1 - GRANDE CENTRO GIÀ AL LAVORO PER UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE, 31 gennaio 2022
ADDIO CENTRO-SINISTRA E CENTRO-DESTRA, ARRIVA IL CENTRO-TAVOLA! - DOPO IL DISASTRO QUIRINALE, RICICCIA IL “GRANDE CENTRO”. I VOLTI CI SONO, MA MANCANO I VOTI! - RENZI, CARFAGNA, CASINI, TOTI: CHI POTREBBE FARNE PARTE? IL LAVORO È COMINCIATO: MATTEUCCIO E IL GOVERNATORE LIGURE SI SONO GIÀ DATI APPUNTAMENTO ALLA CERIMONIA DI INSEDIAMENTO DI MATTARELLA PER PARLARE DI LEGGE ELETTORALE - IL MODELLO A CUI SI ISPIRANO? QUEL PIACIONE DI “PIERFURBY” CASINI -
Antonio Polito per il "Corriere della Sera" «Ora il Grande Centro non è più un progetto; è un obbligo, una garanzia di sopravvivenza».
Dopo la notte in cui la «manovra sulla Belloni dei populisti» (Salvini, Meloni, Conte) è stata battuta dalla convergenza di Forza Italia, moderati di centrodestra, Italia viva e moderati del Pd, il dado è tratto.
Per ora l'unica cosa che manca al Grande Centro sono i voti. Pesa l'assenza del «volto» di un leader per questo nuovo rassemblement politico.
Renzi è chiaramente il migliore, ma ancora troppo antipatico; una giovane potenziale frontwoman , come la Carfagna, non ne ha finora mostrato il coraggio; di un possibile campione più stagionato come Casini non si sa ancora che vuol fare, se lanciarsi per un'ultima battaglia nell'agone politico o tenersi in disparte come uomo delle istituzioni.
Però intanto il lavoro è cominciato. Renzi e Toti si sono dati appuntamento alla cerimonia di insediamento di Mattarella per cominciare a discutere di legge elettorale, che del resto è stato il tema sottotraccia in tutte le intricatissime trattative sul Quirinale.
Il punto è questo: le coalizioni sono considerate finite perché nessuno si fida più degli alleati di prima. Chi si consegnerebbe oggi legato mani e piedi a Salvini? Nemmeno la Meloni. Infatti perfino lei comincia a contemplare l'idea di una riforma elettorale. Si è sentita così personalmente tradita dal leader della Lega e dalla nomenklatura di Forza Italia (entrambi le hanno giurato fino all'ultimo che non avrebbero votato mai per un bis di Mattarella), che nello sfogo con un amico ha detto: «Io con questi alla fine preferisco non andarci».
E il proporzionale se lo potrebbe permettere, visto che col monopolio dell'opposizione al venti per cento ci può arrivare. Ma se il discorso vale per Fratelli d'Italia, figurarsi per il Centro. La convinzione che una nuova legge elettorale sia diventata una necessità per tutti (compreso Letta, che in coalizione con Conte di certo non ci guadagna) ha galvanizzato i centristi. Il trio di esperti composto da Quagliariello, Rosato e Romani, riflette già sulle soluzioni.
La più facile sarebbe emendare in soli tre punti il Rosatellum per trasformarlo in un sistema alla tedesca, con sbarramento al cinque per cento. La soglia non deve essere troppo bassa, se si vuole usarla come incentivo a unirsi in un mondo di egolatri e prime donne. Il proporzionale consentirebbe d'altronde a un partito senza leader di superare anche il problema del candidato-premier: basterebbe indicare un bis di Draghi come programma politico.
D'altra parte non è che la legge attuale sia così maggioritaria da garantire un governo la sera stessa delle elezioni, come si dice, visto che in questa legislatura le alleanze pre-elettorali si erano sciolte già il mattino dopo. Renzi ovviamente è della partita. Ha giocato bene le sue carte nella battaglia del Quirinale, smentendo chi lo descriveva pronto a vendere i suoi voti al miglior offerente.
Sul sistema elettorale però ha ancora dubbi: non è sicuro che il proporzionale sia la soluzione ideale. In fin dei conti la legge attuale è già proporzionale per due terzi, cioè quattrocento seggi sui futuri seicento. Se si lasciassero in piedi i collegi, sia il Pd sia la Lega sarebbero costretti ad allearsi con le rispettive estreme, schiacciando i due poli in coalizioni non appetibili per gli elettori moderati.
Prendere il dieci per cento su quattrocento seggi, pur perdendo cioè in tutti i collegi, darebbe al Centro quaranta seggi. Prendere il cinque per cento al proporzionale su tutti e seicento, ma con la concorrenza al centro di Pd e Lega, darebbe soltanto trenta seggi. Forse conviene tenersi il Rosatellum? Ma se davvero nascerà, il Grande Centro non può essere solo una somma di convenienze.
Un partito, anche plurale, ha bisogno di identità. Il problema dunque, secondo Quagliariello, non è tanto il proporzionale, ma fare tesoro del fatto che le coalizioni non ci sono più. In fin dei conti anche nel maggioritario francese i partiti al primo turno vanno da soli. Il bisogno di tutte le forze politiche di un «bagno di identità» sarebbe dunque la chiave che può dare dignità di progetto politico al lavorìo di un mondo che ha dimostrato di esistere ancora, di avere il know how parlamentare, e convinto di poter ereditare una parte cospicua dell'elettorato berlusconiano: gente che, se ha resistito finora in Forza Italia nonostante il declino del leader carismatico, difficilmente finirà con Salvini o con Meloni.
2 - MODELLO CASINI PER IL CENTRO APERTO IL CANTIERE MODERATO Mario Ajello per "il Messaggero"
Modello Casini per i moderati. Ossia un'area nuova, in puro stile Pier, che incarni i valori di cui lui è portatore: il dialogo e non la faziosità, la competenza e non l'improvvisazione, la correttezza istituzionale e non gli strappi, la proiezione internazionale al posto del provincialismo da politica asfittica.
Proprio perché questa è l'ispirazione del nascente progetto di centro, l'altro giorno in Transatlantico - mentre si eleggeva il Capo dello Stato e la carta Casini veniva ben vista di qua e di là - diverse voci dicevano: «Fermiamola questa operazione su Casini, perché ne contiene un'altra insidiosa: questi vogliono scardinare il bipolarismo e piazzarsi nella terra di mezzo».
Parlamentari di FdI e della Lega parlavano così, e non erano affatto tranquilli. Anche perché vedevano i democrat e i forzisti, quelli con idem sentire moderato e post-democristiano, confabulare e organizzarsi. Di Maio che veniva raggiunto, come fosse un centrista d'altri tempi ma anche di tempi nuovi, da suoi simili ma di altri partiti, vogliosi di rompere schemi del bipolarismo solito. Stavolta il centro si può fare? Si deve.
E il post-elezione del Colle viene considerato il momento giusto per partire davvero. Il suo amico Mastella e tanti altri osservano: «Facciamo riposare Pier per qualche giorno, come merita, e poi muoviamoci subito e bene per il centro necessario». Un discorso che perfino nel Pd, ala senatori dem non di sinistra e zona Marcucci ed ex renziani, si può ascoltare facilmente.
Così come in M5S da parte dei nemici ma anche degli amici di Di Maio: «In fondo che differenza c'è tra Luigi e Toti? Solo che uno è un centrista del Sud e l'altro è un centrista del Nord».
«La sponda Di Maio è essenziale», ammette Osvaldo Napoli che in questa tessitura, insieme a Coraggio Italia, è magna pars ma ne vede anche le difficoltà: «Ogni partito coinvolto in questa operazione è pieno di divisioni interne che la possono rallentare, ma non sia mai». Renzi per esempio è arciconvinto, e non da ora, della fattibilità della cosa. Avrebbe già federato Italia Viva con gli altri soggetti (per il gruppone da 80 parlamentari centristi che è a portata di mano) ma ha anche una componente interna più orientata a sinistra (non certo i Rosato o Faraone) che va pazientemente convinta. «Il grande cantiere è aperto», è comunque la certezza di Matteo.
Quindi? «Se non ci sbrighiamo - osserva Mastella - ci scavalcano gli avvenimenti. Sa che cosa diceva Gramsci citando una massima degli zulù? Meglio avanzare e morire che fermarsi e morire». Sponde ci sono dappertutto, perfino nella Lega, quella dei governatori democristianeggianti alla Zaia e Fedriga, e quella dei tanti parlamentari che in queste ore ripetevano: «Salvini ci sta portando a sbattere».
Lo stesso Salvini teme le sirene centriste in casa propria. Pronta la road map e al primo e al secondo punto Napoli ci mette questi: «Battersi per il proporzionale con tutti quelli che lo vogliono e sono tanti in ogni spicchio del Parlamento e avviare la federazione dei gruppi parlamentari che faccia da calamita di qua e di là».
Le mosse successive: misurarsi alle elezioni amministrative della primavera 2022 a Palermo, Parma, Genova e altri 23 capoluoghi di provincia e poi liste comuni alle elezioni politiche del 2023 per superare quota 10 per cento. Si può fare o i leader sono troppi? Lo erano anche quelli della Margherita (Prodi, Dini, Mastella, Marini) ma quel modello funzionò e lo si vuole riadattare.
SQUADRA La strategia è plurale: Casini in alto nel suo ruolo di simbolo dei valori moderati e istituzionali e come figura che garantisce proiezione europeista e internazionale. Renzi guida sul campo delle tattiche e delle strategie. Toti ariete per la conquista del consenso al Nord (anche in casa leghista) insieme a figure di territorio come Napoli e altri; Romani player parlamentare; Quagliariello all'elaborazione politica e via dicendo con tanto Sud (da Mastella a Carfagna se ci sarà). Si parte? Gli zulù, ma anche i democristiani 3.0 consigliano di sbrigarsi.