il Fatto Quotidiano, 31 gennaio 2022
Intervista a Yvonne Sciò
Ha girato insieme a Mastroianni (“Quando sul set non lo trovavamo, bastava seguire la scia delle sigarette”); è con Verdone in uno dei suoi film più riusciti, Stasera a casa di Alice (“Carlo è raro come uomo e artista”). Ha esordito infante sulla copertina di Vogue. Ultra ventenne ha azzerato tutto, è atterrata a Los Angeles, ha conosciuto la grandi produzioni, il centro delle stelle, delle follie, dello stress. Dell’ego. Della solitudine (“lì ognuno è per sé”). Eppure in Italia tutti la ricordano per i tre mesi passati in tv con Boncompagni a Non è la Rai (“Ho sbagliato ad andare via”). Oggi Yvonne Sciò è regista di documentari: “Si rende conto?”.Lo dica lei.
Rispetto ai registi veri, seri, mi sento il nulla.
Esagerata.
I miei sono documentari molto belli, però non sono neanche l’ombra di certi mostri.
Cosa le danno?
Una sicurezza che non avevo.
Cioè?
Ho passato la vita e la carriera ad affrontare i giudizi estetici: sei troppo magra, sei troppo rossa, hai troppe lentiggini.
Uno strazio.
Pure a Los Angeles mi mettevo in coda per provini infiniti per il numero dei presenti.
Ai provini come sul bus.
In alcuni casi ci ritrovavamo in 200, poi piano piano sforbiciavano a 100, 50, fino ad arrivare alla short list; (ci pensa) una volta ero a un provino per una serie di Aaron Spelling (guru della tv)…
E…?
Eravamo in tre e ci guardavamo in maniera particolare, tipo: magari cadi e ti rompi una gamba.
Differenza tra provini statunitensi e italiani.
Negli Stati Uniti tutti gli attori devono passare dalla forca della prova, anche uno come Tom Cruise per Eyes Wide Shut; (pausa) in quel caso ne ho sostenuti due.
Insomma, in Italia.
C’è maggiore leggerezza, meno sacralità; ultimamente ho sostenuto un altro provino. Tremavo. E ho pensato: “Passano gli anni ma non ci si abitua”.
Com’è andato?
(Sorride) Ho sbagliato: mi sono volutamente imbruttita, poi lì ho trovato solo delle fighe.
Il suo primo set…
Ho girato una serie per la tv, con protagonista Giuliano Gemma; in realtà il vero esordio è grazie a Verdone: ho adorato lavorare con lui, Carlo riesce a costruire atmosfere umane di grande armonia, e dirige in maniera forte ma non invadente; (ci pensa) simile a Nanni Loy.
Con Loy ha trovato Mastroianni….
Non voleva essere appellato “maestro”; se ripenso a Mastroianni ancora lo vedo seduto vicino ai camerini, con la sigaretta lunga e stretta, il cappello, mentre mangia porchetta; (pausa) era di una cortesia difficile da ritrovare. Quella era un’altra Italia.
L’ha vissuta…
Sin da bambina perché mamma era una giornalista e scriveva di moda, lirica e balletto: con lei ho conosciuto personalità come Nureyev o Menotti.
Come è arrivata allo spettacolo?
Non c’è una data: già a 5 anni prestavo il mio volto per Vogue o a campagne pubblicitarie; (sorride) ricordo mamma che mi trascinava, e io ragazzina che urlavo: “Non voglio diventare come Brooke Shields”.
Cosa temeva?
Parlo molto, a volte a macchinetta, ma sono timida e non credo mai di essere all’altezza.
E ai tempi di Boncompagni?
Temevo la troppa popolarità.
Si spaventava.
Quando sono andata via ho avuto la sensazione di essere trattata come una morta.
Addirittura.
Con la tv entri talmente tanto nell’intimità delle persone da distorcere ogni realtà.
Ha sbagliato a lasciare.
Sì, però desideravo crescere; quando sono partita per gli Stati Uniti la mia agente urlava: “Sei pazza”.
Boncompagni…
Per lui ero un animale strano, mi beccava a leggere Osho o ascoltare Albinoni e non mi inquadrava; (ride) era fissato con i surgelati e me ne regalava una quantità improbabile, così tanti che non entravano nel frigo.
E…
Era un uomo meravigliosamente cinico, però mi coinvolgeva in cene in cui restavo avvolta dallo stupore.
Tradotto?
Mi diceva: “Vieni con me”. E magari mi trovavo a tavola davanti a Monica Vitti.
Un rimpianto?
Non sono mai stata presa seriamente.
Come mai?
L’aspetto estetico conta.
Dagli Stati Uniti è partito il #Metoo.
Personaggi come Epstein e Weinstein li ho conosciuti; già allora non mi piacevano e come diceva Courtney Love: “Se fai l’attrice, non andare nella stanza di Weinstein, o sai cosa potrà accadere”.
Com’è stare in California?
Difficilissimo.
Senza se…
È necessaria autosufficienza.
E lei?
Lo sono diventata. Altrimenti oggi non sarei regista.