Corriere della Sera, 31 gennaio 2022
Il problema degli ascensori a Venezia
Venezia è bella e qualcuno ci vorrebbe pure vivere. Per dire, Piero Angela e Fiorello hanno qui una casa – rispettivamente a Palazzo Contarini Pisani e a Palazzo Bernardo – ma negli ultimi giorni quel «canto antico dei gondolieri» che aveva ispirato Richard Wagner è stato interrotto dalle liti di condominio, come riporta il Corriere del Veneto. Cuore della contesa, un ascensore: quello già realizzato di Palazzo Contarini e quello (da realizzare ma già approvato dall’assemblea) nell’altro, quattrocentesco, edificio.
«È necessario», dice una parte dei condomini. «È invasivo», protestano altre famiglie. E quella che in apparenza sembra una bega d’appartamento, in realtà nasconde un tema complesso: il destino di una delle città più fragili del mondo. Che oggi conta appena 50.412 residenti (ma secondo le previsioni demografiche presto si scenderà sotto quota 50 mila) e che «si vive sempre di meno e sempre di più si va a vedere, come se fosse una partita di calcio», dice sconsolato Salvatore Russo, direttore della Laurea magistrale in Architettura all’Università Iuav.
Il professore, docente di Tecnica delle costruzioni, avverte: «Cogliamo l’occasione per aprire una discussione sulla vivibilità. Raramente Venezia è stata pensata come città. È assurdo che si discuta di turismo e di tornelli per regolare gli ingressi quando il tema dei residenti non viene affrontato. L’acqua alta scoraggia dall’abitare i piani bassi, senza ascensori i piani alti restano deserti, che vogliamo fare?». Perché se si vuole uscire dalla caricatura di città dei «turisti del tuttocompreso», indimenticabile scenario de L’amante senza fissa dimora di Fruttero & Lucentini, bisogna pensare anche agli ascensori. E Piero Angela si dice d’accordo con Russo. «La difesa del patrimonio storico-artistico è sacrosanta – afferma il conduttore televisivo —, ma credo che Venezia sia anche una città dove poter vivere, anche solo per un periodo dell’anno come faccio io. Dunque bisogna discuterne con intelligenza, cercare un equilibrio di compatibilità, rispettoso dei vincoli».
Già, i vincoli. Arrigo Cipriani, che guida l’Harry’s Bar fondato da suo papà Giuseppe nel 1931, racconta che una volta voleva mettere «dei vasi in pietra con dei fiori all’esterno, ma non è stato possibile». Troppi problemi. Ma lei ce l’ha il montacarichi? «No – risponde l’imprenditore quasi novantenne – perché il montacarichi ammazza lo spirito del cibo, che deve fare un passaggio innaturale dalla cucina alla tavola». Va bene, ma in certi casi sarà necessario, no? «Non è detto», chiosa Franca Coin, famiglia importante, mecenate intelligente e casa a Palazzo Barbaro, con affaccio sul Canal Grande. «Non è detto, perché le scale di Venezia è una gioia percorrerle».
Coin va però dritta al cuore del problema: «Bisogna decidere: se vuoi trasformare un palazzo antico in un albergo, allora l’ascensore è necessario. Ma se vuoi preservare la funzione abitativa qualche volta le scale non sono poi una soluzione così drammatica». La pensa così anche Vittorio Sgarbi, che è intervenuto nella questione dell’ascensore a Palazzo Bernardo, definendolo «una proposta grottesca: vivere a Venezia comporta disagi, si sa». Ma il pragmatico Cipriani allarga il discorso: «Venezia è una città bellissima però molto complicata. Facciamo l’esempio delle fognature: se hai un’attività devi provvedere al trattamento degli scarichi (le fosse settiche, ndr). Se vuoi mettere dei semplici gazebo devi seguire una procedura particolare, che è lunga. Se lo chiede a me, io le dico che questi sacrifici li faccio volentieri perché vivo in un posto così straordinario che mi sembrano piccoli intralci. Però, certo, capisco che non sia facile per qualcuno pensare di venire a vivere in centro e forse anche aprire un’attività».
Per Ezio Micelli, docente all’Università Iuav e specialista nella ricerca sulle trasformazioni urbanistiche, «continuiamo a ripetere che “la bellezza ci salverà”, ma non pensiamo mai a come abitare questa bellezza. Fuor di metafora, penso che dovremmo smettere di pensare ad ogni intervento sui palazzi storici come se fosse una maledizione e non, invece, una possibilità. Per migliorare la qualità della vita ma anche la qualità degli stessi beni architettonici». Micelli mette l’accento sulle possibilità offerte oggi dalla ricerca, convinto che «molti progetti si possano fare nel rispetto dell’antico. Ma se trattiamo ogni palazzo come se fosse la Nike di Samotracia, allora il contatore di residenti della farmacia del centro proseguirà la sua discesa disperata».