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 2022  febbraio 01 Martedì calendario

Biografia di António Costa

Per la sinistra europea di governo, da Olaf Scholz a Pedro Sánchez a Enrico Letta, la maggioranza assoluta ottenuta da António Costa alle elezioni portoghesi è un boost di ottimismo. Vuol dire che, anche gestendo il potere, si può vincere, nonostante la pandemia, l’inflazione e il rischio di raffreddamento dell’economia. Allora tutti a studiare il modello Costa, la sua quarta via, il pragmatismo lusitano, il capitalismo delle sardine. Il problema dei replicanti è che Costa è un politico unico, con risultati oggettivi che gli hanno dato una vittoria meritata, ma è anche il leader di un Paese con elettori razionali quanto i loro rappresentanti. 
In quale altro Parlamento, all’inizio della pandemia, il capo dell’opposizione ha mai detto «signor primo ministro, conti sul nostro aiuto, perché la sua fortuna è la nostra fortuna»? Così parlò Rui Rio, nell’aprile del 2020, a Lisbona proprio ad António Costa. Un atteggiamento nobile, quello di Rio, come le sue dimissioni nella notte di domenica davanti ai numeri della sconfitta per il suo partito conservatore. Non c’è altro Paese in Europa dove il premier (Costa appunto) ha origini indiane, ma nessuno si sogna di parlare della sua «abbronzatura» come fece Berlusconi per Obama. Un Paese a due passi dall’Africa, ma scavalcato dai flussi migratori perché troppo povero, dove la gente è disciplinata, quasi rassegnata all’arretratezza, e, invece di protestare, emigra. Un Paese che Costa ha ereditato in bancarotta e ha rimesso in piedi con una serie di creative intuizioni. 
Il Portogallo di Costa ha compiuto dal 2015 ad oggi almeno due missioni impossibili. La prima convincere l’Europa dell’austerity, quella che credeva di uscire dalle crisi solo risparmiando, che il Portogallo poteva fare diversamente. La troika (Ue, Fmi e Bm) aveva imposto privatizzazioni e tagli alle pensioni, alla sanità, all’impiego pubblico: una Grecia2 con lo stesso potenziale di disperazione sociale. Costa convinse i guardiani del debito che poteva anche alzare le pensioni (di poco), resuscitare la sanità, assumere dipendenti pubblici e il deficit sarebbe sceso lo stesso. Ci riuscì attirando capitali, garantendo vantaggi agli stranieri, aumentando la crescita. Nel 2019, le finanze portoghesi erano in attivo, nel 2021 Costa ha rinazionalizzato la compagnia aerea Tap. 
La seconda missione impossibile l’ha messa a segno col Covid. Un Paese anziano con una sanità convalescente sarebbe sopravvissuto al virus? Costa (e l’opposizione) hanno fatto del Portogallo un esempio virtuoso: il Paese più vaccinato del continente. 
La capacità di mediazione è una della qualità di Costa. Da una sconfitta elettorale (2015) è riuscito a costruire un governo portando per la prima volta i comunisti nella stanza dei bottoni. In Europa ha lottato come un leone: l’Ue sovvenziona l’agricoltura e contrasta il cambiamento climatico? E allora perché non dà soldi alle foreste portoghesi che assorbono CO2 e danno lavoro ai contadini? Conviene a tutti che il Portogallo non bruci tutte le estati. Costa seduce, convince, ma sa anche alzare la voce. Davanti alle resistenze olandesi a sborsare denaro per i costi del coronavirus, il portoghese ha attaccato il collega: atteggiamento «ripugnante e meschino che minaccia il futuro dell’Unione», se qualcuno non ci sta, lasci pure l’Ue. 
Costa è un riformista, rifugge i gesti teatrali, preferisce la gradualità, ma, appena può, va a sinistra. Ha assorbito la disoccupazione (dal 18 al 6% per poi risalire col Covid all’8%) con stipendi minimi, rimesso in moto il welfare, ma senza risolvere l’arretratezza strutturale. Vent’anni fa il reddito pro capite portoghese era di 16mila euro, 6mila meno della media europea. Oggi è 17mila, ma la distanza dall’Europa si è allargata a 9mila euro. Costa ha inventato i weekend romantici a Lisbona tutto l’anno, i golden visa esentasse per pensionati e investitori, ora spera nella crescita digitale per fare del Portogallo una Lettonia del Sud. Tante idee, qualche risultato, piccolo magari, ma reale. I portoghesi continuano ad essere poveri, ma forse i veri vincitori di domenica sono proprio loro: hanno votato per il possibile, non per la rabbia.