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 2022  gennaio 31 Lunedì calendario

Parlano Vinicio Capossela e Giovanni Truppi

Uno è un cantautore degli anni Duemila, nato a Napoli ma cittadino del mondo. L’altro è uno degli artisti più rappresentativi dell’arte italiana a cavallo tra i due secoli, cantautore, scrittore, performer e chissà cos’altro ancora. Giovanni Truppi partecipa a Sanremo per la prima volta, conTuo padre, mia madre, Lucia, dopo dodici anni di carriera e quattro album, tanti riconoscimenti e uno status talmente “indie” che è facile dire che la sua presenza al festival è quantomeno singolare. Vinicio Capossela viene a dare man forte a Truppi nella serata delle interpretazioni, quella di venerdì, quando insieme intoneranno Nella mia ora di libertà di Fabrizio De André, da Storia di un impiegato. Nessuno dei due è prevedibile, nessuno dei due ha una storia che si potrebbe anche vagamente incrociare con il festival, eppure, come sottolinea Truppi, «Sanremo è una bella occasione per valorizzare il lavoro fatto in questi anni da me e da quelli che mi hanno sostenuto. Inoltre è un totem della musica italiana al quale, da appassionato della materia, mi sento legato. Partecipare a qualsiasi costo non è mai stato in cima ai miei desideri, ma mi sembra che il brano che interpreterò abbia un’identità forte che possa confrontarsi con questo contesto rappresentando a pieno me e la mia idea di canzone».
Come è nata la collaborazione?
Truppi: «Vinicio è uno degli artisti che ammiro di più, oltre che per le sue opere, per la postura che ha da sempre nell’“edificarle” e, da questo punto di vista, non mi viene in mente un altro cantautore più vicino di lui a De André. Ho sempre desiderato collaborare con lui e ho pensato che fosse importante coinvolgerlo ora».
Capossela: «Giovanni è un artista fedele alla sua idea di musica, ed è un musicista, al punto da portarsi sul palco il pianoforte modificato che si è autocostruito. Mi piace il modo in cui porta avanti la sua idea di canzone d’autore. È un outsider. Abbiamo diversi amici e collaboratori in comune, che si sono rivolti a me affettuosamente come a un vecchio zio. La musica è una lunga fila di gente che si passa il secchio per spegnere un fuoco lontano, ho pensato che potevo dare una mano a passare il secchio, l’ho fatto volentieri anche per Leading Guy, un altro giovane autore di qualità. E poi mi è piaciuta la sua rivisitazione di Nella mia ora di libertà ».
È una canzone che mette al centro più temi. In che modo parla alla società di oggi?
Capossela: «Beh, in un certo senso tutti respiriamo il tanfo della sorveglianza che ci infliggiamo a vicenda. Questo senso di falso, ipocrita decoro per il quale gli ultimi debbano essere rimossi anche alla vista per sgravare la nostra coscienza dallo scandalo della povertà e dell’ingiustizia. In questa deriva non c’è affrancamento, non si può dire “non sapevo”».
Truppi: «Ho scelto la canzone perché credo nelle sue parole e me ne sento rappresentato. Credo fortemente, come dice De André, che siamo tutti coinvolti, siamo collegati tra noi più di quanto riusciamo a realizzare: ce lo dicono la biologia e la fisica, ce lo ha detto Jung e ce lo dicono la storia e l’economia. Quando penso a questo mi sembra evidente che se una persona ha fame è perché il suo pezzo di pane l’ha preso, metaforicamente, qualcun altro».
Capossela: «De André è come la Bibbia, la puoi leggere in chiesa come in carcere, sempre parlerà dell’umano. Un umano che riapre i conti con noi stessi, che ci ricorda che ognuno può fare la sua parte, anche se piccola. Andrebbe sempre cantato, su ogni palco, perché la sua musica vive al di là della celebrazione del suo autore, che non è imbalsamata nel museo del culto della personalità».
“Tuo padre, mia madre, Lucia” è un brano che mescola “spoken word” e melodia. Com’è nato?
Truppi: «Il nucleo della canzone — le parole del ritornello e la loro melodia — è arrivato passeggiando per Bologna una sera. Questa prima parte ha poi attratto altre riflessioni. L’uso del parlato viene dal fatto che, nei punti in cui c’è, ogni volta che provavamo a mettere una melodia il risultato ci sembrava perdere di forza e quindi, dopo molti tentativi, ci siamo detti che le parole in questione dovevano arrivare così, direttamente».
La “rivoluzione” della musica italiana in atto è un cambiamento vero o solo una “folata di vento”?
Truppi: «Un cambiamento autentico, che mi piace molto. Altri colleghi e io siamo espressione di un movimento fatto da artisti, agenzie, giornalisti, promoter, discografici e pubblico che già a fine anni Novanta ha iniziato a creare un’alternativa allo status quo che si stava sgretolando. È stato inventato un nuovo modo di fare musica e cultura e quello che abbiamo visto, Sanremo compreso, è anche il risultato di questo processo.
È un’esperienza che ho vissuto come un’avventura solitaria, a posteriori però mi rendo conto di aver fatto parte di qualcosa».