi sembrano già abbastanza, cosa dice?».
Ha fatto cinema e teatro. Vincendo un premio per il film «Colori» di Cristiano Ceriello.
«Forse ho sbagliato carriera. Fare teatro mi ha appagata moltissimo: ogni regione ha un pubblico diverso, piange e ride per cose differenti».
Progetti?
«Intanto vorrei riprendere il tour in Francia: il Covid mi ha fatto perdere 300 date. Sono molto focalizzata sulla tv, dopo la bellissima esperienza di Ballando. Poi vorrei incidere un duetto con Mietta e magari pensare a qualcosa che ha a che fare con le cinquantenni allo sbaraglio».
Il pregiudizio più grande nei suoi confronti?
«Sono talmente tanti... Forse bella e stupida. Pensi che io mi ritengo più intelligente che bella. Mi davano per morta già quando avevo vent’anni. E invece ci sono ancora. E ho venduto 20 milioni di dischi. Ciaone!».