La Stampa, 1 febbraio 2022
Intervista a Gianmarco Tamberi
Passaggio di testimone: a tre giorni dai Giochi invernali, Gianmarco Tamberi, uno degli ori delle Olimpiadi estive, aspetta altri campioni da celebrare e una nuova stagione in cui saltare.
Mai pensato di smettere dopo il successo di Tokyo, al massimo?
«Mai. Mi è piaciuto troppo vincere, ho provato una felicità violenta che voglio rivivere e ho la consapevolezza di aver archiviato la fase tutta in salita. Ora voglio raccogliere».
Da dove ricomincia?
«La mia stagione ha i fari puntati sui Mondiali di Eugene, in estate. È il solo titolo che mi manca. Pensavo di evitare le gare indoor, però, nel periodo passato a lavorare alle Mauritius, ho scoperto di essere più in forma di quanto credessi. Stiamo a vedere, magari all’ultimo ci scappano anche i Mondiali indoor di marzo. Le risposte positive hanno risvegliato la voglia».
Ha ripreso ad allenarsi con suo padre. Dopo le tensioni non ha paura di rimettere alla prova il vostro rapporto?
«Abbiamo fatto una bella chiacchierata, nel 2021 siamo arrivati alla corda di violino, stavamo per spaccarci: io ero nervoso, frustrato, lui non sapeva più come prendermi. Abbiamo vissuto insieme un evento traumatico e per cinque anni ci abbiamo litigato. È alle nostre spalle, ora si prosegue leggeri».
Sicuri che lo stress non torni?
«Non credo. Non rivivrei circostanze simili. Mi fermerei».
Quando ha visto Sofia Goggia cadere a due settimane dai Giochi che cosa ha pensato?
«Le ho mandato un videomessaggio privato. So come sta. Io non ho avuto la possibilità di provarci fino all’ultimo. Lei può tentare e le ho detto di buttare in quella speranza tutto quello che ha. Scoprirà una forza che non conosceva, diversa da quella che si sente quando stiamo al meglio e sappiamo di valere. Lei si era già infortunata prima dei Mondiali, ha fatto i miracoli per tornare in pista. Sa che cosa serve».
Le consiglia di affrontare i Giochi pure non al meglio?
«Quella rincorsa alla meta si porta dietro anche un’energia difficile da definire. Solo lei ha la risposta».
Le hanno fatto la stessa critica rivolta a lei: perché spingere così a un passo dai Giochi?
«Se non spingi a due settimane dai Giochi quando lo fai? Devi testare il tuo corpo per affrontare la gara in cui speri di andare oltre, altrimenti non succede».
Ora la portabandiera a Pechino è Michela Moioli, una snowboarder. Ringiovaniamo l’immagine dell’Italia?
«Triste occasione di scambio, ma ottima scelta. Solo a dire che l’Italia ha la faccia di una snowboarder sembra che sia cambiato qualcosa. Va dato peso agli sport che vengono sottovalutati. È come se la tradizione dovesse valere più della novità, in eterno. Viva lo snowboard, è una buona metafora di movimento».
Ha guardato Nadal stupire tutti in Australia?
«Certo, Nadal ha messo in campo quello che distingue un campione da un atleta: sembrava tutto perduto e lui non ha mai smesso di crederci, era due set sotto eppure sapeva che cosa avrebbe significato quel particolare trionfo e non l’ha lasciato andare. Ci vuole una gran testa».
Ha zittito pure il pubblico che tifava contro Medvedev.
«Ha fatto bene, sembravano accanirsi contro i comportamenti di Medvedev e non ce ne era motivo, lui aveva il diritto di reagire come poteva in quella situazione».
Djokovic si troverà probabilmente a vivere esperienze ben peggiori. Un campione ha il dovere di essere un esempio?
«Non conosco le motivazioni delle sue scelte. Io, da quando sono più esposto pubblicamente, provo una responsabilità incredibile e mi capita di non sentirmi all’altezza. Nel tempo ci sono atteggiamenti, piccole cose, risposte immediate che ho imparato a controllare. So che i bambini guardano, perché io da ragazzino lo facevo. Imitavo gli idoli dello sport».
Quindi rinuncia alla naturalezza, mette dei filtri?
«Non per forza e non in pedana dove sono sempre me stesso, però con l’esperienza certi compromessi li raggiungi: non è censura, porto in giro la bandiera del mio Paese e voglio onorarla. A volte, penso a LeBron James, così militante e mi chiedo come riesca a esporsi e mantenersi integro, credibile a non farsi tirare in mezzo. Lo ammiro».
Pretendere che lo sportivo sia impeccabile non lo obbliga a essere super? Simone Biles ha lanciato il motto «It’s ok not be ok», va bene non essere al massimo. Sbagliare vale o no?
«Lo sportivo sa di non essere un super uomo, ma chi lo guarda la pensa diversamente. Io stravedo per Michael Jordan, lo considero un extraterrestre, non uno alto tre centimetri più di me: era inumano. A un certo livello si diventa un punto di riferimento, giusto tenerlo presente e anche sapere che la pressione non può montare fino a farti crollare. Questione di equilibrio, magari non puoi sempre essere spontaneo, ma devi essere sincero».
Coe, oggi a capo dell’atletica, ha detto che lui non avrebbe mai condiviso un oro.
«Lo avrei detto anche io. Prima. Adesso invece dico che se mi avessero promesso "vai avanti e vinci tu" mi sarei fermato lo stesso. È stato un istante travolgente: essere lì e condividere il sogno della vita con quella particolare persona, che veniva dalla mia stessa esperienza, ha moltiplicato tutto invece di dividere. Barshim oggi è mio fratello, ci sentiamo ogni giorno».