il Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2022
La fu Embraco a Riva
No, questa non è una bella storia. Sentita mille volte sì, bella proprio no. In questi giorni chi vuole si presenta a firmare l’indennizzo: 7mila euro lordi dopo una vita di lavoro per la rinuncia a ogni pretesa nei confronti dell’azienda che muore, la fu Embraco a Riva presso Chieri, nel torinese. È così che finiscono quattro anni di lotte generose, speranze vane e promesse tradite: con un gemito, non con uno schianto.
Dal 22 gennaio i 377 operai rimasti – quasi tutti tra i 50 e i 60 anni – sono senza lavoro e senza cassa integrazione: resta l’assegno di disoccupazione e la speranza che qualcuno li ricollochi. Embraco è un fallimento industriale e politico e lo è a livello antropologico prima ancora che economico o amministrativo.
Era il 10 gennaio 2018 quando arrivò la lettera di licenziamento per gli allora 497 dipendenti dello stabilimento torinese: un pezzo di storia dell’industria italiana ieri, la plastica rappresentazione di cosa significhi stare dal lato sbagliato della globalizzazione oggi.
Fondata negli anni 70, la fabbrica di Riva presso Chieri produceva compressori: andava così bene che il colosso Whirlpool decise di comprarla nel 1986, tramite la controllata Embraco, per produrre pezzi per i suoi frigoriferi. Quando finisce il mondo della Guerra Fredda, però, essere un’eccellenza non basta più: è dal 2004 che la multinazionale Usa prova a portar via la produzione dall’Italia verso la Slovacchia e in Asia, dove il lavoro costa meno. Da allora, e per 14 anni, Whirlpool è stata lautamente pagata dallo Stato per non muoversi, finché nel 2018 anche quello non è bastato più e s’è avviato il disastro di oggi: gli occupati erano 2.200 negli anni d’oro, mille nel 2004, meno di 500 a gennaio 2018 quando arriva l’avviso di chiusura e parte questa nuova storia. Patetica, ridicola, dolorosa.
La prima promessa tradita è quella dell’allora ministro dello Sviluppo Carlo Calenda: l’insediamento di una nuova società, la Ventures, con capitali di Whirlpool e la supervisione di Invitalia. La società, spiegò Calenda in assemblea coi lavoratori, avrebbe assorbito tutti i dipendenti e avviato produzioni tecnologiche – strumenti per la pulizia e la manutenzione dei pannelli fotovoltaici – a partire dal gennaio 2019: e così la ex Embraco smantella e si porta via i macchinari, solo che al loro posto non arriva nulla.
Al governo a questo punto ci sono i gialloverdi, che promettono di nuovo di avviare la produzione con Ventures, ma anche stavolta nulla succede. Pochi mesi e siamo al governo Conte 2 (agosto 2019): nel frattempo i soldi di Whirpool per re-industrializzare il sito sono quasi finiti, non sempre è chiaro dove e perché. Arriva fatalmente la magistratura e dichiara il fallimento di Ventures: nell’estate 2020 parte la procedura concorsuale e i curatori attivano la Cig straordinaria per i lavoratori.
È il settembre 2020 quando il ministro Stefano Patuanelli e la sottosegretaria Alessandra Todde (entrambi M5S) presentano il progetto “Itacomp”, il polo italiano dei compressori per refrigerazione che dovrebbe unire la ex Embraco e la commissariata ACC Wanbao di Mel (Belluno), progetto da sostenere in avvio con capitali pubblici (Invitalia e le Regioni Piemonte e Veneto dovevano detenere il 70% del capitale iniziale). Qualche mese di annunci e siamo al febbraio 2021, governo Draghi, al posto di Patuanelli al Mise arriva Giancarlo Giorgetti: si dice che il leghista sia contrario al progetto Itacomp, ma una parola che sia una sul tema non l’ha detta mai. L’ultimo incontro con le parti sociali è dell’aprile 2021: la viceministra Todde si tiene sul vago. Nel luglio scorso scade la cassa straordinaria, la prorogano per sei mesi. Adesso è finita pure quella. Si chiude. Come centinaia di altri stabilimenti nella provincia. È così che finisce il mondo: con un gemito, non con uno schianto.