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 2022  gennaio 31 Lunedì calendario

Il lungo viaggio degli ebrei in Cina

Fra il 1938 e il 1940, come racconta in un affascinante articolo sul «Piccolo» del 23 gennaio Elisa Coloni, quindicimila ebrei provenienti da vari Paesi e soprattutto da Vienna partirono da Trieste su un transatlantico del Lloyd Triestino per Shanghai, sfuggendo così alla minaccia della deportazione e della morte nei Lager. Questo salvataggio dalla Shoah è una gloria della marineria triestina, che aveva già avuto un ruolo nella migrazione di molti ebrei in Palestina.
Da molti anni, peraltro, dalla Cina pure si partiva, instancabili lavoratori cinesi in fuga dalla povertà si spargevano nel mondo; un’infaticabile forza-lavoro pronta ad accettare le condizioni più dure, che provocava talora, per reazione, anche dei veri pogrom. Alcuni erano arrivati anche a Trieste, il cui cimitero contiene pure vecchie tombe di questi ignoti, sepolti spesso insieme, dopo una vita di fatiche, privazioni ed emarginazione. Da ragazzo, boyscout dell’Asci, ho passato, insieme ad alcuni amici, un paio di pomeriggi nel cimitero di Trieste a mettere a posto delle vecchie e scalcinate tombe di cinesi, togliendo erbacce che nascondevano i nomi, sistemando i sassi, eliminando la spazzatura. Era una B. A., la Buona Azione che lo scoutismo sollecitava e che ha creato tante battute e remenele. Ma credo non sia male dedicare rispetto e attenzione non solo ai vivi ma pure ai morti. L’umanità li comprende entrambi e del resto si ritrovano presto insieme.
Gli ebrei rifugiatisi a Shanghai dovettero, credo, sentirsi di nuovo in pericolo quando, finita la Seconda guerra mondiale, in Cina riprese, assumendo proporzioni sempre più grandi, un’altra guerra, quella tra il Partito nazionalista e filo occidentale di Chiang Kai-shek e quello comunista guidato da Mao, la cui vittoria finale, creando la Repubblica Popolare Cinese, avrebbe cambiato l’aspetto del mondo e i rapporti e gli scontri fra Oriente e Occidente.
Non so se di questa guerra cinese tra comunismo e anticomunismo se ne intuissero allora le proporzioni e il significato nella Storia del mondo. Ricordo, vagamente, la copertina di un giornale. Doveva essere «La Tribuna illustrata», la rivale della «Domenica del Corriere», che ogni tanto arrivava a casa – diversamente dalla presenza quotidiana del «Corriere», del «Piccolo» e della «Voce Repubblicana». Avevo accompagnato mia madre a comprare sigarette da un tabaccaio che vendeva anche giornali e mentre lei aspettava il suo turno guardavo quell’avventurosa copertina. C’erano una giungla folta e acquitrinosa e un uomo seminudo e giallastro dagli occhi a mandorla nascosto nel fogliame, che stava per gettare una bomba contro una specie di carro armato nel fango.
Quelle imboscate nella lontana Manciuria non sembravano l’inizio di una Terza guerra mondiale – in realtà già in atto – che si giocava fra i popoli e i Paesi più diversi. Come un fiume che s’ingrossa e rompe gli argini, ricominciava sparpagliata in luoghi e in tempi diversi, una guerra di portata mondiale, che dava a poco a poco il senso di un’inarrestabile avanzata del comunismo la cui avanguardia era l’esercito maoista, sotto i cui colpi venerande e grandi città cadevano una dopo l’altra, armate nazionaliste si sfasciavano o passavano dall’altra parte. Questa Terza guerra mondiale sembrava, per alcuni anni, annunciare, come la tromba di un angelo dell’Apocalisse, la vittoria finale del comunismo, dalla guerra di Corea al Vietnam ad altri eventi epocali. A un certo punto però la roulette ha cominciato a girare diversamente e le fiches hanno cambiato colore. Oggi Shanghai non è la città dove era arrivato il transatlantico triestino e nemmeno la Shanghai alla fine della Seconda guerra mondiale, quella di Hongkou e della Little Vienna dell’emigrazione ebraica che cominciava a sfoltirsi, ma è la vetrina di lusso del nuovo capitalismo creato dall’attuale potere comunista.
Se gli ebrei sulla nave del Lloyd Triestino erano fuggiti in Cina dal nazismo, altri ebrei, soprattutto tedeschi o austro tedeschi, si erano recati in Cina per altre ragioni, ossia per costruire e difendere il comunismo, una storia che richiama quella di tanti cantierini monfalconesi sedotti dalla Jugoslavia di Tito e finiti a Goli Otok. 
L’articolo apparso sul «Piccolo» mi ha ricordato anche la singolare, intrepida e tumultuosa esistenza della scrittrice Klara Blum, ricostruita anni fa da Maddalena Longo per i suoi studi di dottorato. Klara Blum era nata nel 1904 a Cernowitz, in Bucovina, vecchio mosaico austriaco di polacchi, russi, romeni, ruteni, huzuli e innumerevoli altri, in particolare di ebrei che parlano e scrivono in jiddisch. Un paesaggio plurimo, pieno di poeti, come il grande Paul Celan, la cui poesia penetra nelle tenebre della morte, della follia e degli orrori del secolo, che l’immaginaria Cernopol creata da Rezzori elude con l’ironia. Klara Blum trasforma in realtà viva e personale quella visione sovranazionale che è il senso della sua incredibile attività politica, una rivoluzionaria che combatte i nazionalismi ma difende le nazionalità quando sono negate e oppresse, anche da Stati, partiti, e ideologie per le quali si batte a fondo. Anima sempre in viaggio, dice che il posto in cui si sente a casa è la Judengasse, il quartiere ebraico di una città. Le esperienze nella Vienna socialista, in Palestina, a Mosca – infine in Cina – dalla socialdemocrazia al Partito comunista, nascono sempre dal confronto con problemi concreti, il lavoro delle donne, il rapporto fra libertà e disciplina di partito, la situazione economica, la letteratura.
Nelle tempeste rivoluzionarie la passione amorosa ha spesso un ruolo particolare, i romanzi sulla rivoluzione sono percorsi da un vento da dottor Živago. Le catastrofi non soffocano passioni e speranze, l’amore non si lascia schiacciare dalla ruota della Storia che gli passa sopra. È nel 1937 a Mosca che Klara conosce Zhu Xiangcheng, regista cinese, il grande amore della sua vita anche se passeranno insieme pochi giorni, poche ore. Quando Zhu sparisce, qualche settimana dopo il loro incontro, lei si convince che sia stato inviato in missione segreta in nome del comunismo e si mette a cercarlo, e lo farà per tutta la vita.
L’ultimo mondo di Klara Blum è la Cina, dove arriva nel 1947 per trovare Zhu e per andare incontro all’esercito maoista vittorioso. «Cittadina cinese di origine ebraica» come dice di sé, o «scrittrice tedesco-cinese», come Lion Feuchtwanger la definisce parlando del suo Il pastore e la tessitrice, romanzo socialista modellato sulla celebre fiaba cinese che narra di due innamorati – chiave musicale per entrare in quel mondo sempre più suo —, Klara è soprattutto una grande mediatrice tra culture, che rielabora, e non soltanto traduce, temi poetici da tante lingue – dal tedesco e dallo yiddish al cinese, ma anche dall’ungherese, dal lituano, dal georgiano, dal russo, dall’ucraino, dal francese, dall’inglese. Fonda pure la germanistica in Cina ed è autrice di moltissime voci del dizionario tedesco-cinese ancora in circolazione. La sua vita è febbrile lavoro di Partito, ma anche versi pervasi di lieve incantevole poesia, una specie di lirica Tang nel Paese che voleva rappresentare il più radicale programma di rivoluzione mondiale. 
Klara Blum è vissuta per la liberazione degli oppressi e la dignità di ogni persona. Sembra che l’ultimo lontano incontro con Zhu, molti anni prima, sia durato pochi minuti in un’angosciosa situazione poliziesca. Klara morirà nel 1971. Pur nel disincanto della Rivoluzione culturale, sino alla fine Klara si rifiuta di prendere atto che Zhu sia morto, nel 1943, in un gulag. Chissà cosa avrebbe pensato se avesse saputo della sua riabilitazione il 16 gennaio 1989.