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 2022  gennaio 30 Domenica calendario

Casini e l’elezione mancata al Quirinale

Incredibilmente, il volto sembra quello di dieci anni fa. Le rughe degli ultimi giorni evaporate.
Pier Ferdinando Casini non è riuscito nell’impresa. Ma sa incassare, anche perché non ha vinto neanche chi avrebbe negato la politica, come fosse buona solo per essere «gettata in un cestino dei rifiuti». «Ho visto sette Presidenti della Repubblica.
Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano uno e due, Mattarella uno e due. Era ipotizzabile che i candidati non venissero dalla politica, a quei tempi? No. I tecnici non possono pensare di sostituire la politica. Se dopo 39 anni di vita parlamentare vedo l’ex Presidente della Bce a Palazzo Chigi e magari un tecnico valentissimo al Quirinale, posso chiedermi se si tratta di una fisiologia normale di una democrazia che funziona, o se c’è qualcosa che non va?».
Qualcosa non andava, se si ipotizzava Draghi o un altro tecnico al Colle, e un premier non politico?
«Dico che ho cercato solo di affermare questo principio. Quando ho visto che la ridda di ambizioni personali di chi dovrebbe solo servire il Paese è diventata prevalente, ho fatto un passo indietro e ho detto: viva Mattarella».
Casini sprofonda nella poltrona piazzata in un corridoio disperso di Montecitorio. Poco prima si era quasi commosso abbracciando Clemente Mastella. «Ho lottato fino all’ultimo, Pier». «Lo so, fratello».
Ci è andato vicino, senatore?
«Forse sì, ma in politica ci sono sempre le montagne russe. Ho sempre avuto la convinzione che alla fine sarebbe prevalsa una soluzione diversa. E tra queste, Mattarella è di certo la migliore».
Dopo Mattarella, era lei il candidato più forte tra i parlamentari?
«Forse. Ma l’unico principio che mi stava a cuore era la credibilità del Parlamento e della politica. Si è molto discusso del mio profilo Instagram, dove ho scritto durante le votazioni: “La passione politica è la mia vita”. Volevo affermare che se la politica è in crisi, è certamente colpa della politica, ma anche che in nessuna parte del mondo si è ipotizzato di cambiare le cose con strumenti diversi dalla politica. Ai tempi della mia generazione chi non era nei Palazzi, sparava. E abbiamo visto quando la politica viene rimpiazzata cosa succede: è successo con la supplenza giudiziaria e, di recente, con poteri esterni».
Cosa intende?
«Il fatto che tra i principali candidati alla Presidenza non ci fossero parlamentari, ad eccezione della Presidente del Senato e del sottoscritto, è il segno devastante della subalternità di una politica marginalizzata. Ma vado oltre».
Vada.
«Sono molto rispettoso dei tecnici, essenziali per il funzionamento della vita democratica. I politici non possono avere il complesso di autosufficienza, ma i tecnici non possono pensare di sostituire la politica. Se il Parlamento, che ha affidato a un tecnico la guida dell’Italia, non afferma la sua centralità, non va bene. E per fortuna l’ha fatto con Mattarella, alla fine».
Ma non è proprio perché lei sarebbe stato l’emblema del parlamentarismo, la nemesi e la mortificazione dei tecnici, che la sua candidatura è caduta?
«Beh, sì, in effetti io sarei stato proprio questo. Non c’è dubbio che sarei voluto essere quello che sono.
Per questo ho postato su Instagram quella foto, io sono io, non ho bisogno di plastiche facciali».
L’incastro che non è andato a buon fine è stato Salvini?
«Quando un ingranaggio si inceppa, c’è sempre un granello. Che la Meloni e Salvini non mi volessero, lo ritengo dal loro punto di vista comprensibile. Che i 5S facessero fatica a votarmi, beh: mi sarei preoccupato del contrario, per me e per loro. Ho recuperato uno straordinario rapporto umano con la comunità del Pd, con Renzi e con Silvio Berlusconi. Non ho niente da rimproverare a nessuno, sia chiaro».
La fine della sua candidatura è nata allora fuori dal Palazzo?
«Non lo so. Alla fine non è uno stop a me: ci sono tanti altri parlamentari che potevano fare il Presidente bene, a sinistra e a destra. Perché non sono stati presi in considerazione?».
Pensa che abbia pesato l’ambizione di Draghi di andare al Colle? È stato un errore?
«Mi sembra che sia sotto gli occhi di tutti. E mi sembra che non sia servito come ricostituente del governo».
C’è chi ha detto: il premier ha bloccato Casini. È così?
«Non credo alle parole attribuite al Presidente del Consiglio nei confronti di una mia eventuale Presidenza, perché il mio rapporto con lui è stato fantastico. D’altronde, sono stato messo quasi sotto accusa quando presiedevo la commissione banche perché dicevano che ero il difensore d’ufficio di Draghi».
Vi siete sentiti?
«Sì, affettuosamente. Abbiamo avuto un colloquio fantastico e lui mi ha espresso la stima, contraccambiata.
Penso che sia una risorsa per l’Italia e sia fondamentale rafforzare il suo governo, non indebolirlo».
Ma pensa anche che la voglia di Colle del capo del governo abbia reso inevitabile Mattarella?
«È una sua tesi. Diciamo che è una tesi che ha molti sostenitori, ma io preferisco non esprimermi».
Elisabetta Belloni, capo del Dis, presidente della Repubblica: sarebbe stata una forzatura?
«Belloni per me è tra le migliori funzionarie dello Stato. Sono suo amico ed estimatore. Non spettava a me dare un giudizio».
Ma per lei è stato doloroso?
«Non ho rimpianti e mi sento sollevato. Nella vita bisogna saper distinguere tra i valori che contano e le illusioni ottiche. Il potere è una cosa che c’è e non c’è».
Sembra che abbia dormito poco.
«Non perché avevo gli incubi, ma perché la gente mi chiamava fino alle due di notte. In queste circostanze le persone fanno un bilancio della propria vita. Una sera chattavo con i leader, parlavo al telefono con Enrico Letta, e i m iei due figli piccoli di 13 e 17 anni stavano sul divano senza muoversi, estasiati. La passione politica va coltivata nei ragazzi».
Casini incrocia un deputato amico. Gli passa la moglie. «Cara, non piangere. Sono sereno. La vita è bella. E noi siamo ancora giovani…».